di Fabio Alberti – Sabato 25 gennaio, rispondendo all’appello del movimento pacifista statunitense accolto anche in altri 20 paesi, in più di 50 piazze italiane si sono svolte iniziative promosse dalle Rete della pace, con l’adesione di oltre 400 organizzazioni grandi e piccole, locali e nazionali Contro la guerra e le dittature. Manifestazioni non grandi, ma diffuse in tutto il paese e comunque segno che, con tutte le difficoltà dei tempi che corrono, permane un tessuto di attivisti per la pace ancora in grado di mobilitarsi.
L’appello statunitense era stato lanciato in seguito all’uccisione extragiudiziale ordinata da Trump a mezzo droni, sul suolo iracheno, del capo della brigata Al Quds delle Guardie della rivoluzione iraniane e del vice della milizia irachena filoiraniana Kathaìib Hetzbollah, seguita dall’altrettanto illegale rappresaglia iraniana.
Fortunatamente l’allarme per il rischio di un’escalation fuori controllo che portasse ad una nuova guerra del Golfo, questa volta contro l’Iran, è rientrato nei giorni successivi – non senza lasciare sul campo come vittime collaterali 176 viaggiatori dell’aereo ucraino abbattuto da Teheran – ma i rischi di guerra sono tutt’ora lì.
Anzi la guerra stessa è tutt’ora lì, in corso in Medio Oriente perché – come recita l’appello Spegniamo la guerra, accendiamo la pace “in Iraq, Iran, Siria, Libia, Yemen, in tutto il Medio Oriente, cambiano i giocatori, si scambiano i ruoli, ma la partita è la stessa. Nella crisi del vecchio ordine internazionale, potenze regionali e globali si contendono con la guerra aree di influenza sulla pelle delle popolazioni locali.”
E’ stata quindi una mobilitazione non solo contro il pericolo che l’amministrazione Trump iniziasse una guerra all’Iran, ma contro i proliferare di guerre per procura che infestano il Mediterraneo e che sono già la terza guerra mondiale in corso, di fronte alla quale occorre una nuova e responsabile consapevolezza.
Ed alle popolazioni locali in rivolta contro regimi dittatoriali o autoritari, tributari di questa o quella grande potenza, vere vittime della guerra, la mobilitazione di sabato 25 ha dato una particolare e nuova attenzione, manifestando il “sostegno a chi si rivolta da Baghdad a Teheran, da Beirut ad Algeri, da Damasco, al Cairo, a Gerusalemme, a Gaza”. Una attenzione favorita dal messaggio giunto dai giovani iracheni che in piazza Tahrir, dopo l’attacco dei droni di Trump hanno alzato gli striscioni “Né Usa, né Iran,
vogliamo un Iraq libero”. Un messaggio che è stato letto in numerose piazze.
Un bellissimo messaggio che ha aiutato, per una volta, a guardare la guerra dal di sotto, dal lato delle vittime e non in base a considerazioni geopolitiche che nel chiedere il sostegno dei movimenti popolari a livello internazionale conclude: “sostenere i popoli rivoluzionari e rimanere solidali con loro e le loro rivendicazioni significa tenere aperta una finestra verso un futuro libero dalla guerra”. Un appello alla attenzione ai popoli che le guerre le subiscono che è risuonato, nella sostanza, anche nelle parole di
compagni iraniani e siriani intervenuti in alcune manifestazioni.
La piattaforma della manifestazione ha chiesto cose precise al nostro governo, ad iniziare dall’urgenza di dire di no alla proposta Trump di intervento della Nato in Iraq, al disarmo, ad una politica di pace.
Venerdì 31 gennaio e sabato 1 febbraio a Milano si riuniranno in assemblea congiunta la Rete della Pace e la Rete Disarmo per discutere e realizzare l’unificazione in un unico coordinamento. L’auspicio è che si possa ripartire da qui, dalla piattaforma e dalla mobilitazione del 25 gennaio per un nuovo impegno pacifista in Italia.