Quella che realizziamo al Segretario Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo è un’intervista collettiva e a tutto campo. Il Partito si va avviando al suo XII Congresso ed è forse il momento di porsi domande e di trarre un bilancio di questa grande esperienza che oramai ha compiuto 33 anni.
Ne pubblichiamo oggi la prima parte e la seconda seguirà mercoledì prossimo (14/8).
Rifondazione Comunista nasce, dopo lo scioglimento del PCI e con l’aggregazione di gruppi della Nuova Sinistra, con l’intenzione di mantenere e, allo stesso tempo, reinventare il ruolo del comunismo. Lo si continua a fare in un continente il cui parlamento ha equiparato, nel 2019, comunismo e nazismo. Un partito radicato e figlio di una specifica e complessa tradizione, qual è stata quella che si è incarnata nel PCI. Quale rapporto pensi debba avere il tuo partito con questa tradizione nel XXI secolo?
Penso che Rifondazione Comunista non possa prescindere da quella che Ingrao definiva la nostra “tradizione” che va sottoposta a critica e riflessione storica ma non liquidata come zavorra novecentesca. Altrimenti dovremmo per serietà scioglierci perché Rifondazione Comunista è nata difendendo l’originalità del comunismo italiano e la sua ispirazione democratica. Per molti versi la rifondazione era e rimane la ricerca di quella che veniva definita una “terza via” oltre i limiti e gli errori delle socialdemocrazie e del socialismo di stato. Non a caso il nome della mozione del no, che poi fu assunto dal movimento e dal partito, fu proposto da Ingrao durante la lotta contro lo scioglimento del PCI e a quella scelta si associarono tante energie intellettuali e militanti anche esterne al partito. Basti pensare a Rossana Rossanda. La stessa popolarità di una figura come quella di Berlinguer mostra quanto sia radicata nella memoria del nostro popolo quella storia. In Italia il partito comunista non è stato un gruppo minoritario ma per decenni la principale forza della sinistra, del movimento operaio e dell’antifascismo. Certo il progetto di Rifondazione Comunista ha avuto il merito dall’inizio di un approccio non limitato a quella tradizione che ha in Gramsci il suo cuore, ma ha coinvolto, valorizzato e interagito con il meglio delle culture del movimento operaio storico – per esempio il socialismo di sinistra – e del lungo sessantotto italiano con grande apertura ai movimenti, all’ecologia politica, al pacifismo, al femminismo, al rapporto con la sinistra europea e latinoamericana o con il confederalismo democratico curdo. Mi sembra che abbiamo bisogno di cultura politica e memoria storica perché corriamo il rischio di inaridirci in impostazioni semplificate e rozze come conseguenza comprensibile della sconfitta.
Credi che in tal senso, partendo anche da questioni di cogente attualità quali il collasso climatico, la nascita di un mondo multipolare caratterizzato da un aumento delle diseguaglianze, le guerre, la frantumazione del mercato del lavoro, che sia necessaria una rilettura di Marx e delle figure che hanno dato origine alla nostra storia?
Ormai nemmeno i nostri avversari negano che Marx sia fondamentale per comprendere il nostro presente. Credo che nei nostri classici e in due secoli di storia dei movimenti socialisti/comunisti troviamo una miniera inesauribile e una bussola indispensabile per non soccombere alle polarizzazioni che ci impone il capitalismo dominante. Abbiamo bisogno di un punto di vista autonomo che a mio parere non può vivere di immediatismo, ma deve nutrirsi di cultura, storia, memoria anche per leggere correttamente il presente. All’inizio della guerra mi tornò in mente Manuel Vasquez Montalban che nel 1989 scrisse che “si abbandona il marxismo e si finisce nel credere negli oroscopi”. L’ho attualizzata con “e si finisce col tifare per la NATO o per Putin”. Da questo punto di vista rileggere Lenin e Rosa Luxemburg oggi aiuta a non farsi arruolare e a mantenere un punto di vista internazionalista e anticapitalista sulla guerra.
Anche nelle culture della sinistra si è pensato che la “classe lavoratrice” non potesse più svolgere un ruolo politico per effetto delle trasformazioni sociali, in particolare individualismo, declino della grande industria, ecc. Altri settori politico-culturali ritengono fondamentale rimettere al centro la rappresentanza di lavoratori e lavoratrici. Pensi, che sia una strada ancora perseguibile?
