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Sbarco in Normandia e guerra in Europa

di Luciano
Beolchi

In questi giorni si commemora lo sbarco degli angloamericani in Normandia del 6 giugno 1944, il D-Day. Dal giugno 1941 a quella data l’Unione Sovietica aveva retto da sola il peso dell’aggressione nazifascista all’Europa, dopo che la Francia era crollata e l’Inghilterra aveva abbandonato il continente. Nell’autunno 1941 erano cominciati la battaglia di Mosca e l’assedio di Leningrado che sarebbe durato 900 giorni. Fin dal luglio 1941 Stalin aveva posto come richiesta prioritaria agli alleati l’apertura di un secondo fronte in Europa. Tra giugno e dicembre le perdite tedesche in Russia erano state di 750.000 uomini contro i centomila persi nel primo anno di guerra in Francia e in Norvegia, ma le perdite sovietiche erano state catastrofiche in termini di uomini, di materiali, di territorio e di risorse. Nonostante gli sforzi fatti per spostare a oriente milioni di persone e migliaia di fabbriche ci voleva ancora tempo per riavviare la produzione e l’aiuto degli alleati era indispensabile. Quando incontrò Stalin a Mosca nell’autunno del 1941 la delegazione americana fu sorpresa nel sentirsi porre tra le richieste prioritarie quella di 30.000 tonnellate di alluminio per costruire aerei: segno che l’Unione sovietica guardava le cose in prospettiva e non aveva nessuna voglia di cedere. I sovietici si mostrarono sempre grati dell’aiuto americano, tuttavia non è da pensare che la vittoria sovietica si sia basata su di esso. Più precisamente, durante tutta la guerra, dal 1941 al 1945 il 90% del materiale bellico utilizzato sul fronte russo fu di produzione sovietica e lo sforzo di spostare le fabbriche e di costruirne moltissime nuove si dimostrò efficace. Le fonti occidentali e in particolare i rendiconti del Lend and lease programme americano di prestiti e affitti all’URSS, ma anche la Storia dell’Urss del Boffa sono in proposito molto precise: gli angloamericani provvidero 18.700 aerei contro 137.000 fabbricati in Urss nel periodo bellico; 10.800 carri armati medi contro 102.000 fabbricati in Urss; 10.000 cannoni contro 500.000 prodotti in Urss. Dunque di materiale strettamene bellico circa il 10%. Determinante fu invece la fornitura di veicoli americani, circa 400.000, che trasformarono un esercito appiedato in un esercito almeno parzialmente veicolato. Nel periodo bellico furono forniti dagli angloamericani circa 2 milioni di tonnellate di carburante. Tra le materie prime si rivelarono decisive proprio quella fornitura di alluminio che Stalin aveva chiesto nel luglio “41 e la fornitura di scatolame che salvò molti russi dalla morte per fame. Il secondo fronte, la cui apertura era stata solennemente promessa per il 1942 avvenne invece nel 1944; e sopportando per due anni il peso di tutto l’esercito tedesco i sovietici ripagarono in abbondanza il debito.

Per due anni l’URSS da sola resse l’urto di 250 divisioni tedesche appoggiate dagli alleati rumeni ungheresi e italiani: circa il 90% dell’esercito tedesco. L’Afrika Korps che rese famoso Rommel non contò mai più di 5 divisioni.

Tra maggio e giugno 1942 Molotov si era recato nelle due capitali alleate per incontrare Churchill e poi Roosevelt che aveva garantito l’apertura del secondo fronte entro il 1942, impegno che Molotov aveva immediatamente comunicato a Mosca. In Unione Sovietica la notizia fu accolta con commozione e entusiasmo, anche perché le cose in quel secondo anno di guerra non procedevano bene: in estate l’Unione Sovietica subì tre gravi sconfitte: a Karkhov, a Kercč e a Sebastopoli, che si era arresa dopo un anno di resistenza. I tedeschi erano arrivati al Volga e penetravano un profondità nel Caucaso mentre Leningrado era ancora sotto assedio. In luglio arrivò la direttiva di Stalin: non un passo indietro. L’armata rossa resistette per sei mesi a Stalingrado e solo il 19 novembre 1942 iniziò proprio lì, col fuoco di 10.000 cannoni una controffensiva che sarebbe terminata a Berlino. Quella di Stalingrado fu la battaglia decisiva della guerra, ma non risolutiva.   Nell’inverno del 1943- 1944 l’Armata Rossa passò il Dniepr in Ucraina e arrivò alla Vistola in Polonia.

