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“Stalingrado”, necessaria premessa a “Vita e destino”

di Giancarlo
Scotoni

Le riflessioni che seguono riguardano la lettura più che la lettera della principale opera grossmanniana e dunque sono molto personali. Inoltre sono influenzate dall’esperienza di chi da bambino fu affascinato dall’armata rossa e socialista e poi, da giovane, si fece certo che la dirigenza della Unione Sovietica avesse abbandonato la strada maestra a partire dal ’24, attorno alla morte di Lenin. In anni in cui per moltissimi e moltissime dubitare dell’URSS era in odor di eresia e anche peggio, questa convinzione ebbe un carattere contingente e fu brandita più che approfondita il necessario. Ma la lettura dell’opera di Grossmann è molto lontana da poter confermare pregiudizi: anzi, al contrario, problematizza scava e coinvolge. Mi auguro che un punto di vista personale e coinvolto non abbia reso inutili queste righe.

Vasilij Semënovič Grossmann nacque nel 1905 in una famiglia ebrea a Berdyčiv, una cittadina ucraina importante centro dell’ebraismo dell’est europeo. Comunista (ma non iscritto al partito), nel 1930 smise di fare l’ingegnere chimico per dedicarsi alla letteratura. A partire dalla invasione nazista in Unione Sovietica fu impegnatissimo e apprezzatissimo corrispondente di guerra per il quotidiano Stella Rossa. Trascorse più di mille giorni al fronte, fu tra le truppe che scopersero i resti del campo di annientamento di Treblinka e ne ricostruì il funzionamennto attraverso interviste e indagini. Sua madre, rimasta in territorio occupato, fu eliminata dai tedeschi in quanto ebrea. Tra il 1949 e il 1953, a partire dalla supposta congiura dei medici, in Unione Sovietica si sviluppò l’ultima delle purghe staliniane. Essa ebbe un carattere spiccatamente antiebraico. In quell’occasione Grossmann per convenienza e paura si abbassò a schierarsi pubblicamente contro i pretesi colpevoli; un atto di cui successivamente continuò a pentirsi. In quelle circostanze Grossmann sviluppò ulteriormente una critica decisa all’ideologia e alle relazioni civili e sociali dominanti in Unione Sovietica.

Già a partire dagli anni della guerra iniziò a lavorare a una dilogia (Stalingrado e Vita e destino).

Il primo libro era stato pubblicato in Unione Sovietica nel 1952. Il titolo, Per una giusta causa, si rifaceva a una frase di un discorso che Molotov aveva tenuto all’inizio dell’invasione tedesca 1. Il secondo libro, Vita e destino, fu proposto all’editore sovietico nel 1961. Il manoscritto fu immediatamente sequestrato e Grossmann morì nel 1964 senza sapere che ne era stata salvata una copia, antecedente a quella definitiva. Essa fu fatta pervenire all’estero e così Vita e destino potè essere pubblicato per la prima volta in Svizzera. In Italia questa versione non definitiva vide la stampa in edizione ridotta nel 1983 per Jaca Book e successivamente, completa, per Adelphi.

Dal momento che con la perestrojka il manoscritto fu dissequestrato e restituito agli eredi, in Italia divenne possibile ripubblicare Vita e destino nella sua edizione di autore; questo avvenne solo nel 2008, per Adelphi. Infine, nel 2022 la medesima casa editrice ha dato alle stampe una ulteriore “nuova edizione ampliata” di Vita e Destino e anche il primo volume della dilogia. A questo è stato restituito il titolo di Stalingrado, che l’autore gli aveva originariamente dato.

Dunque il pubblico ha potuto conoscere la più importante opera grossmanniana a partire dal secondo volume e solo molto più tardi gli è stata data la possibilità di completarne la lettura con Stalingrado. Non sono stati pochi dunque i lettori e le lettrici che ricordando Vita e destino hanno completato la lettura di quest’opera aggiungendovi il primo libro. Alcuni poi sono tornati alla seconda parte della dilogia, per rammentarla meglio, rileggere nelle sua interezza un’opera che avevano conosciuto dimezzata. Qui vorremmo esporre qualche riflessione sparsa su quelle impressioni che il va e vieni di lettura ci hanno riservato.

