Pubblichiamo, da noi tradotto dall’originale in inglese, con il consenso dell’autore, questo articolo pubblicato il 17 novembre 2023 sul suo blog e successivamente sul sito di Mada Masr, importante rete di giornalisti indipendenti egiziani.
È così difficile spegnere la radio e dimenticare gli accadimenti sul campo, soprattutto perché ero lì anni fa, e ora mi ritrovo a non trovare pace a immaginare l’entità della distruzione. Ogni ora, ogni evento conta nella tragedia di Gaza. Ogni scritto sulle piattaforme occidentali e arabe merita uno sguardo, con la speranza di individuare un interludio di silenzio nei cieli o un cessate il fuoco sul terreno. Ma nulla di tutto ciò.
Le uniche notizie che non riesco più a leggere sono quelle nella mia lingua, poiché la maggior parte di esse sono semplici traduzioni del lavoro investigativo di qualcun altro, molte altre sono comunicati delle autorità israeliane, e sono rari gli articoli che tentano di qualificare le cose per quello che sono. Il mio Paese, un tempo innamorato del popolo palestinese, è diventato una cassa di risonanza per slogan vuoti che celebrano la saga dei nuovi Crociati, araldi della vendetta di Dio contro il brutale terrorismo che minaccia tutti noi. Il mio Paese è popolato da opinion makers, giornalisti e politici che non hanno mai messo piede in nessuna enclave palestinese e, nonostante ciò, pretendono di sapere tutto. Sono fantasmi che parlano di fantasmi. In una pantomima che maschera sentimenti antiarabi e islamofobici, invocano la guerra.
La solitudine, la solitudine palestinese – non potrei chiamarla diversamente – alla fine si trasformerà in qualcos’altro quando la guerra finirà, e finirà, probabilmente, quando le vittime raggiungeranno un rapporto di 30 a 1, o quando tutti gli edifici saranno rasi al suolo. La solitudine allora avrà il significato di un allontanamento, di una rimozione, di un sentimento di fastidio per il resto del mondo.
La solitudine palestinese in Italia si manifesta chiaramente nell’assenza delle sue bandiere; dicono che non sia appropriato ostentare le bandiere di una nazione colpevole di atti terroristici. Niente bandiere nazionali, niente kefiah, nemmeno alle manifestazioni politiche dei partiti progressisti come il Partito Democratico. Bandiere della pace, questo è tutto. Solo bandiere della pace. La pace come definita dall’Occidente: noi dall’alto e voi dal basso, come i villaggi palestinesi della Cisgiordania situati sul fondo di strette valli e dominati dagli insediamenti israeliani sulle colline. La nostra pace, noi dall’alto e voi dal basso. E guai a coloro che osano sfidarci.
Solitudine in Occidente, solitudine in Medio Oriente, tra monarchi arabi e Capi di Stato che condannano i crimini di guerra israeliani ma non sono in grado di fermare la guerra o imporre un cessate il fuoco, eunuchi impotenti, rappresentanti illegittimi delle loro nazioni, oppressori autoritari o auto-dichiaratisi inviati del Profeta sulla terra. Sono marmaglia privilegiata, in Siria, Egitto e Arabia Saudita, che reprimono il dissenso e la libertà di pensiero del proprio popolo, ma sono impotenti quando si tratta della causa palestinese e del popolo palestinese senza Stato. Quei re e presidenti hanno già abbracciato la nuova ideologia che sostiene che tutte le forme di resistenza sono atti di terrorismo, il che serve piuttosto bene ai loro interessi e ai loro scopi.
Lo scrittore e attivista egiziano Mahmoud Hadhoud scrive: “Oggi, qualsiasi forma di resistenza, soprattutto nel quadro delle lotte nazionali per la liberazione, costituisce un atto di “terrorismo”. Questa è l’accusa imposta dal nuovo ordine internazionale per giustificare la repressione dei movimenti di resistenza. Se questo cosiddetto ordine pretendesse di fondare la propria legittimità sul diritto internazionale e sui diritti umani, allora il “terrorismo” sarebbe l’accusa appropriata per bollare i suoi oppositori come violatori del diritto internazionale e dei diritti umani”.
La solitudine è ovunque, in Occidente, nei paesi arabi vicini e nello stesso Israele, dove gli ebrei che rifiutano il fascismo e lottano per la decolonizzazione e l’autodeterminazione palestinese sono demonizzati. Le loro voci sono potenti ma continuano a essere isolate e messe a tacere dal loro Governo, che usa gli arresti per sconfiggere il dissenso interno sulla guerra di Gaza. La solitudine dei giusti denunciata dal quotidiano Haaretz.
