Che l’ex ministro dell’Interno vada a processo per “sequestro di persona”, reato ancora assai grave anche se ai richiedenti asilo, quelli che lui chiama con disprezzo “clandestini,” non sembra riconosciuto il titolo di persone. Aver tenuto in mare per giorni, in condizioni proibitive, poche persone con l’unico scopo di guadagnare consenso facendo leva su una mai avvenuta invasione è di per se non solo reato ma inqualificabile da qualsiasi punto di vista lo si voglia prendere. Il fatto poi che sia stato impedito l’approdo non ad una delle tanto odiate navi delle ong ma alla motovedetta della Marina militare italiana Gregoretti, perché oltre all’equipaggio portava con se 135 persone tratte in salvo, fra cui molti minori, dovrebbe e potrebbe costituire una ulteriore aggravante.
L’ex ministro e i suoi hanno organizzato per i giorni che precedono il processo che si apre a Catania (un altro lo aspetta a Palermo), una kermesse sovranista a cui parteciperanno gli altri esponenti del centro destra, il mondo variegato di sedicenti esperti (da Maria Giovanna Maglie a Vittorio Sgarbi) uniti dal grido “processate anche me”.
L’ex ministro continua a dichiarare di aver agito per difendere i confini italiani dal rischio dell’invasione (opinione) e di aver condiviso le responsabilità delle scelte fatte con gli allora alleati di governo.
I magistrati decideranno chi ha ragione ma politicamente viene da dire che l’ex ministro, di scarse vedute sbaglia di grosso.
Accontentarsi di attaccare gli ex amici è insufficiente.
Dimostrerebbe di essere quello che non è mai stato – uno statista preparato – se osasse mirare più in alto.
Se osasse dire che i disastri umanitari che perdurano da oltre 20 anni hanno origine da scellerate politiche condotte dai diversi governi che si sono succeduti in Italia e dall’UE, con le sue scelte egoistiche e miopi, forse perderebbe il processo ma acquisterebbe maggiore credibilità.
E se osasse dire che gran parte dei problemi di “sicurezza”, con cui riempie i propri comizi sono dovuti a legge votate in Italia o in Europa da lui stesso, dai suoi colleghi di partito o da fedeli alleati, beh, magari disorienterebbe buona parte del proprio elettorato, ma romperebbe il filo di una narrazione tossica che ammorba non solo il nostro Paese.
Ma Salvini, continuerà a ripetere come un disco rotto che “Lui” (dato i reiterarsi di citazioni da ventennio il maiuscolo è d’obbligo) i “clandestini” li fermava, i porti li chiudeva e magari se lo si lasciava governare per qualche altro mese si sarebbe potuti tornare ai tempi d’oro in cui si poteva lasciare la porta di casa senza chiuderla.
Chiedergli l’impossibile è uno sforzo inutile, c’è da sperare che finire sul banco degli imputati, data la rapacità dimostrata tanto nel sequestrare bambini quanto nel mettere in cassa fondi opachi, possa giovare se non a lui al clima che si respira.
Altri è inutile che utilizzino però Salvini come facile capro espiatorio.
Per quanto riguarda le politiche migratorie europee, da Schengen a oggi, c’è stata una splendida uniformità nel votare limitazioni alla circolazione di persone di persone colpevoli di non essere nate in UE. Gli stessi che hanno imposto tali vincoli sono quelli che hanno prodotto il Regolamento Dublino, che penalizza per primi i migranti, a seguire i Paesi più esposti ai confini UE.
Da che parte stavano popolari, conservatori, sovranisti e sedicenti socialisti quando si metteva in piedi un meccanismo così perverso?
E poi, quando intanto si legiferava in Italia scoprendo, con 20 anni buoni di ritardo, che il nostro era divenuto un Paese di immigrazione, cosa si votava in parlamento e che misure prendevano i governi di centro destra e di centro sinistra che non fossero incentrate su emergenzialità, allarmismi vari, rifiuto di ammettere che, come l’intero continente, anche l’Italia stava cambiando, in realtà era cambiata?
La frase martellante, lanciata da un ex presidente della Repubblica, un tempo comunista, è quella che ancora continua a perseguitare ogni scelta politica: “coniugare accoglienza e sicurezza”.
Peccato che i sistemi di accoglienza siano raramente e solo per volontà di amministratori locali intelligenti, divenuti volano di convivenza mentre per quanto riguarda la capacità di respingere, rinchiudere, violare convenzioni internazionali, rendere reato la solidarietà, si siano impiegate risorse immense senza neanche andare a vedere poi quale sarebbe stato il beneficio apportato.
Peccato che fino alla crisi del 2008 in Italia si sia entrati solo attraverso insufficienti “decreti flussi” per canali regolari mentre la maggior parte delle persone era costretta ad entrare irregolarmente in attesa di sanatorie con cui fare cassa e mantenere chi arrivava in condizioni di subalternità.
Peccato che dopo la crisi di 12 anni fa, gli ingressi regolari si siano ridotti in tutta Europa – restano in parte i ricongiungimenti familiari e gli ingressi con visto turistico, solo da alcuni Paesi, che portano poi molte e molti nell’invisibilità e nel lavoro nero – e che l’attenzione finisca col concentrarsi unicamente verso coloro che cercano di entrare mediante richiesta di asilo o altra forma di protezione.