Assieme a Vita e destino, Stalingrado affresca una epopea che termina a fine inverno del ’43 in una Stalingrado ormai liberata dall’offensiva sovietica e inizia nell’estate del ’42 nelle pianure tra il Don e il Volga. Anzi, per essere precisi, la narrazione prende l’avvio dall’incontro di Salisburgo tra Hitler e Mussolini. Il Fuerer informa il sodale italiano di una nuova strategia: l’anno precedente l’offensiva tedesca si è arenata davanti a Mosca e non ci sono forze sufficienti per tentare un nuovo sfondamento in quel settore. Inoltre la Germania è assetata di carburante. Da qui la decisione di lanciare l’ultimo e decisivo attacco all’Unione Sovietica verso sud est, verso il Caucaso e i suoi campi petroliferi e lateralmente verso Stalingrado, la città su un gomito orientale del Volga oltre il quale inizia la sterile steppa. Hitler chiede il massimo sforzo e l’Italia fascista aderisce, come aderirà –aggiungiamo noi- la Romania di Antonescu e della Guardia di Ferro.2

Immediatamente dopo questo capitolo iniziale che si svolge sul piano della ricostruzione storica e della inconsistenza spirituale dei due criminali, ci viene presentato il contadino kolkozhiano Piotr Semenovic Vavilov nel momento in cui riceve la cartolina precetto per i riservisti, lascia la famiglia e si avvia verso il distretto militare. Non ci potrebbe essere più contrasto tra il delirio di potenza e l’abisso di miseria umana a Salisburgo e il contadino che si prepara a lasciare la moglie trascorrendo la notte a spaccare la legna per lei, preoccupato per il suo benessere.

Di lui Grossmann scrive che sentì “tutta la forza malvagia di un gorgo crudele cui nulla importava di lui, di ciò che amava e voleva. Provò l’orrore che deve provare un pezzo di legno quando di colpo capisce che non sta scivolando lungo rive più o meno alte e frondose per sua volontà, ma perché spinto dalla forza impetuosa e inarginabile dell’acqua. Vavilov si credeva il baluardo della sua famiglia, colui che la teneva insieme, e invece no: il gorgo lo aveva preso e portato via, e lui non apparteneva più né a sé stesso, né alla sua famiglia, né a niente.” 3.

Dopo questo episodio il racconto passa alla festicciola in famiglia in cui ci viene presentata la famiglia Saposnikov composta da numerosi componenti con i loro amici. Le loro storie si intrecceranno a formare il fusto più forte e ramificato della narrazione sia del primo che del secondo libro.

E così inizia un fiume narrativo in cui ci accompagnano protagonisti, tempi e situazioni anche profondamente diversi. E’ presente, ad esempio, il ricordo dell’esilio in Europa dei rivoluzionari, e quei compagni e compagne che erano giunti da ogni parte del mondo per partecipare alla rivoluzione proletaria sono ormai fissati nella memoria come gli “internazionali” ormai epurati e integrati nella macchina del partito. Poi ci sono i kulaki, gli stakanovisti, i direttori di fabbrica, gli operai metallurgici e i minatori, i direttori di fabbrica, gli orfani, i soldati e gli ufficiali, i commissari politici, i membri del partito, lo Stato Maggiore, i medici e i responsabili della salute in fabbrica, gli scienziati e i menscevichi, i criminali comuni e bianchi. Sono la popolazione e la coscienza dell’opera.

C’è anche la descrizione, implicita o indiretta, di una società in cui il divorzio è libero, la parità femminile è stabilita (ma apparentemente senza alcun discorso sulla differenza) la sanità e i servizi sono gratuiti, le merci sono scarse, la gerarchia sociale è in gran parte costituita attorno al partito. In quanto al sesso forse la pudicizia che sembra circondarlo non deve sorprendere in una società che lo considera un fatto di natura; ma in questi libri l’eterosessualità domina in assoluta solitudine.4 La struttura sociale è costruita attorno all’ideale del socialismo che tra il proletariato è cosa viva mentre tende a diventare interpretazione capziosa nei ragionamenti dei burocrati. La dimensione della vita quotidiana la si scopre da indizi indiretti tramite l’importanza che viene attribuita al cibo, agli stivali di feltro nuovi, alla giubba e alla cartella di similpelle gialla, alla carta sottile per le papirose… all’automobile di servizio… Si tratta di una normalità in cui al di là dell’ideologia c’è consapevolezza del diritto all’istruzione e alla promozione professionale, del diritto del soldato a essere promosso fino ai più alti gradi, dell’uguaglianza uomini e donne. Di questa normalità fa parte anche la relativa indifferenza con cui i protagonisti guardano all’incarcerato, al deportato, al “detenuto senza diritto alla corrispondenza” che è perifrasi per giustiziato.5. Questo piano narrativo che ci restituisce una immagine plausibile della società sovietica di quegli anni è intersecato, pur rimanendone distinto, dalla catastrofe dell’invasione tedesca.