Rimane sempre il compito essenziale. Segnalo che con Sanders, Corbyn ma anche il PTD belga vi sono state di recente esperienze politiche di massa, nel cuore dei paesi capitalistici più avanzati, che apertamente hanno rimesso la classe al centro del discorso politico. E’ vero che le elaborazioni del populismo di sinistra alla Laclau e Mouffe – per altro utilissime per costruire un discorso politico di massa in una società mediatizzata – tendono ad accantonare la questione ma in realtà non è proprio così. In Francia per esempio il discorso è stato comunque declinato in termini di classe avendo la capacità di allargarne i confini per esempio verso le comunità immigrate. Il programma del Fronte Popolare mette al centro le rivendicazioni della classe lavoratrice. Certo c’è da discutere sul cosa intendiamo per classe oggi e anche rilanciare il lavoro d’inchiesta, analisi e elaborazione teorica. Non parlerei solo di rappresentanza, ma di organizzazione di classe. Da decenni è aperta la questione della ricostruzione di un movimento delle classi lavoratrici di ispirazione socialista/comunista. Noi viviamo dagli anni ’80 da un contesto segnato non solo dalla cosiddetta “morte del comunismo/socialismo” con una formidabile vittoria dell’egemonia capitalistica sul senso comune, ma anche della fine del movimento operaio e socialista che ha fatto la storia dalla metà dell’800. Si tende a dimenticare che i movimenti socialisti/comunisti/anarchici erano movimenti della classe lavoratrice non effimeri movimenti d’opinione.
Come sai per Transform il tema Europa è centrale. Tra la rielezione di Ursula Von der Leyen, le risoluzioni pro guerra, il ritorno del patto di stabilità, in un quadro pesante le sinistre sono divise. Noi giudichiamo positivo l’ingresso del M5S nel gruppo The Left di cui, insieme al Partito della Sinistra Europea, Rifondazione è stato fondatore. Come pensi si possa intervenire in questo nuovo contesto e che idea hai dell’Europa?
L’Unione Europea è uno spazio politico che esiste e in cui mi sembra che per ora riescano a incidere solo i governi, il capitale e la NATO. La sinistra radicale dopo la sconfitta del tentativo di Tsipras non ha più avuto la forza di mettere in discussione la direzione della costruzione europea. Gli stessi movimenti e i sindacati non agiscono più di tanto sulla dimensione europea. Contro il Patto di Stabilità si è vista una debole mobilitazione da parte dei sindacati e la stessa Sinistra non è riuscita a costruire una campagna europea. La cosa più grave è che non si è riuscito a farlo neanche sulla guerra. La sinistra radicale aveva il dovere di costruire un movimento europeo per il cessate il fuoco e la trattativa contro la subalternità alla NATO. Mi sembra che il progetto del Partito della Sinistra Europea e anche lo stesso gruppo The Left vivano una profonda crisi. Il tentativo di costruire una sinistra antiliberista che prendesse il posto di partiti socialiberisti è riuscito solo in Grecia un decennio fa e in parte in Francia ma estremamente legato al carisma di Melenchon. La narrazione sull’onda nera da anni ha messo in secondo piano il neoliberismo come linea di frattura nel discorso politico anche se la sinistra radicale è riuscita a conquistare un certo peso che in alcuni paesi, si pensi alla Spagna ma anche al Fronte Popolare francese, ha costretto i “socialisti” a correggere in parte la propria impostazione. Credo che come Rifondazione dobbiamo lavorare per unire le formazioni che fanno riferimento al gruppo della Sinistra nel parlamento europeo ed evitare che si amplifichino le fratture. Ma al tempo stesso bisogna evitare che la sinistra radicale diventi subalterna alla governance europea e alla NATO. Teniamo a mente che fine hanno fatto i Verdi. L’adesione del M5S al gruppo della Sinistra, anche se nata per necessità, fotografa un’evoluzione positiva che ho sempre auspicato. Favorisce la collaborazione anche a livello nazionale. Ricordo che fui bersaglio di critiche assai dure, da parte di Pap e anche dentro il partito, quando proposi di allearci alle amministrative con M5S.
Rifondazione ha, a nostro avviso giustamente, considerato la guerra come base strutturale delle relazioni internazionali in questo periodo. In Italia non è ancora maturata una grande consapevolezza in materia. Si è moralmente per la pace ma non si affrontano, anche con mobilitazioni, i danni portati dalle guerre. Ci sono state mobilitazioni parziali sulla Palestina e poco altro. Perché? Cosa pensi possa e si debba fare? Come vedi un Mondo che riesca a bandire la guerra? Quanto conta il multipolarismo e quanto c’è bisogno di un nuovo socialismo?