Peccato – anche lì con complicità di gran parte del mondo politico e dell’informazione – che si siano spese e si spendano più risorse per innalzare inutilmente le mura della “Fortezza Europa” piuttosto che definire comuni politiche di cui possano avvantaggiarsi in primis le persone più vulnerabili ma che mirino a ridefinire un mondo della produzione, del lavoro, delle risorse, i cui confini non combaciano con quelli dell’UE.
Peccato che mentre Salvini va giustamente sotto processo per il sequestro per aver tenuto a rischio della vita 135 persone, restano impuniti coloro che hanno sequestrato in e tengono sotto sequestro i diritti tanto dei fortunati che hanno la cittadinanza europea quanto e di più di chi è nato dal lato sbagliato del pianeta.
Esempi? Quanti se ne vogliono: dalle scellerate politiche condotte in Libia, dove per difendere frontiere e compound petroliferi, si è passati dall’appoggio ad un regime, al sostegno da apprendisti stregoni, alla sua rimozione, all’avere un ruolo per tenere in piedi un governo fantoccio in cui prendevano piede milizie di ogni tipo, ad una patetica ritirata per lasciare campo libero agli appetiti di Turchia e Russia. Unico interesse dimostrato, gli investimenti per lasciar crepare nelle galere libiche o per rimandarci dentro quelle e quelli che fuggivano, impiegando risorse ben più alte di quelle “risparmiate” tagliando la democrazia mediante referendum.
E il rapporto non è diverso con i restanti paesi rivieraschi: l’economia tunisina è al crollo, grazie anche all’ultima spallata portata dalla pandemia e, invece di prospettare piani di sostegno in grado di garantire futuro soprattutto ai giovani, via con le proposte di ricatto: “vi riprendete i fuggitivi al volo? Trattenete quelli che vogliono provare a farsi un futuro fuori con qualsiasi mezzo? In tal caso un po’ di briciole vi arriveranno, ma solo se usate a tali scopi”.
Ci sarebbe da scrivere per una vita degli errori commessi per la paura di perdere consenso nel costruire una società aperta e adeguata al XXI secolo. Decenni passati a costruire leggi che sembravano riguardare l’immigrazione ma alludevano quasi unicamente alla frammentazione neoliberista del mercato del lavoro. Ma se si toccano questi temi si parla di coloro che ormai è opportuno chiamare “migranti dimenticati” risorse umane da spremere quando servono, da tenere in condizioni di inferiorità nei diritti, sociali, civili e politici, da cacciare via o nell’economia del lavoro nero o direttamente fuori, quando non servono più.
E ovviamente di questo non si parlerà nei processi di Catania e Palermo, come non si parlerà dell’inutilità partorita nel 2015, alla vigilia annunciata di una catastrofe umanitaria, che va sotto il nome pomposo di Migration act.
La traduzione è la versione rozza di quello che sarà il New pact on migration and asylum proposto il 23 settembre scorso, dalla Commissione europea. Nel 2015 il punto centrale era “l’approccio hotspot”, ovvero la realizzazione di spazi di smistamento per ricollocare in UE coloro che arrivavano soprattutto in Italia e Grecia. Un fallimento annunciato: pratiche autoritarie per identificare gli arrivi, centri stracolmi e di capienza insufficienti, indisponibilità dei paesi UE ad accettare richiedenti asilo (si è arrivati all’obbrobrio di Stati che selezionavano le persone da accogliere nei propri sacri confini), il tutto per numeri risibili di persone rispetto alle promesse fatte, il tutto in assoluto disprezzo non solo delle volontà di chi arrivava ma anche, della espressa possibilità di inserimento in un Paese piuttosto che in un altro, in base a relazioni familiari, affettive, linguistiche.
Quando nel 2016 si provò a rivedere il Regolamento Dublino, con le sue assurde imposizioni che obbligano di fermarsi nel primo Stato membro UE di arrivo, i sovranisti alla Salvini si guardarono bene dal far sentire la propria voce ma altrettanto flebile fu quella – salvo eccezioni – di chi pensava che scardinando questo meccanismo si potesse ricostruire un contesto europeo di reale condivisione di responsabilità.
Come si scriveva, anche recentemente, il “Nuovo patto” è fatto con ingredienti vecchi, arricchito solo con dosi massicce di risorse economiche, perché il business del proibizionismo della circolazione è sempre più un ottimo affare, ma non tocca i nervi scoperti, non definisce se non negli ipocriti afflati umanitari, una proposta continentale, ma si adagia sul compromesso al ribasso fra gli egoismi dei singoli Stati.
Salvini, in tutti questi anni – e con lui lo ripetiamo i fedeli alleati presenti in settimana a Catania – hanno avallato queste politiche oltretutto fallimentari, ma per questo nessun giudizio sembra poterli perseguire.
Forse perché l’elenco dei complici è lungo e articolato.
Nessuna volontà quindi di commiserarlo come “capro espiatorio”, chi continua a foraggiare l’imprenditoria della paura ne paghi le conseguenze.
Ma che almeno a sinistra, in quella vera, internazionalista, che propone un diverso modello di società e per cui le frontiere hanno minori pretese di determinare la vita delle persone, ci si interroghi seriamente sulle diverse responsabilità.
Un progetto alternativo d’Europa si realizza su basi radicalmente diverse da quelle che dominano il presente. Una condanna a Salvini sarebbe un fatto positivo, ma totalmente insufficiente e non possiamo consolarci ed assolverci in attesa delle decisioni dei magistrati.