C’è dunque il destino della madre del fisico Sturm, l’accademico che è uno dei protagonisti più presenti, ci sono lo sterminio degli ebrei, gli sterminatori, le esecuzioni di massa, i campi di concentramento nazisti per “politici” e i lager di eliminazione, le SS e i kapò e i prigionieri che si sono arruolati con i nazisti… non è arbitrario inserire questi temi in un elenco a parte perché Grossmann terrà in tutta l’opera questi temi separati e distinti da quelli della dittatura ”di Stato” o di partito.

I soldati e gli ufficiali tedeschi, sono anch’essi descritti e indagati, sebbene più brevemente, e anche per molti di essi che rimasero accerchiati a Stalingrado e poi si arresero Grossmann disegna la parabola dell’abbandono della guerra e della scoperta di una natura umana più profonda.

Comunque Grossmann sceglie la realtà delle cose e con tutta evidenza per lui l’evenienza storica del nazismo è incommensurabile con quella del regime sovietico degli anni trenta e dello “stalinismo” se si crede di usare questo termine. Questa distinzione di base -costitutiva- non è istituita per giustificare o alleggerire il giudizio sugli esiti della rivoluzione di ottobre, sui suoi continuatori o traditori. Essa dipende invece dall’attitudine grossmanniana di considerare il reale vero istruendo un percorso che non fa sconti e che chiede continuamente sia onestà che disponibilità di animo e di forza al lettore.

In Stalingrado Grossmann espone questo principio in una conversazione tra due donne. L’una è membro del partito e l’altra chirurgo all’ospedale. La prima afferma che esistono due verità e che quella del partito è la più profonda sebbene –va da sé- elitaria; la seconda risponde che se un medico si affidasse a questa teoria i malati non ne uscirebbero vivi. Così questo romanzo fa della verità univoca del reale il suo scopo e il suo faro. Lo si può affermare con tranquillità: sebbene la verità di Grossmann non possa coincidere con la nostra, la sua ricerca e il suo contributo critico hanno bisogno di questa dimensione di onestà. Ben se ne comprendono i motivi considerando il costante abuso della giustificazione formale che diviene nella società sovietica fine a sé stesso. E’ un principio che diventa mostruosamenrte banco di prova della realtà del potere e che sottomette programmaticamente la verità al suo esercizio e perpetuazione.

La relazione di Grossmann con la realtà, innervata alla esperta scrittura “realistico socialista” ci restituisce un’opera che racconta di quel periodo più di quanto riescano a fare molti saggi storici.

In questi mesi l’emozione e la partecipazione agli eventi della guerra in Ucraina ha portato alla edizione di saggi sulla battaglia di Stalingrado nella seconda guerra mondiale. Prendiamo ad esempio la riedizione di “Stalingrado” dello storico Antony Beevor che il Corriere della sera ha offerto in edicola nell’estate. E’ un’opera frutto di ricerche approfondite, anche su documenti inediti; ma la ricchezza di fonti, il metodo dello storico e la inedita aneddotica sembrano formare una moltiplicazione di informazioni le quali, anche quelle più rilevanti, finiscono con il riverlarsi incapaci di trasmettere fosse una delle tante verità che Grossmann nel suo romanzo fa nascere e plasma nelle coscienze e nelle menti dei lettori e delle lettrici. E se è certo che –disgraziatamente- anche la storiografia debba vendere, sorge anche il dubbio che la comprensione delle cose sia –per voler usare un termine marxiano- al di là delle capacità socialmente determinate dell’autore e dell’industria editoriale.