Mi sembra di aver già detto qualcosa rispondendo a una precedente domanda. Penso che in Italia non ci sia un movimento di massa contro la guerra perché creerebbe enormi problemi al PD e noi della sinistra anticapitalista non abbiamo la forza di due decenni fa. In Europa il problema è che la narrazione mainstream sulla guerra è egemonica persino su consistenti settori della sinistra radicale e nell’opinione pubblica. In Italia un orientamento contrario al bellicismo della NATO è piuttosto largo ma non diventa elemento di polarizzazione perché non conviene ai due poli. All’inizio hanno cercato di arruolarci con una propaganda di guerra martellante. Ora preferiscono obbedire alla NATO tenendo un basso profilo. Noi abbiamo cercato nella campagna delle europee con Pace Terra Dignità di rompere la tendenza bipartisan a non mettere al centro del dibattito il tema della guerra. Dobbiamo insistere. L’insuccesso non ci deve fare demordere. Il movimento di solidarietà con il popolo palestinese ha la forza dell’indignazione contro l’orrore e sta facendo risorgere in tutto l’Occidente un sacrosanto rifiuto del colonialismo e del suprematismo. Penso che proprio in un momento storico come quello che stiamo vivendo, per molti versi simile al 1914, bisogna rilanciare una visione propria dell’internazionalismo socialista/comunista e non limitarsi all’evocazione del multipolarismo. Certo che bisogna contrastare l’imperialismo USA e del blocco occidentale che come dimostrano i crimini di Netanyahu non ha titoli per imporre il suo “ordine”. Ma non penso che possiamo scambiare i Brics per il Comintern o “l’asse della resistenza” iraniano per l’Armata Rossa.
Oltre alla necessità di un superamento di blocchi militari come la NATO, al bisogno di poter realizzare un mondo più uguale per tutti, incombe il presente. Sono in arrivo le elezioni in Usa. Da appassionato della cultura alternativa statunitense, la musica, la poesia, cosa ti aspetti da queste elezioni?
Non so chi vincerà ma di certo non sono tra quelli che sotto sotto tifano Trump e neanche tra gli entusiasti sostenitori di Kamala Harris. Non riesco a pensare ai Dem come ai “nostri”. Come insegnava Ferlinghetti il sistema politico USA è un uccello con due ali destre. Certo il fascismo americano di Trump è terrificante. Per questo in passato figure come Chomsky o Angela Davis, che hanno sempre sostenuto la necessità di un terzo partito, fecero dichiarazione di voto per Clinton o Biden. Considero una tragedia che in Italia nel senso comune si sia affermata l’identificazione del popolo di sinistra con il Partito Democratico americano. Un tempo non era così. Il veltronismo ha fatto danni enormi. Se Bernie Sanders o Michael Moore non fanno che celebrare le conquiste del socialismo in Europa dovremmo a sinistra fare di tutto per smetterla con l’imitazione e la mitizzazione del sistema politico e del modello sociale nord-americano. Credo che abbiamo molto da imparare dalla storia dei movimenti sociali, della sinistra radicale e dei comunisti americani perché hanno operato in un contesto assai diverso da quello dell’Europa. E’ vero che grazie all’ondata socialista di Sanders i Dem hanno fatto qualche passo avanti nelle politiche sociali in direzione del recupero della loro migliore tradizione del New Deal ma la loro politica estera rimane, per noi che guardiamo dall’esterno, imperialista e guerrafondaia. Non a caso il clan Bush ha sostenuto Biden.
Ma torniamo a Rifondazione. Dal 2008 ci sono state molte esperienze elettorali a sinistra in cui si sono tentate aggregazioni di alternativa al centro sinistra. Solo in un caso, con le elezioni europee del 2014 hanno avuto buon esito. Ma ogni aggregazione si è poi dissolta. Che bilancio ne fai, quali errori a tuo avviso sono stati commessi e che prospettive ne trai? Nelle ultime elezioni UE c’è chi, scegliendo AVS, si è pentito quando ha scoperto che una parte dei “suoi eletti” ha votato Von der Leyen. Ora Rifondazione dovrà scegliere che tipo di rapporto costruire con PTD, con UP- se proseguirà il suo percorso – e con AVS. Quale è la tua proposta?