L’anno successivo, il 1944, è ricordato dalla storiografia, o per lo meno da quella sovietica, come l’anno delle dieci vittorie. In gennaio veniva infranto il blocco di Leningrado. In febbraio e in marzo le truppe sovietiche avevano fatto irruzione in Romania. In aprile fu liberata la Crimea e in maggio Odessa. In giugno la Finlandia cedette le armi e si arrese.

In marzo fu liberata la Bielorussia e in luglio i russi arrivarono alla Vistola dopo un’avanzata ininterrotta di cinquecento chilometri.  Più a nord raggiunsero le frontiere della Prussia orientale. In agosto l’Armata sovietica travolse in Romania da quindici a 16 divisioni tedesche e molte divisioni Rumene. La Romania si arrese e l’armata sovietica entrò in Bulgaria e fu l’unica delle dieci operazioni in cui le perdite sovietiche furono inferiori a quelle alleate sul fronte occidentale.

In settembre l’Estonia e la maggior parte della Lettonia furono liberate. Trenta divisioni tedesche rimasero accerchiate in Curlandia. In ottobre l’Armata sovietica irruppe in Ungheria e nella Cecoslovacchia orientale e stabilì il contatto con l’Esercito Jugoslavo di Liberazione. Cominciò la lunga battaglia di Budapest che durò fino al febbraio successivo. Sempre in ottobre l’armata sovietica irruppe nella Norvegia settentrionale.

Lo sbarco degli alleati fu fatto il 6 giugno mentre l’Armata sovietica combatteva in Galizia contro i tedeschi e i loro alleati locali, quegli stessi che oggi festeggiano con Macron la vittoria antinazista, gli stessi Banderati, i collaborazionisti ucraini che quell’anno uccisero il Maresciallo Vatutin, l’unico Maresciallo Sovietico morto in combattimento durante la guerra. Non è detto che quell’attentato sia stato per tutti un male.

I bandérati o Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA1) che facevano riferimento a Josif Bandera (1901-1959) e al suo movimento OUN-B (Organizzazione per l’Indipendenza Ucraina) si vantano di essere stati allo stesso tempo antinazisti e antisovietici. Certo è che dai nazisti ricevettero una quantità di armi impressionante, relativamente all’epoca e al terreno dello scontro: che fossero seimila, come scriveva nel 1944 il loro capo militare2 o che fossero un milione, come scrisse un generoso storico di parte3, le perdite inflitte ai tedeschi e ai collaborazionisti nel corso di tutta la guerra non superarono i mille uomini.

Quello che è certo è che dai tedeschi, nel solo 1944, furono consegnate ai bandérati 10.000 mitragliatrici, tra pesanti e leggere, 26.000 fucili automatici, 72.000 fucili, 22.000 pistole, 100.000 bombe a mano e 300 radio da campo4. Sono numeri che al lettore possono dire poco, ma il loro significato e peso risultano più evidente se confrontati con la quantità di armi che il Comando generale per il Movimento partigiano poté fornire alla Resistenza sovietica dietro le linee tedesche tra il maggio 1943 e il gennaio 1944. Si trattò in quel caso di 2608 mitragliatrici, 17357 fucili automatici, 32867 fucili e carabine, 5710 pistole 590 fucili anticarro, 737 mortai e 212000 bombe a mano, per armare un movimento che era in grado di impegnare contemporaneamente oltre 96.000 combattenti, come accadde nell’attacco al sistema ferroviario del 3 agosto 19434.

Quanti che fossero i combattenti dell’UPA e quante le loro armi, conta poco rispetto a risultati a detta dei tedeschi, dei sovietici e degli stessi archivi dell’Upa obiettivamente irrilevanti, per lo meno sul fronte della lotta contro l’occupante nazista. Le perdite inflitte ai tedeschi, quei mille uomini di cui abbiamo detto, corrispondono a 1/50 o 1/100 di quelle inflitte dalla stessa organizzazione alla Resistenza Partigiana e all’Armata rossa, calcolate tra 50 e centomila uomini.

Il Feldmaresciallo Erich Von Manstein, che nella guerra contro l’URSS fu, dopo Stalingrado, il comandante del gruppo di Armate Sud, nel suo libro vanaglorioso Vittorie perdute si riferì alle unità UPA come “combattenti contro i partigiani sovietici, ma che in genere lasciavano liberi i tedeschi che cadevano nelle loro mani, togliendo loro le armi”5.

Lo sbarco in Normandia incontrò resistenza e se la liberazione di Parigi arrivò rapidamente, gli angloamericani furono fermati sulle Ardenne.  La battaglia delle Ardenne, iniziata il 16 dicembre 1944, fu la più grande (in termini di uomini impiegati) e più costosa battaglia combattuta dall’esercito statunitense nella seconda guerra mondiale (circa 39.000 perdite, tra cui però oltre 16 000 prigionieri).