Tornando all’opera, anzi per meglio dire al completamento dell’opera con il primo volume, chi lesse allora Vita e destino avrà forse sperimentato un certo imbarazzo e spaesamento di fronte all’irrompere sulla scena di personaggi come il colonnello Novikov, alla testa di un reparto corazzato e alla ricerca di una donna. In Stalingrado potrà familiarizzarsi con lui, colonnello di professione, vederlo constatare le manchevolezze dell’esercito e ideare nuove tattiche per i carri armati. Lo vedrà poi sottoporre le sue idee alle alte sfere del Ministero della Guerra, riceverne l’approvazione e trascorrere mesi addestrando e preparando la sua unità che sarà tra le forze di punta per l’offensiva e l’accerchiamento dei tedeschi a Stalingrado. Potrà soprattutto conoscere il suo innamoramento per Vera e lo stentato nascere di una relazione tra i due. Vera fu moglie di Krymov, un altro protagonista centrale del romanzo e lo preferirà a Novikov nel momento in cui l’ex marito verrà incarcerato alla Lubjanca. La sua indecisione attraversa tutta l’opera per precipitare quasi alla fine del romanzo; ma le sue motivazioni e la sua interiorità non vengono descritte sotto un profilo psicologico quando come frutto della sua relazione con le circostanze, della vita di lei, delle sue risposte al fiume dell’esistenza.

In Stalingrado, e solo lì perché non vi sarà prosieguo di questo in Vita e Destino, il lettore potrà conoscere anche il fratello di Novikov. E’ addetto al martello pneumatico in galleria. Vive in una città mineraria con la moglie insegnante. E’ il leader naturale di una squadra di scavo raccogliticcia che è in grado di trascinare al lavoro grazie alle sue doti di umanità e non tramite la forza dell’ideologia o del premio. E anche questo quadro può illuminare su importanti aspetti della relazione tra operai e regime in quegli anni e restituisce allo stakanovismo (a quel particolare stakanovismo) una dimensione più plausibile sia dell’esaltazione ideologica che di una denigrazione astratta che diviene gratuita se non arriva a conoscere le sfaccettature e il ricamo delle relazioni tra lavoratori e impresa collettiva.

Ugualmente il lettore scoprirà che l’ex marito di Vera, il commissario politico Krymov è un comunista integro e coerente. In Vita e destino lo troviamo a Stalingrado improvvisamente arrestato e condotto alla Lubjanka sotto l’accusa di essere in intelligenza con i nazisti. In Stalingrado ci viene raccontato come, nei primi mesi dell’invasione, avesse organizzato e condotto migliaia di sbandati a rompere l’accerchiamento di cui erano rimasti vittime, attraverso settimane di marce e guerriglia in territorio occupato. Tornato a Mosca e poi di nuovo al fronte aveva poi dato un contributo importante al costituirsi di una linea di resistenza e al termine della ritirata. La strada compiuta da Krymov, le migliaia di chilometri percorsi prima a piedi e poi in jeep, tra campi e steppe, dalla frontiera al fronte e poi a Mosca e poi di nuovo tra il Don e il Volga e poi a Stalingrado consentono di accompagnare l’esercito sovietico nella ritirata e di collocare la battaglia di Stalingrado nel suo contesto. Inoltre quei chilometri cuciono una dimensione che ci familiarizza più che in Vita e destino con il sentimento della vastità. Vastità letteraria ma anche spaziale, una vastità abitata e vissuta e non certo una estensione geografica. Un senso della vastità della terra che Grossmann ci suggerisce essere uno dei caratteri fondativi del popolo russo e che diventa spesso coro e controvoce della storia quando lo scrittore apre le sue splendide, concise, impersonali, parentesi liriche.

E’ una vastità che spesso nel sapere comune ci viene presentata –assieme al generale Inverno, naturalmente- come il formidabile alleato nella difesa: perché è una vastità che si può abbandonare e rendere terra bruciata in modo che l’invasore possa annegarvisi. Qui, invece, con gran migliore realismo viene descritta la pena, lo sconforto, il senso di perdita con cui la popolazione, l’esercito, la società deve affrontare la distruzione del proprio lavoro, della propria fatica condivisa, le fabbriche, dunque, e la perdita dei luoghi patrii e delle persone care. Tutto ingoiato dall’avanzata di un mortale nemico straniero. E, se si vuole usare un termine enfatico, si intuisce il miracolo di una resistenza inaspettata e sorprendente.