Mi sembra evidente che il tentativo di costruire un polo dell’alternativa sia finora naufragato. Per ragioni soggettive e oggettive. Ed è fallito anche il progetto di costruire un soggetto unitario e plurale. Non penso che la responsabilità sia in primo luogo nostra ma va aperta una riflessione anche perché ora ci sono alla guida del governo gli eredi del fascismo. Io penso che noi dobbiamo sempre essere unitari a sinistra a partire dai contenuti. Abbiamo lavorato perché ci fosse alle europee, come nel 2014 con Altra Europa, un’unica lista a sinistra del PD. Condividevamo con Santoro e La Valle che elemento unificante dovesse essere una piattaforma contro la guerra con dentro tutta UP e anche AVS. Pap e AVS, per ragioni opposte ma speculari, non hanno voluto. Penso che una lista del genere avrebbe potuto fare un grande risultato e far esplodere una bomba pacifista oltre a eleggere compagni come Mimmo Lucano e Ilaria Salis. Tutto il dibattito post elezioni sarebbe stato incentrato sull’irruzione del no alla guerra sulla scena politica. L’esperienza di Pace Terra Dignità credo che debba continuare come movimento contro la guerra perché non sono certo venute meno le ragioni per cui abbiamo fatto la campagna. Ne discuteremo con Raniero, Michele e le altre realtà e personalità che hanno partecipato. Non credo che vi siano le condizioni per riprendere come se nulla fosse il percorso di UP che era nato innanzitutto per unire il fronte pacifista. Il percorso con PAP ha visto ripetersi costantemente drammatizzazioni dello scontro. Non ha senso una costante litigiosità in un soggetto unitario quando possiamo collaborare in tante occasioni mantenendo le nostre differenze. Per esempio oggi noi facciamo parte del Comitato promotore del referendum contro l’autonomia differenziata, loro no. Noi abbiamo fatto in molti comuni coalizioni alternative con M5S, loro si ritengono incompatibili. Noi andiamo alle iniziative unitarie promosse dall’ANPI o alle manifestazioni della CGIL, loro no. Invece di registrare continue tensioni meglio mantenere un rapporto unitario quando è possibile prendendo atto che ci sono differenze radicali che portano da parte loro a drammatizzare costantemente lo scontro. Non ci dobbiamo impelagare in uno scontro per l’egemonia dentro lo spazio ristretto della sinistra anticapitalista. Dispiace per un progetto come UP che era nato con propositi radicale ma non settari. Come Rifondazione Comunista credo che dobbiamo lavorare con pazienza unitaria a sinistra nella costruzione dell’opposizione al governo della destra per qualificarla sul piano dell’alternativa al neoliberismo e alla guerra. Per questo c’è bisogno di un partito che svolga il suo ruolo in autonomia e senza subalternità verso nessuno.
Da tempo sei continuamente in giro per l’Italia in iniziative su campagne che si stanno lanciando contro l’autonomia differenziata e il premierato, contro il jobs Act. Sono campagne che fanno i conti con la volontà delle destre di imporre un colpo finale alla Costituzione ma anche con responsabilità passate e presenti del PD. Cosa riscontri in giro? C’è la possibilità di veder realizzato un cambio di fase?
Credo che se riusciremo ad arrivare a una primavera referendaria sulla base di un vasto movimento nel paese avremo l’occasione di avere al centro dello scontro politico finalmente i nostri temi che ci hanno visto nel passato contrapposti ai due poli: Costituzione, difesa dello ruolo del pubblico, dello stato sociale e lotta alla precarizzazione del lavoro. Quella contro l’autonomia differenziata è una lotta contro il neoliberismo in salsa padana. Una vittoria dei quesiti potrebbe segnare un cambio di fase e incoraggiare una spinta di sinistra più generale. Il fatto che milioni di persone discuteranno di temi così essenziali sarà comunque un fatto positivo dopo anni di una dialettica politica tra due destre. Non si tratta solo di battere la destra, compito che comunque da comuniste/i non dobbiamo certo delegare al campo largo come se non ci riguardasse. Il paradosso è che lo scontro con il governo avverrà su provvedimenti del PD come il jobs act o che comunque hanno visto il PD ha aperto l’autostrada come nel caso dell’autonomia differenziata. Il segno dunque potrebbe essere una rottura forte con quelle politiche che noi di Rifondazione Comunista abbiamo sempre contrastato.