Da qualche giorno, il 25 febbraio 2025, è uscito l’ottavo numero della rivista gratuita Rizomatica, malgrado sia nominato con il numero 7. C’è stato un numero zero nel 2020, esattamente il due febbraio, data palindroma che non si realizzava da 909 anni.

Lo scopo di Rizomatica era dichiaratamente quello di fornire strumenti per evolvere la partecipazione politica. Se alcuni di noi avevano provato a concentrarsi sulla democrazia interna delle forze politiche che avevano incontrato collezionando insuccessi, altri, pur attigui, preferivano dedicarsi allo studio e alla ricerca.

Cosa ci univa e probabilmente ci unisce a tante persone deluse dalle attuali e trascorse esperienze di coinvolgimento nella vita politica non professionale?

Qualcuno, e mi ci metto anche io, ha pensato che fossero i metodi di organizzazione interna alle forze politiche a non essere adeguati, a non permetterne uno sviluppo efficace, mancando la possibilità di esprimere intelligenza collettiva. Nella successiva esperienza vissuta, alcuni di noi, tra cui io, si sono convinti che non fosse solo il metodo ad essere inadeguato ma tutto l’insieme di strumenti con cui siamo abituati a interpretare la realtà e che troppo spesso prendiamo a prestito dal campo nemico, l’unico abbastanza ricco da poter sovvenzionare un nutrito gruppo di intellettuali organici nell’accademia e nelle diffuse “fabbriche del senso”.

Nel momento in cui si chiede di esprimere un parere all’”opinione pubblica”, che sia la base degli aderenti ad un partito o l’insieme dei cittadini chiamati a votare in una elezione o referendum, si rileva il “peso” che le fonti di informazione ed elaborazione culturale sono state in grado di esprimere sulla piazza dell’informazione, pubblica o interna alle strutture, misurando le idee che sono state maggiormente condivise.  La maggioranza inevitabilmente non fa che ripetere le parole che ha sentito dai leader i quali, a loro volta non fanno che ribadire quello che pensano ci si aspetti da loro.

Ci siamo resi conto di aver bisogno di conoscenze e strumenti di interpretazione autonomi rispetto ai poteri che solitamente sono in grado di produrli e diffonderli, trasformandoli in una narrazione che di fatto legittima quegli stessi poteri. Piuttosto che una contro-narrazione, che semplicemente assume la posizione contraria e opposta a quella egemone, ricerchiamo rizomaticamente molteplici differenti narrazioni che certamente non dicono quale sia la verità, ma svelano il carattere strumentale e situato di ognuna. Ogni visione politica racchiude  spesso un pregiudizio teleologico su come dovrebbero “andare le cose” in vari campi e ovviamente gli interessi materiali di ognuno contribuiscono fortemente a delineare questo finalismo.

Il politico, che sia un militante o un professionista, cercherà di coinvolgere le persone con bisogni comuni a convergere su una proposta che risponda alle loro aspettative, anche se spesso non è in grado di modificare quelle aspettative che sono invece plasmate sulle relazioni sociali esistenti, in quell’ambiente e periodo storico. Se pure il rivoluzionario deve sapersi muovere come un pesce nell’acqua, non è certo in grado di produrre l’acqua in cui muoversi.

Per questa uscita di rizomatica, abbiamo chiesto ai dodici autori di delineare le forme delle possibili organizzazioni politiche che potrebbero aiutarci a esprimere e soddisfare i nostri bisogni, evoluti come l’intera società si evolve in questa epoca di transizione. Non abbiamo una linea comune o punti di riferimento univoci; le nostre convinzioni si rivelano deperibili alla prova degli anni. Le stesse forme del linguaggio della politica non evocano più orizzonti condivisi o condivisibili. Ci risvegliamo ogni giorno in una diversa distopia in atto, un eterno presente fluido in cui le uniche relazioni certe sono la forza militare e l’interesse economico. Si potrebbe obiettare che in fondo è stato sempre così,  sin dai tempi antichi. Chi possiede la tecnologia più adatta a sterminare gli altri e non si fa remore ad usarla sottomette i più deboli e poi li obbliga a lavorare per sé convincendoli pure che questo sia un privilegio. L’individuo consumatore-spettatore evoluto dalla dialettica servo-padrone sembrerebbe libero se non dovesse sperare di lavorare almeno otto ore al giorno per continuare a consumare e riprodurre le sue catene. Almeno prima ce le aveva assicurate.

La vittoria dell’internazionale nera, chiamata così per distinguerla da quella rosa-verde che porta con gli eserciti e i colpi di stato la democrazia in quelle parti del mondo che ancora non godono universalmente di tutti i diritti umani, ci spinge a trovare una dimensione sovranazionale allo sviluppo delle forze politiche emancipative esistenti. Il nostro campo d’azione è l’Europa e non ha senso cercare di conquistare una voce nei parlamenti nazionali se non si agisce in modo coordinato contro le forze dell’imperialismo militarista (destra nazionalista) e dell’establishment neoliberale (centro-sinistra).

Questa ipotetica alleanza tra le sinistre europee, ancora timida e incerta, potrebbe trovare degli orizzonti comuni ben oltre il Green New Deal in salsa neoliberista proposto con il PNRR. Già è curioso che i 27 paesi dell’UE di fatto comunichino tra loro nella lingua madre dell’unico paese che ha deciso di uscire dall’Unione, la Gran Bretagna. Sarebbe forse il caso di ristabilire una parità linguistica utilizzando l’Esperanto come lingua ufficiale comune e lasciando che ogni nazionalità continui a parlare le sue lingue locali. Utopico forse, come l’idea di una Europa unita e senza guerre, solidale nel perseguire lo sviluppo delle più alte facoltà umane in tutti i suoi abitanti.

Nel frattempo cerchiamo di fare la nostra parte, dimostrando che esiste una virtuale comunità universale che non è ansiosa di vendersi al miglior offerente, che non è disponibile a scambiare la propria libertà con la sicurezza e non ha la minima intenzione di difendere la Fortezza Europa.

Matteo Minetti

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