Ed è in Stalingrado che la prosa di Grossmann che si costruisce come oggettiva e che nulla concede alle astrazioni riesce a restituirci il senso del sorgere del sentimento collettivo che fa dire ai soldati (russi? sovietici? ) “basta con la ritirata” senza con questo tacere delle diserzioni, dei voltafaccia, delle fughe e degli errori militari. Della decisione di Stalin e del suo ordine di difendere a oltranza la città Grossmann dice che si trattò di una fortunata coincidenza o al più di una intuizione quella che mise in sintonia il sentimento diffuso tra soldati e ufficiali con la volontà del Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Presidente del Consiglio dei ministri dell’URSS, Commissario del Popolo per la Difesa dell’Unione Sovietica.

E sulla domanda “russi o sovietici”, si può ricordare che la parola dilogia non significa soltanto coppia di opere ma anche ambiguità. E per chi terminerà la fatica di concludere la lettura della dilogia grossmanniana il senso di questa ambiguità si presenterà con forza. Con ciò –di nuovo- non si vuole insinuare che lo scrittore ceda a un giudizio compromissorio, a una qualche forma di giustificazione, a un “sì… ma…”. A noi Grossmann sembra dire che l’ambiguità è parte del percorso storico che si muove oltre le intenzioni e le interpretazioni e che genera una situazione in cui le grandi parole e termini dell’ideologia (di ogni ideologia) rivelano costantemente un rapporto contraddittorio e ambiguo con gli individui e le situazioni. Ma queste considerazioni non approdano né a un relativismo né a uno scetticismo: il bene in Grossmann esiste eccome, nonostante la Storia e le sue ambigue e fallaci interpretazioni.

Ad ogni modo, il farsi del momento di presa di consapevolezza collettiva per cui il nemico va fermato e che la ritirata deve essere interrotta sarebbe indescrivibile senza ricorrere a concetti astratti per uno scrittore meno profondo, determinato e partecipe. Si tratta, io credo, di uno dei risultati più straordinari della scrittura di Grossmann che dal canone del realismo socialista riesce a trarre la plausibilità di ciò che racconta, descrive e –in qualche misura- plasma in quanto concetto complesso.

D’altro canto, molto più che in Vita e destino, in questo primo libro abbondano i concetti imperativi, gli slogan più comuni del tempo. “Patria socialista”, ad esempio, è un termine che è spesso ripetuto nella prima parte di Stalingrado: tanto ripetuto da diventare quasi fastidioso, mentre in Vita e destino Grossmann fa dire a Magar, bolscevico disilluso “…si sono messi mostrine e uniformi e predicano il nazionalismo, hanno levato il pugno contro la classe operaia…” .

Ma anche in questo caso, le profonde convinzioni personale di Magar non sono un giudizio dell’autore filtrato nella scrittura e restano di Magar: le parole, i pensieri, le convinzioni dei personaggi costituiscono per la scrittura grossmanniana elementi della realtà. In altre letterature la distanza tra realtà e interpretazione della realtà da parte dei personaggi è una relazione gestita dallo scrittore che si mette in terza posizione e talvolta esercita ironia e giudizio. Grossmann si astiene da interpretazioni filosofiche o psicologiche ed è dedito al suo realismo anche quando l’argomentazione si fa astratta, riflessiva, filosofica. Dunque la Patria socialista nasce davvero a Stalingrado e in Stalingrado ma come frutto di un fluire delle cose umane inesausto, contraddittorio, sovra-individuale, non predeterminato e non soggettivo. Tutt’altro che slogan sono dunque i suoi termini.

Ugualmente, nel capitolo di Vita e destino dedicato alla incredibile resistenza dei soldati sovietici al “civico 6/1” assediato, tutto dei comportamenti si palesa come la proiezione cristallina di coscienze che si sono fatte tutt’uno con il destino e che non deflettono se non per donare a esso la propria umanità. Sarebbe davvero facile cadere nella retorica e non essere all’altezza di quella situazione estrema. Si potrebbe fare sì che il lettore appena smaliziato senta montare scetticismo e incredulità. Oppure si potrebbe far sì che il lettore fugga, si sottragga al peso della situazione. E invece il realismo di Grossmann mantiene lo stigma del vero, affidandosi al puro linguaggio guardandosi dalle spiegazioni, dalle interpretazioni, dai giudizi che rimangono tutti affidati al lettore onesto il quale sarà libero di ricordare o meno l’ambiguità della “patria socialista” ma non potrà non essere sconvolto dalla narrazione di questo episodio della battaglia di Stalingrado.

