Basta profitti con gli insediamenti illegali!
Le tante piazze per la pace dello scorso sabato in Italia, in Europa ed in altre parti del mondo in solidarietà al popolo ucraino, dopo l’aggressione dell’esercito russo, hanno sollevato appelli alla neutralità attiva.
Pare davvero difficile declinare simili sollecitazioni sotto il bombardamento mediatico incessante della propaganda oltranzista in Europa, che arruola larghe coalizioni di partiti guerrafondai, anche in Italia pronti all’invio di armi ad un paese in guerra, in spregio all’art.11 della Costituzione e alla legge sugli armamenti del 1990, con il rischio di alzare ulteriormente il livello dello scontro e mandare al massacro altrettanti civili.
In questo quadro il movimento pacifista prova a rialzare la voce in termini di fratellanza e solidarietà, al contrario delle logiche di dominio predatorio, che ripropongono contrapposizioni fra popoli, per fomentare guerre sempre più tragiche in termini di vittime civili, come quelle che da anni si registrano incessantemente nei conflitti in Siria, Yemen, Libia e altri ancora.
Altri scenari di guerra e occupazione perduranti restano fuori dai riflettori dell’attualità; e spesso per la preponderanza militare di una parte sedimentano ingiustizie ed oppressione.
Un esempio, tristemente di nuovo esploso proprio in queste ore è quello degli insediamenti coloniali illegali di Israele nei territori palestinesi, per cui alla fine del mese di febbraio il Coordinamento Europeo per la Palestina ha lanciato una ICE – Iniziativa dei Cittadini Europei – intitolata #StopSettlments e finalizzata a garantire la conformità della politica commerciale comune con i trattati dell’UE e con il diritto internazionale.
Un’ampia schiera di 150 fra ONG, movimenti, partiti, sindacati e sigle associative – compresa proprio Transform!Italia – si oppongono con questa iniziativa civica all’annessione illegale israeliana, con l’intento di tutelare i diritti umani, il commercio equo e la stabilità internazionale.
In Italia hanno già aderito alcune associazioni della Rete Italiana Pace e Disarmo, come AssopacePalestina, Fiom-Cgil, Un Ponte Per e Pax Christi.
La petizione rivendica proprio la regolamentazione del commercio dell’Unione europea, mediante il blocco dello scambio di merci con colonie illegali, come quelle israeliane, o nel Sahara occidentale, aprendo così la strada alla prevenzione di future aggressioni territoriali.
La proposta insiste soprattutto sulla prescrizione delle transazioni commerciali con entità che hanno la propria base od operano illegalmente in territori occupati, impedendo che prodotti provenienti da quei luoghi possano entrare nel mercato dell’Unione europea.
La Commissione UE, in quanto “guardiana dei Trattati”, è chiamata ad assicurare la coerenza delle politiche dell’Unione e il rispetto dei diritti fondamentali e del diritto internazionale in tutte le aree coperte dalle leggi comunitarie, come ad esempio la Politica commerciale comune, attraverso provvedimenti selettivi su import/export di prodotti provenienti da colonie illegali in territori occupati, al fine di preservare l’integrità legale del mercato interno, così da non contribuire al mantenimento di simili situazioni di sfruttamento.
Attraverso l’iniziativa si invita pertanto la Commissione a presentare una proposta di atto giuridico nell’ambito della politica commerciale comune, che sia di natura generale e non riguardi un paese o un territorio specifico.
Un aspetto tutt’altro che secondario riguarda i destinatari di un simile provvedimento, che non mira al divieto di commercio con l’intero territorio occupato e soprattutto con le popolazioni oppresse in quelle zone, quanto piuttosto intende sanzionare i responsabili delle annessioni, che traggono beneficio dall’occupazione illegale.
Un caso esemplare è appunto quello dell’espansionismo di Tel-Aviv a scapito delle popolazioni palestinesi, con campagne di insediamento aggressive. La finalità è quindi quella di mandare un chiaro messaggio di ripudio dello stravolgimento dello status quo, facendo anche i conti con l’esperienza storica per porre le basi di un approccio dissuasivo strutturale.
Proprio mentre allo stato d’emergenza pandemica in Italia – e altrove in Europa – succede oltre ogni possibile previsione distopica lo stato d’emergenza bellico; questa possibilità di individuare strumenti pacifici e percorsi di democrazia diretta per combattere la crescente rimonta di scontri per l’accaparramento di risorse naturali rappresenta senz’altro una prospettiva interessante.
Di fatto si cerca di sgominare la contraddizione per cui, da un lato l’UE condanna gli insediamenti illegali, come quelli israeliani nei Territori palestinesi a quelli marocchini nel Sahara occidentale, considerandoli un ostacolo alla pace e alla stabilità internazionale; ma dall’altro non pone ostacoli al commercio con chi trae profitto da una prevaricazione simile.
Da tempo l’Unione Europea sembra aver abdicato al tentativo velleitario di “potenza civile” mediante provvedimenti di ‘soft power’, come con la prescrizione di condizionalità nei partenariati e nei capitolati commerciali con altri stati o enti internazionali, a tutela di diritti umani o ambientali. Una delle motivazioni dell’arretramento su questo fronte istituzionale è da ricercare nella rimonta della centralità decisionale dei governi nazionali almeno dalla crisi dei fondi sovrani del 2010.
La seguente deriva sovranista, acuita dal ripristino di frontiere esterne ed interne fino alle misure eccezionali di blocco alla mobilità per la crisi sanitaria ha acuito questa tendenza.
L’obiettivo della campagna è perciò doppiamente ambizioso, in quanto si tratta di raccogliere un milione di firme entro un anno in tutti i paesi della UE, ognuno con una soglia minima per l’ammissibilità dell’iniziativa, che per l’Italia corrisponde a circa 55mila sottoscrizioni, così da sottoporre la proposta alla Commissione Europea.
Tommaso Chiti
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