Su quell’altipiano la guerra visse uno dei suoi momenti più drammatici perché gli americani furono a in passo da essere ricacciati indietro6. Il 6 gennaio Churchill scrisse a Stalin pregandolo di anticipare l’offensiva d’inverno su Berlino perché solo così si poteva evitare una vittoria tedesca. Stalin acconsentì, pur consapevole che il cattivo tempo ostacolando l’indispensabile appoggio aereo, sarebbe costata ai russi molte perdite in più. Il messaggio di Churchill era il seguente: “A ovest si svolgono combattimenti molto accaniti e l’alto comando può essere costretto da un momento all’altro a prendere gravi decisioni. Voi stesso sapete come si allarmante una situazione quando si deve difendere un fronte molto vasto dopo aver perso temporaneamente l’iniziativa. Il generale Eisenhower desidera vivamente sapere nelle linee generali che cosa voi intendete fare …(possiamo) contare su una grande offensiva russa sul fronte della Vistola o in qualche altro settore nel mese di gennaio? Ritengo la questione urgente”7.

Una volta conclusa la battaglia della Ardenne e dopo che gli angloamericani ebbero passato il Reno a Remagen il 7 marzo 1945, sul fronte occidentale8 i tedeschi smisero praticamente di resistere; solo nella sacca della Ruhr 325.000 tedeschi si arresero senza combattere. Eisenhower attraversò la Germania quasi senza combattere e raggiunse l’Elba il 10 aprile. Il 12 aprile erano a 80 km da Berlino.

L’offensiva sovietica sul fronte orientale aveva avuto inizio il 12 gennaio e permise alle armate corazzate dell’Armata Rossa di raggiungere la linea dell’Oder a 80 km da Berlino già il 29 gennaio.

Il 15 gennaio 1945 Hitler, di fronte alla catastrofe all’est aveva abbandonato il suo quartier generale di Ziegenberg ed era tornato a Berlino. Già ai primi di febbraio 1945 l’esercito tedesco all’ovest, dopo i massicci trasferimenti di truppe all’est, era ridotto a meno di 60 divisioni indebolite, di cui nove divisioni corazzate o divisioni Panzergrenadier, ma con soli 446 mezzi corazzati; a fine marzo le forze tedesche sul fronte occidentale erano state ridotte a 26 divisioni mentre l’Oberkommando der Wehrmacht  (OKW) continuava a concentrare la maggior parte delle risorse per frenare l’avanzata sovietica da est, tanto che si stimava fossero circa 214 le divisioni tedesche schierate sul fronte orientale nell’aprile 1945. In ogni caso, anche nei momenti più impegnativi dell’offensiva nelle Ardenne la percentuale di forze schierate sul fronte orientale non fu mai inferiore ai due terzi dell’esercito tedesco e dopo il suo esaurimento andò aumentando rapidamente.

All’inizio del febbraio 1945 alla vigilia dell’attacco alla Germania il totale di unità a disposizione di Eisenhower era di 90 divisioni, di cui 25 corazzate, distribuite lungo una linea del fronte sul Reno lunga 720 km, dal confine franco-svizzero fino alla foce del fiume nei Paesi Bassi per un totale di 4.500.000 uomini, 16.000 mezzi corazzati e 63.000 pezzi d’artiglieria, 28.000 velivoli. Nell’offensiva sul territorio tedesco gli americani ebbero 16.000 caduti: circa 80.000 caduti ebbero i sovietici nella sola battaglia di Berlino.

L’8 maggio 1945 nel suo Quartier Generale di Reims il generale Eisenhower firmò la bozza di resa senza condizioni presentata dal generale Jodl. Il testo fu verificato dai sovietici che proposero modifiche e il giorno successivo a Berlino venne firmato un altro testo sottoscritto dai comandanti tedeschi delle tre armi, oltreché da sovietici e americani. Oltretutto non sfuggiva a nessuno il significato politico di un atto di resa firmata nella capitale del Reich millenario e non in Francia.  Ciononostante gli angloamericani e con loro gli alleati occidentali da allora persistettero a commemorare la vittoria in data 8 maggio senza invitare né il governo sovietico né, successivamente, quello russo. L’obiettivo di questo puntiglio era di disconoscere l’importanza del contributo dei sovietici alla vittoria sul nazismo al punto di evitare persino di commemorarla congiuntamente. Eppure, nonostante quell’atteggiamento ostile  che si sarebbe reiterato negli  anni successivi, l’Unione sovietica rispettò l’impegno preso a Jalta di scendere in guerra contro il Giappone una volta abbattuto il regime nazista e in meno di tre mesi spostò oltre un milione di uomini con tutti i mezzi e le scorte necessarie dal fronte occidentale all’estremo oriente, a 11000 km di distanza e a partire dall’8 agosto attaccarono e sconfissero i giapponesi in Manciuria, impegno che gli americani preferirono non affrontare.