Noi, tuttavia, possiamo ancora trovare conforto tra coloro che protestano pubblicamente nelle strade, sfidando le critiche unilaterali e schivando i manganelli della polizia. I manifestanti che chiedono la fine di questa guerra hanno la simpatia di molte persone nel segreto dei loro cuori, ma non quella di chi è al potere. Sfortunatamente, è così che succede quando sei solo, senza il sostegno del Governo, dei media mainstream o di altre entità potenti. Potresti essere percepito come sospetto, un collaboratore dei “terroristi”. Oh, il terrorismo, come se fosse una metodologia candida e innocente di classificazione di nazioni ed entità. Andrea Amato, protagonista del dialogo mediterraneo e fondatore dell’Istituto per il Mediterraneo (IMED), scrive: “Dopo il 7 ottobre è sembrato che da parte dell’opinione pubblica e dei media si riconoscesse il carattere terroristico dell’aggressione di Hamas soprattutto per l’efferatezza e la crudeltà dei crimini commessi. Ma da un punto di vista etico e umanitario, qual è la differenza tra i bambini sgozzati da Hamas e quelli morti, spesso ustionati, per le bombe di Israele. Siamo arrivati al paradosso che nel comune sentire i crimini di guerra e quelli contro l’umanità sono meno gravi di quelli del terrorismo.”
Solitudine, perché a voi palestinesi non verrà data l’opportunità di ricostruire; non siete adatti alla democrazia, né alla stabilità, né a uno Stato. Voi rappresentate tutto ciò che non è adatto all’Occidente moderno.
Tuttavia, l’“inadeguatezza” di cui siete gravati è forse la vostra salvezza. La vostra imperfezione è la nostra salvezza. La vostra demonizzazione è la nostra disumanizzazione. La vostra morte quotidiana è la nostra ineludibile tomba. Voi siete soli, noi siamo perduti. Perduti nell’etnocentrismo, nell’egoismo e nella cecità. Perduti nella traduzione, perduti nell’umanità.
È così difficile sentirsi impotenti, incapaci di fare qualcosa di significativo per fermare questa guerra, nemmeno parlarne con i nostri concittadini perché non capiscono. Vedono solo il terrore orientale e la supremazia occidentale, mentre mi sento mal giudicato quando tiro fuori la mia kefiah dall’armadio e cammino per strada, osservato da occhi segreti e additato dai nostri opinion-makers.
Voi morite negli ospedali colpiti dalle nostre armi mentre noi perdiamo la nostra anima in discorsi senza senso e privi di verità. Siete minacciati dall’avvento di una nuova Nakba, da un nuovo sfollamento di massa, mentre noi invitiamo gentilmente i vostri occupanti a umiliarvi con dolcezza.
Solitudine palestinese, davvero. Ma siate certi che la solitudine non significa necessariamente sconfitta, perché voi, i più soli, possedete ancora le chiavi della redenzione. Solo l’oppresso può liberare il suo oppressore dal senso di colpa e dall’ostracismo. Solo la riconciliazione basata sul riconoscimento della sofferenza palestinese può portare la pace alla società israeliana. Non c’è vittoria più grande del potere delle persone in lutto di diffondere la verità e ripristinare la pietas nelle comunità attraversate dall’odio e dal risentimento.
Altri sono quelli che rimarranno irredenti: quelli intorno, come noi europei, spettatori lontani e distratti di questa guerra, di questa lotta di lunga durata durante la quale siete stati spogliati di tutto, fuorché delle vostre anime. Soli con i nostri castelli di carte; eccoci invece qui a istruire i nostri vicini arabi su cosa hanno diritto e cosa no. Moralisti immorali e maestri del doppio standard.
Ci siamo persi. Persi nella traduzione, persi nell’umanità, a meno che non alziamo la voce contro la guerra, la violenza e l’impunità di Israele oggi e di altri domani.
La solitudine non è una malattia incurabile. Questo è ciò che ci insegnano i palestinesi.
Gianluca Solera, scrittore, attivista per il Mediterraneo è, tra l’altro, autore di Muri, lacrime e za’atar. Storie di vita e voci dalla terra di Palestina. Nuovadimensione, 2007.