focus

 Seminario di transform, 14 giugno 2023 – intervento di Franco Russo

di Franco
Russo

1.

Le guerre, e la guerra imperiale della Russia di Putin contro l’Ucraina in particolare,  oltre a mietere vittime civili innocenti, a devastare città e distruggere l’ambiente, alterano la scena economica, sociale, istituzionale in ogni parte del mondo. Tra le vittime, e non solo simboliche, ci sono il diritto internazionale e l’ONU, che dovrebbe esserne il depositario e garante. La grande innovazione del diritto internazionale, grazie alla tragica lezione della II Guerra mondiale, è stata di basare i suoi principi sui ‘mai più’: mai più genocidi, mai più razzismo, mai più discriminazioni, mai più guerre. Mai più guerre ha significato che agli Stati veniva sottratto lo jus ad bellum, di cui fino ad allora avevano goduto sia pure con i vincoli introdotti dalle Convenzioni dell’Aia del 1899 e del 1907 per limitare e regolamentare lo jus in bello. Con l’istituzione dell’ONU gli Stati non godono più del diritto di condurre guerre, perdendo così la sovranità il suo tratto più caratteristico e più gelosamente custodito. Gli Stati non avrebbero dovuto più esercitare il potere di fare né guerre né azioni militari se non per difendersi da un’aggressione armata, e avrebbe dovuto essere l’ONU a proteggere l’eventuale aggredito ponendo termine all’aggressione anche con mezzi militari. Inoltre, la sovranità statale non è più legibus soluta, perché gli Stati sarebbero tenuti a rispettare i diritti universali di cui godono tutti gli esseri umani rispondendo delle loro eventuali lesioni nei tribunali internazionali. Tutto questo non si è mai realizzato perché la struttura dell’ONU, con il potere di veto delle ‘cinque potenze’, ha reso impossibile dare attuazione alla sua Carta istitutiva, anzi esse si sono distinte per aver dato vita a guerre devastatrici e condotto azioni militari per proteggere i propri interessi e affermare il proprio potere geopolitico – innanzitutto gli USA e la Russia, prima sovietica e poi post 1989.

L’ONU e i suoi principi sono stati così letteralmente demoliti, e sta anche a noi dar vita a un movimento di lotta per il diritto internazionale, fondato sulla pace e sui diritti universali. Transform può essere uno dei veicoli di questo movimento che sostenga anche le mobilitazioni per la pace in Ucraina, una pace che salvaguardi il suo popolo e ponga fine alle alleanze militari che sono solamente strumenti di dominio e oppressione.

2.

Nella guerra e attraverso la guerra si va ridefinendo la geografia delle produzioni  e le gerarchie di potere a livello mondiale. Si noti bene che non è più l’epoca dell’imperialismo classico, quando il commercio seguiva le bandiere, per usare un’espressione di Luigi Einaudi (La condotta economica e gli effetti sociali della Guerra italiana, Bari 1933, p. 28), oggi vale il viceversa: sono le bandiere a seguire il commercio, fuor di metafora sono gli eserciti che rispondono alle esigenze dei ‘capitalismi globalizzati’. Con la guerra contro l’Ucraina, Putin ha aperto il vaso di Pandora, perché è divenuto conflitto aperto quello che da anni era condotto con le armi della produzione di merci e del commercio tra le grandi aree: Usa, Unione Europea (UE), e Cina. Tra di esse nell’epoca d’oro della globalizzazione, che ebbe il suo punto di svolta con l’ingresso della Cina nel WTO (dicembre 2001), si istituirono rapporti produttivi e commerciali intensi, mentre la Cina divenne la ‘fabbrica del mondo’, producendo semilavorati per le multinazionali, che a loro volta vi impiantarono siti produttivi,  e  fornendo al mondo intero merci di largo consumo. Nel corso degli ultimi due decenni, la crisi climatica e la rivoluzione digitale hanno imposto alle società capitalistiche la duplice transizione ‘verde’ e ‘digitale’, che richiede ingenti risorse finanziarie e materiali, e la Cina da fabbrica servente il mondo ha compiuto salti tecnologici che fanno delle sue imprese competitors agguerriti. In gioco ci sono le gerarchie di dominio economico-commerciale, la cui definizione ha subito una brusca accelerazione con la guerra nel cuore dell’Europa. La guerra di Putin ha modificato le strategie di approvvigionamento delle materie prime e dell’energia necessarie alla ‘duplice transizione’, imponendo misure di ri-localizzazione  delle produzioni con una diversa articolazione delle catene produttive – il cosiddetto friendly reshoring – e di diversificazione delle fonti energetiche.

Lo strumento militare della NATO, che sembrava essere obsoleto – Macron parlò di sua morte celebrale –, è di nuovo attivato, con operazioni su scala globale visto che  interviene perfino nello scacchiere del Pacifico anche se per ora solo a livello politico.  La NATO è chiamata a rinsaldare i legami tra USA e UE, le quali stanno affrontando la guerra in Ucraina contro Putin e la sua politica di espansionismo imperiale, e al contempo confrontandosi con la Cina intenta ad affermarsi come superpotenza globale. Sono  in gioco le relazioni con i paesi del ‘Sud del mondo’ fornitori di materie prime ed energia, necessarie per vincere la competizione sui mercati globali.

3.