Luciano Beolchi

Nota bibliografica

Bellamy, Chris. Guerra assoluta. Einaudi 2010.
Bialer, Seweryn, I Generali di Stalin. Rizzoli. 1983.
Boffa, Giuseppe. Storia dell’Unione Sovietica. 1941-1964. Mondadori 1979.
Clark, Alan Kenneth Mackenzie. Operazione Barbarossa. Il conflitto russo tedesco 1941-1945. Garzanti.1966. Churchill, Winston. La seconda guerra mondiale. Mondadori, Milano, 1970.
Čujkov, Vasilij Ivanovič. Obiettivo Berlino. Editori Riuniti, 1968.
Liddel-Hart, Basil H., Storia militare della seconda guerra mondiale, Rizzoli, 1970.
Ryan, Cornelius Il giorno più lungo – 6 giugno 1944, Garzanti 1962.
Stalin, Josip Vissarionovic – Churchill, Winston – Roosevelt, Franklin Delano – Attlee, Clement – Truman, Harry. Carteggio 1941-1945. Editori Riuniti. Roma.
Werth, Alexander. La Russia in guerra, 1941-1945, Mondadori, Milano 1966.

  1. In russo Украинская Повстанческая Армия.[]
  2. Dimitri Vedeneev, Il Fronte ucraino nelle guerre dei servizi speciali. Saggi storici. Kiev, 2008. Д. Веденеев Украинский

    фронт в войнах спецлужб. Ист оуерки, Киев Украинский фронт в войнах спецлужб. Ист оуерки, Киев, 2008.[]

  3. Yurij Tys-Krokhmaluk. UPA Warfare in Ukraine. La lotta armata dell’UPA in Ucraina — New York, N.Y.: Society of Veterans of Ukrainian Insurgent Army, pp. 58-59.Tys-Krochmalyuk fu uno dei promotori e in seguito ufficiale della divisione SS Galizia.[]
  4. Leonid Grenkevič. Partisan movement, 1941-1944, Frank Cass Ed., 1999 p. 242.[]
  5. Luciano Beolchi, Nazionalfascismo ucraino. Transform. Italia del 15 marzo 2023, p. 2.[]
  6. Alla vigilia dell’offensiva delle Ardenne l’esercito tedesco dell’ovest (Westheer) era potentemente rafforzato a seguito della decisione di Hitler di passare all’offensiva, con l’afflusso di 18 nuove divisioni e di 2 300 carri armati a scapito del fronte orientale (al quale furono inviati solo 920 carri a novembre e dicembre): era perciò salito dai 416 000 soldati e 1.034 mezzi corazzati dell’ottobre 1944 a 1.322. 000 uomini.1.700 mezzi corazzati e 1 750 aerei. Le forze alleate mantenevano ancora una netta superiorità, incrementata anche dallo schiacciante predominio aereo e il generale Eisenhower disponeva di circa tre milioni di soldati (2.048 000 statunitensi, 900.000 britannici e canadesi, 100.000 francesi) con oltre 6.500 mezzi corazzati e 10.000 aerei, tuttavia il comando tedesco contava di concentrare il massimo di forze nel settore ristretto delle Ardenne per ottenere la superiorità locale, sbaragliare di sorpresa le difese sul posto e sfruttare il successo con un’audace avanzata in profondità senza dare tempo al comando alleato di prendere contromisure efficaci (John KeeganUomini e battaglie della seconda guerra mondiale, Milano, Rizzoli, 1989 e Jean Paul Pallud, Battle of the bulge, then and now, in After the battle, 1984).[]
  7. Alexander Werth, La Russia in guerra, 1941-1945, Mondadori 1966, Milano, p. 917.[]
  8. Nel periodo da gennaio a marzo 1945, i prigionieri di guerra finiti in mani angloamericane erano circa 200.000; tra aprile e giugno 1945 il numero crebbe fino a 5.440.000, a causa del gran numero di soldati che si arresero di spontanea volontà. Rüdiger Overmans, Soldaten hinter Stacheldraht. Deutsche Kriegs-gefangene des Zweiten Weltkrieges, Ullstein Taschenbuchvlg, 2002, p. 273.[]
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