Ma, tornando alla relazione tra Stalingrado e Vita e destino, forse è utile paragonarne i “luoghi”. Per Stalingrado abbiamo molte relazioni familiari in primo quelle della la famiglia Saposnikov, i colleghi del fisico Strum, il comitato regionale del partito di Stalingrado, l’orfanatrofio, la riunione dei direttori di fabbrica a Mosca, la miniera, l’accerchiamento di Krymov, Il quartier generale della 50° armata, il fronte sudoccidentale e il suo stato maggiore, lo Stato Maggiore Generale a Mosca, i soldati e gli ufficiali combattenti a Stalingrado, gli ufficiali e i soldati tedeschi. In Vita e destino troviamo di nuovo la famiglia Saposnikov, i colleghi del fisico Strum e i suoi amici a Kazan, il campo di concentramento tedesco, il lager russo, il vagone blindato e la camera a gas, la Lubjanka, la città di Kujbysev, la centrale elettrica di Stalingrado,la città di Ufa, piloti e ufficiali dell’aviazione rossa, i carristi di Novikov, soldati e ufficiali a Stalingrado, soldati al civico sei/1, la steppa calmucca, soldati e ufficiali tedeschi a Stalingrado.

Tra Stalingrado e Vita e destino c’è –inutile dirlo- una relazione stretta e necessaria che consente allo scrittore di approfondire il movimento dei protagonisti senza che questa spiegazione cada nel romanzesco, nel ricorso alla descrizione di un personaggio.

Ad esempio, in Stalingrado si parla di Abarcuk, un fanatico che rifiuta di dare il suo nome al figlio sospettando la madre di inclinazioni piccolo borghesi. Egli si espone alla catastrofe per l’eccessivo fervore ideologico che non è in grado di mediare con la iniziatica necessità dello Stato che è sì il Moloch, ma un Moloch funzionale a una società e ai suoi meccanismi e dunque perversamente prosaico. In Vita e destino lo ritroviamo in un lager, sospeso dal partito e interdetto dal diritto di chiamare “compagno” il suo guardiano (“Per lei io sono il cittadino capo” gli dirà durante un incontro). Egli considera la propria detenzione più che un errore o un abominio una prova della propria fedeltà: avrebbe il solo desiderio di organizzare i prigionieri per combattere dentro il campo una battaglia per lo Stato socialista, per rendere il lager più efficiente e efficace. Di lui Grossmann scrive lungamente; ma, in sintesi, ci dice:

“La sua forza interiore, la sua fede erano il suo potere discrezionale. Aveva dubitato della moglie e si era separato. Non l’aveva creduta capace di fare del figlio un combattente inflessibile e aveva deciso di non dargli il suo nome. Condannava i dubbiosi, disprezzava chi si piangeva addosso e le persone di poca fede. Aveva portato in tribunale gli ingegneri del Kuzbass che avevano nostalgia della famiglia a Mosca. Aveva fatto condannare quaranta operai socialmente ambigui che avevano lasciato il cantiere per tornare al paese. E aveva rinnegato suo padre, un borghese.” …

E ancora “Perdere il potere di decidere per lui equivaleva a perdere se stesso.”

Abakurc ritrova nel lager il suo antico amico, compagno e mentore Magar, che abbiamo già nominato più sopra. L’antico comunista rivoluzionario Magar sta morendo; ma non vuole andarsene senza prima consegnare le sue conclusioni umane e politiche al discepolo e così gli descrive non solo il fallimento della conduzione della rivoluzione nei suoi sviluppi ma anche nei suoi presupposti. Gli dice anche che l’incapacità dei prigionieri di ammettere gli errori e il loro mantenersi saldi all’ortodossia rivoluzionaria sono atteggiamenti difensivi, sono il frutto della necessità di sopravvivere. “Là fuori, oltre il filo spinato, lo spirito di conservazione ingiunge agli uomini di cambiare per non lasciarci la pelle, per non finire nei lager… (…) Qui, invece, in lager, quello stesso istinto ci intima di non cambiare (…) resta come sei per i dieci anni che starai qua, è questa la salvezza… Le due facce di una moneta di rame…” Abakurk, furente, se ne va dicendo “Tornerò… Te lo rimetto a posto io, il cervello. Adesso tocca a me farti da maestro.” Ma questo non potrà essere perché l’antico compagno la mattina dopo si sarà già impiccato.