Il governo di destra guidato da Giorgia Meloni agisce in questo quadro internazionale                    che sovradetermina le scelte di politica interna, e lei ne ha compiuto due particolarmente significative: schierarsi senza se e senza ma con la NATO e allinearsi alle politiche dell’UE, sostenendo cioè l’euro-atlantismo e divenendo protagonista con il ‘piano Mattei’ di alcune iniziative che si coniugano con il Global Gateway. Questo è il programma del’UE per stringere legami con i paesi del ‘Sud del mondo’ al fine di garantire alle proprie imprese materie prime ed energia indispensabili alla ‘duplice transizione’. Qui è bene fare due precisazioni. La prima, molto drammatica per la sinistra alternativa, è che le classi dirigenti dei vari sistemi capitalistici si fanno portatrici di ‘rivoluzioni’ che pur non essendo tali sicuramente comporteranno delle ‘distruzioni creatrici’, perché i vecchi paradigmi produttivi saranno sostituiti con quelli che si basano su Artificial Intelligence e transizione energetica, nella completa assenza delle forze di alternativa, tranne talune mobilitazioni socialmente forti quanto strategicamente deboli. Giusto difendere salari, pensioni, condizioni di lavoro, servizi pubblici ma lo si può fare senza un quadro di riferimento che contrasti le innovazioni capitalistiche, ‘verde’ e ‘digitale’?

Il governo Meloni è parte attiva delle politiche euro-atlantiche: sostiene le scelte della NATO in Ucraina, il potenziamento e allargamento della sua sfera di azione, e con il ‘piano Mattei’ si adopera affinché le terre africane siano ancora una volta sfruttate quali rifornitrici di materie prime, erigendo però muri per i migranti. Giorgia Meloni coniuga liberismo economico e conservatorismo culturale, dunque chi  l’ha avversata come un’esponente del vecchio fascismo, si pensi a Enrico Letta, ha compiuto un errore di analisi costatogli la pesante sconfitta elettorale. In ogni caso è bene ricordarsi che anche Mussolini, salito al potere ammantandosi di retorica sovversiva contro la plutocrazia, scelse come suo ministro delle finanze De Stefani, un convinto liberista. Il governo Meloni coniuga liberismo e regalie fiscali ai ‘ceti medi produttivi’ per cementare un blocco di potere, la cui direttiva di marcia rimane ‘la massima libertà d’azione’ delle imprese.

Prima di concludere avanzo due riflessioni. La duplice transizione dei vari sistemi capitalistici, che si affrontano nella competizione globale, lungi dal prospettare un futuro di produzioni de-materializzate,  richiederà enormi quantità di nuove e vecchie materie prime.

Certo oggi sono divenute indispensabili litio, cobalto, grafite, nichel, terre rare, ma queste si aggiungono non sostituiscono i vecchi minerali quali ferro e rame, come appare evidente anche nel caso dell’energia, dove le nuove fonti rinnovabili non stanno sostituendo bensì integrando quelle fossili. L’impronta ecologica lungi dall’attenuarsi è destinata ad essere sempre più profonda.

La seconda riflessione è che il conflitto geo-economico avviene tra ‘grandi aree’ – USA, UE, Cina-Russia-BRICS –, che tuttavia al loro interno non sono ‘pacificate’; senza rispolverare antiche espressioni come ‘conflitti interimperialistici’, pure non si può non rilevare come tra USA ed UE, tra Cina Russia e ‘Sud globale’ emergono conflitti di interessi economici e strategici. Basta pensare all’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden, a cui l’UE ha reagito chiedendo una sua attenuazione con possibilità di accesso da parte delle aziende europee ai suoi benefici e rivedendo la normativa degli aiuti di Stato, per favorire il sostegno pubblico alle imprese private. Parimenti la Cina è grande alleato della Russia, di cui tuttavia sfrutta le debolezze per approvvigionarsi di energia a costi di favore (al pari dell’India). Ancora: gli Stati europei dipendono per la loro sicurezza dalla potenza militare degli USA, comunque l’UE e i suoi singoli Stati membri tendono a realizzare una propria autonomia strategica,  puntando al rafforzamento della industria bellica e al coordinamento più stretto tra gli eserciti, sempre nel quadro dell’alleanza atlantica. Ė il caso della Germania che ha stanziato cento miliardi per i prossimi anni per rafforzare i propri armamenti varando la strategia per una Integrierte Sicherheit für Deutschland (Sicurezza Integrata per la Germania); oppure, sempre per esemplificare, il dissidio tra UE e USA riguardo alla Cina: mentre l’amministrazione Biden la considera un nemico strategico, von der Leyen, e con lei le classi dirigenti UE, parlano di de-risking, ma non di de-coupling, per salvaguardare i legami economici e commerciali con il grande e dinamico mercato cinese.

Sulla suggestione avanzata da Bertinotti, la ‘rivolta’ quale via per sovvertire il capitalismo, debbo ipotizzare che, non essendo certamente né lui né noi blanquisti, alluda alle rivolte ‘spontanee’, ma queste purtroppo non sono prevedibili, anche se auspicabili. In ogni caso, se le rivolte non sono in grado di aggredire le strategie capitalistiche rischiano sempre l’autoconsunzione. Noi oggi poco possiamo, siamo al limite dell’impotenza politica, tuttavia  siamo ancora in grado di organizzare mobilitazioni per contrastare le strategie capitalistiche, le derive oligarchiche delle nostre istituzioni politiche e le disuguaglianze sociali sempre più accentuate, accumulando esperienze e idee per un altro mondo possibile.

Franco Russo

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