Prosegue la raccolta di firme all’appello “più salari, più diritti” e per prima cosa ringraziamo La bottega del Barbieri per aver aderito attivamente alla iniziativa. Oggi presentiamo l’intervento a video di Stefano Galieni che espone le sue motivazioni a firmare contro il lavoro povero spesso riservato ai migranti.
L’APPELLO che potete leggere qui riguarda due temi essenziali: il salario minimo, equo e unificante; il riconoscimento dei diritti di chi lavora nelle piattaforme.
La spinta delle lotte dei lavoratori in tutta Europa, dei sindacati e anche di governi come quello spagnolo -che ha normato sui due temi e preme perché altrettanto faccia la UE- hanno avviato una attività legislativa europea con la discussione di due direttive.
Se la UE attuale vuole fondarsi sul mercato, noi crediamo alla necessità di rifondarla mettendo al centro il lavoro, la sua remunerazione e i suoi diritti.
In Europa la quota di ricchezza che va ai salari si è ridotta rispetto a quella che va a profitti e rendite mentre le condizioni del lavoro sono state ulteriormente gravate dalle crisi economiche e ora pandemiche. Le divaricazioni per Paesi, per aree, per generazioni e per generi invece che ridursi si sono accresciute e crescono il lavoro povero e precario, in Italia la media salariale attuale è inferiore a quella del 1990.
(L’Italia dei working poor in cui almeno un lavoratore su 10 è povero, è descritta approfonditamente dall’ottimo articolo di Paolo Andruccioli comparso su ttps://www.collettiva.it/)
In Italia il lavoro non è più un’assicurazione sicura contro il rischio povertà. Si può essere poveri anche lavorando. Anzi è povero almeno un lavoratore su 10. Lo riconosce anche il governo Draghi che ha incaricato una commissione di esperti di definire il fenomeno dei cosiddetti working poor ed elaborare proposte. Per Tania Scacchetti, segretaria nazionale Cgil: “Finalmente si affronta una questione su cui ci battiamo da anni”.
Per approfondire:
Un salario minimo, adeguato e dignitoso, che armonizzi verso l’alto le condizioni in Europa appare una misura importante anche ai fini di colpire le praterie di lavoro sottopagato o illegale. La direttiva sul salario minimo che si sta discutendo muove un passo ma bisogna che non sia semplicemente un ultimo argine all’impoverimento ma l’avvio di una nuova politica europea di giustizia salariale. Non un semplice invito generico ma uno strumento esigibile per via contrattuale e legislativa.
La direttiva sul lavoro nelle piattaforme tecnologiche contiene un punto importante che è il considerarlo lavoro dipendente obbligando le piattaforme a dimostrare il contrario e dando spazio di contrattazione sugli algoritmi. Dunque si tratta di un passo verso la ricomposizione di quelle figure atipiche e autonome di lavoratori dipendenti che da decenni vengono moltiplicate per nascondere la realtà dello sfruttamento sotto la vernice della tecnologia e del nuovo. Anche qui si tratta di non restare confinati nelle indicazioni ma di avere esigibilità.
(Per quanto riguarda la proposta di Bruxelles sul lavoro sulle piattaforme, rimandiamo all’ottimo articolo di Andrea Allamprese, professore associato di Diritto del lavoro presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, comparso su https://www.collettiva.it/)
Dunque, per far conoscere quello che si sta muovendo e per favorire la mobilitazione, transform!italia invita alla firma dell’appello che verrà consegnato ai Presidenti di Commissione Europea, Parlamento Europeo, Consiglio Europeo.