Abakurc, dal canto suo, attenderà di essere ucciso dalla mafia del lager ricordando moglie e figlio.

Ancora sul tema della relazione tra i due libri, a dimostrazione di quanto lo scrittore abbia lavorato a legarli c’è la vicenda del diario in cui la madre descrive al figlio con lucidità sovrumana la vita del ghetto, il presentimento della fine fino al momento del rastrellamento finale. Il quaderno viene spedito al figlio, riesce a attraversare le linee e giunge a Sturm che è sul piede di partenza verso Mosca. Lì l’accademico dovrà incontrarsi con gli altri fisici dell’istituto, confrontarsi con la direzione e cercare di farsi approvare le sue linee di ricerca. Durante il viaggio in treno Sturm non ha il tempo di aprire il pacchetto sporco e stropicciato di cui ignora il mittente. Recatosi da Mosca nella sua dacia, chiusa da mesi e semi saccheggiata, al fine di recuperare degli oggetti necessari alla famiglia, andando a letto se lo ritrova in tasca, lo apre, comprende da chi proviene e lo legge per tutta la notte. La mattina seguente, “Strum si alzò da tavolo, strappò la coperta dalla finestra e la spalancò.Il sole bianco del mattino era alto sull’abete accanto allo steccato, e tutto il giardino era in un bagno di rugiada: foglie, fiori e fili d’erba sembravano cosparsi di minuscoli frammenti di vetro. A turno o tutti assieme, gli alberi erano un’esplosione di cinguettii.
Victor Pavlovic andò allo specchio appeso alla parete: si aspettava di vedere una faccia scavata e labbra tremanti; invece aveva la stessa, identica espressione del giorno prima. Gli occhi erano asciutti, nemmeno arrossati.
<<Così è, insomma>> disse ad alta voce .
Aveva fame; staccò un pezzo di pane e cominciò a masticarlo, lento, fissando concentrato un filo rosa che penzolava tremante dalla coperta.
<<E’ la luce del sole che lo culla>> pensò.”

Il contenuto del quaderno la cui lettura viene presentata con la secchezza delle righe qui sopra 6 e che si porta appresso il peso di una tremenda nota autobiografica diverrà il capitolo 18 del libro primo 7. Si tratta di un racconto straziante; ma anche successivamente Grossmann ci offrirà delle pagine terribili sull’olocausto in cui descriverà il viaggio e la soffocazione degli occupanti di un vagone piombato tra cui David, un ragazzino che fa da testimone e che vede negli occhi del carnefice quelli del lupo delle favole.

Sì, quest’opera non ci risparmia nulla, e inchioda il lettore senza consentirgli un respiro, una pausa morale, fosse solo l’ammiccamento dello scrittore che indirettamente, con la padronanza della sua arte, può occhieggiare discreto e proporsi come mediatore rassicurante. Grossmann non ci offre consolazione né rassicurazione e ci consegna tutta la responsabilità delle emozioni, della sensibilità e della responsabilità. Grossmann ci offre un grande, unico libro che solo in mancanza di una definizione migliore si può definire romanzo. E’ un’opera che molti hanno voluto e desiderato paragonare a Guerra e pace, all’opera di Tolstoj, ma che forse si potrebbe accostare a quella di Dostoevskij se all’animo individuale sostituissimo la coscienza collettiva di una generazione che visse l’epoca di grandi speranze, terribili sconfitte e amarissime vittorie.

Vasilij Grossmann sviluppò una critica radicale agli esiti e ai presupposti dell’azione rivoluzionaria di Lenin e dei suoi successori. Della visione del novecento di questo scrittore, che sarà esplicitata in “Tutto scorre…” (composto tra il 1955 e il 1963) meriterebbe discutere ampiamente: la forza con la quale l’autore solleva la testa sopra gli avvenimenti senza perderne il più minuto particolare e la dedizione con cui lavora alla realtà del vero rendono indispensabile la sua testimonianza, le sue riflessioni nonché la sua arte, raggiunta con fatica e sofferenza, “per una giusta causa”.

Giancarlo Scotoni

Per approfondire, tra i tanti (tra cui non inseriamo la voce di wikipedia fatta di trasandatezza e pregiudizio valoriale):

https://www.criticaletteraria.org/2022/05/stalingrado-grossman-adelphi-libro.html di Deborah Donato

https://www.avvenire.it/agora/pagine/grossman-la-vita-e-il-destino-del-900 di Roberto Righetto

https://www.ibs.it/vita-destino-nuova-ediz-libro-vasilij-grossman a cura di Wuz.it recensione di Marilia Piccone

 

https://grossmanweb.eu/

  1. Alla prima edizione, seguirono due diverse versioni riviste dall’autore nel 1954 e nel 1956, ognuna con caratteristiche diverse, conformi alla contingenza storica: mentre in quella del ’52 (uscita in piena repressione staliniana antisemita con il pretesto del “complotto dei medici”), venivano censurate tutte le parti che si riferivano a personaggi e situazioni che riconducevano agli ebrei e all’eccessivo peso dato al loro sterminio; nelle altre due edizioni, all’inizio della destalinizzazione, si procedette a una nuova e differente “epurazione”, alleggerendo tutti gli aspetti che esaltavano troppo il ruolo di Stalin. Da Vita e destino di un capolavoro / Stalingrado di Vasilij Grossman di Francesco M. Cataluccio.[]
  2. Le offensive sovietiche che porteranno all’accerchiamento dei tedeschi a Stalingrado e alla eliminazione della sacca passeranno per i tratti di fronte tenuti da romeni prima e da italiani poi.[]
  3. Stalingrado, Adelphi, 2022, p. 33[]
  4. Nel 1917, sotto il governo di Lenin, l’omosessualità venne decriminalizzata e fu permesso anche ai gay di entrare nel Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Poi, nel 1924, l’omosessualità venne criminalizzata in alcune repubbliche della federazione, eppure il concetto del rispetto della libertà dell’individuo permise alla legislazione sovietica sull’omosessualità d’essere indicata come valido esempio al Congresso mondiale della Lega per le riforme sessuali tenutosi a Copenaghen nel 1928. Nel 1930 l’omosessualità venne riconosciuta come malattia e negli anni trenta iniziò un periodo di repressione generale della sessualità (il “Termidoro sessuale”) e in tutti i codici penali delle Repubbliche sovietiche furono introdotti articoli contro l’omosessualità. Col decreto del 17 dicembre 1933 e con la legge del 7 marzo 1934, l’omosessualità divenne di nuovo un reato. Tratto da wikipedia, Persecuzione dell’omosessualità in Unione Sovietica.[]
  5. Dei meccanismi della rimozione, della complicità con il preteso bene dello Stato, dell’autoinganno Grossmann scriverà ancora diffusamente in Tutto scorre… , Adelphi, 1987[]
  6. Stalingrado, Adelphi 2022 pag 324[]
  7. Vita e destino, Adelphi, 2022 pag 85-98[]
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4 Commenti. Nuovo commento

  • Angela Ida De Benedictis
    10/09/2023 2:46

    Gentile Giancarlo, ho appena letto il suo intervento “Stalingrado”, necessaria premessa a “Vita e destino” (del 14.9.22) e mi è piaciuto molto. Mi permetto di segnalarle un errore in merito ai nomi dei personaggi. Quando, parlando di Novikov, scrive del «suo innamoramento per Vera e lo stentato nascere di una relazione tra i due. Vera fu moglie di Krymov» è chiaro che si sta riferendo a Zenja (di cui Vera è la nipote, a sua volta innamorata del pilota Novikov). Mi scusi la pedanteria, e ancora grazie per il suo bel contributo, Angela Ida De Benedictis

    Rispondi
    • redazione
      13/09/2023 11:40

      Sì, certo, ha ragione lei, cara Angela. E grazie per avermi consentito di sorprendermi ancora per la profondità di affetto che i personaggi di Grossmann sono capaci di suscitare.

      Rispondi
  • Buongiorno, dunque cosa è consigliabile leggere prima?

    Rispondi

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