Di Amleto Licciarelli conosciamo davvero poco e molto abbiamo dimenticato, ma quello che sappiamo di lui va ricordato, non solo perché ci aiuta a capire meglio chi siamo e da dove veniamo, ma anche – e forse soprattutto – perché il passato è la chiave più efficace che possediamo per conoscere il presente e lavorare per il futuro.
Tipografo anarchico, Licciarelli nasce a Milano nel 1878, si trasferisce a Napoli giovanissimo, alla fine dell’Ottocento e si lascia subito coinvolgere nella durissima battaglia dei lavoratori locali, decisi a creare una Camera del Lavoro dalla quale non facciano parte gli immancabili, sedicenti “padri degli operai” a caccia dei voti operai e gli infiltrati della Questura. In un momento come quello attuale, mentre il Paese affronta la discussione sull’Autonomia differenziata, la città di nascita e quella in cui Licciarelli costruirà il suo percorso di militante assumono un particolare rilievo perché tappresentano la storia di un Paese che ha superato i confini regionali e affronta i suoi problemi in quella dimensione nazionale da cui nascerà il “secolo dei lavoratori”.
Nel 1897, quando ha appena 19 anni, il tipografo, abbandonati i principi anarchici, si è iscritto al “Gruppo elettorale socialista delle Sezioni Rinite di Chiaia e San Ferdinando”, che fa parte della “Federazione Socialista Napoletana”, sezione locale del PSI, e per tutta risposta la polizia dell’Italia che si autodefinisce “liberale”, lo ha inserito nello schedario politico tra i militanti pericolosi, pronti “a trarre da tutto occasione per suscitare disordini”. Agli occhi delle Autorità di Pubblica Sicurezza il giovane Licciarelli sta cercando di creare disordini solo perché, assieme al commesso di negozio Eduardo Ponsiglione, un altro “pericolossimo sovversivo”, che organizza agitazioni e proteste per ridurre l’orario di lavoro da 14 a 10 ore, ha promosso un’agitazione per la refezione scolastica comunale, che rientra nella iniziative messe in campo dal Partito Socialista contro la piaga dell’analfabetismo.
Nel maggio 1898, quando il costo del pane sale alle stelle a causa della guerra tra gli Stati Uniti e la Spagna, a Milano Bava Beccaris prende a cannonate la popolazione affamata e a Napoli la Questura profitta di una manifestazione e di qualche slogan repubblicano, per mettere il bavaglio al sindacato e ai sindacalisti. Amleto Licciarelli non ha scampo: dopo il decreto dello stato d’assedio e della legge marziale, è arrestato e sottoposto a sorveglianza speciale, perché, sostiene l’accusa con spudorata chiarezza, ha commesso “reato di pensiero e di lavoro”. Detta più chiaramente, da bravo tipografo socialista, che i libri non solo li stampa ma spesso li legge, ha spiegato alla povera gente che il pane dalla bocca glielo ha tolto la guerra, che dietro motivi nobili nasconde sempre interessi ignobili, e ha invitato i lavoratori a iscriversi in massa alla Camera del Lavoro che assieme a un pugno di compagni ha appena organizzato.
Il tentativo di intimidirlo dura poco, un po’ perché il giovane tipografo non è di quelli che si spaventano facilmente, un po’ perché, terminato lo stato d’assedio, i tribunali ordinari sono costretti a cancellare i provvedimenti repressivi e sentenze durissime che non fondano su uno straccio di prova.
Tra il 1899 e il 1900, mentre il movimento sindacale in città torna a crescere impetuosamente e alle elezioni amministrative del 1899 socialisti e repubblicani fanno registrare un primo significativo balzo in avanti, com’è caratteristico della storia della sinistra in Italia, una polemica destinata e sopravvivere per più di un secolo, a giungere fino ai nostri giorni e a fare le fortuna della destra investe il PSI napoletano e trova in Licciarelli il protagonista più coerente, anche se probabilmente più dannoso alle idee che intende portare avanti. In vista delle elezioni, dopo che il Congresso di Roma del 1900 ha adottato la tattica delle “alleanze coi partiti affini” – oggi diremmo del campo largo – Amleto Licciarelli presenta le dimissioni da ogni incarico politico e sindacale “perché per le sue idee intransigenti, non intende seguire la tattica delle eventuali alleanze”.
E’ il segnale di una crisi profonda, che non riguarda solo il tipografo milanese, la realtà napoletana e un anno particolare della storia della Sinistra. E’ un suo problema politico e ormai storico. In meno che non si dica si scatena un vero terremoto: Carlo Baldisserorro, sindacalista di valore e Segretario della Camera del Lavoro, è espulso, parte per l’America e se ne perdono le tracce. Stessa via segue di lì a poco il sarto Giuseppe Serena, un esperto organizzatore sindacale e Giovanni Bergamasco, napoletano nato a San Pietroburgo, figlio del fotografo di corte degli Zar, rifugiatosi a Napoli con l’accusa di nichilismo, rompe col Partito e col sindacato, fa leva sul notevole seguito che ha conquistato presso i lavoratori e dà vita con Gino Alfani a un Circolo dissidente – il Circolo “Aurora” – che sottrae al PSI importanti quadri politici e sindacali e quel Gino Alfani, futuro segretario della Camera del Lavoro di Torre Annunziata, amico del giovane Bordiga, sindaco della “città rossa” che i fascisti espugneranno con la forza e primo deputato eletto nelle file del PCdI in Campania.
Per molti di questi personaggi esistono documenti che consentirebbero di scrivere biografie di estremo interesse. E la Rete per la Costituzione e l’antifascismo spera che giovani studiosi vogliano proseguire il lavoro che noi anziani non siamo più in grado di proseguire, ma riteniamo prezioso:
Di Amleto Licciarelli, che nel 1902 fa parte del Circolo dissidente “Aurora”, si perdono le tracce nel 1902, Di una cosa si può esser certi. A suo merito va ricordato che fu certamente un antifascista militante, sorvegliato fino al 1942. La sua biografia monca – mancano purtroppo le mille carte dell’archivio di Stato di Napoli, bruciate dai nazisti nel 1943 durante l’occupazione della città – così come le tante storie simili che andrebbero ricostruite, hanno il valore che ebbero in anni lontani dai nostri, ma non per questo slegati dai problemi attuali, per Danilo Montaldi il suo lavoro di pioniere, le sue storie di vagabondi, ladri e militanti politici, le sue Autobiografie della leggera (Torino, Einaudi, 1961), i suoi Militanti politici di base (Torino, Einaudi, 1970) che raccolsero significative storie di vita. Un lavoro prezioso che la morte prematura troncò e che andrebbe ripreso, se non altro per ricordarci che dietro la parola “Sinistra” ci sono grumi di problemi antichi e mai risolti, che si ripresentano puntuali ogni volta che la vicenda storica sembra ripetersi. Ricordarci che c’è stata una “Nuova sinistra” e figure di spicco come Boisio e Montaldi finiti troppo presto nel dimenticatoio.
Giuseppe Aragno
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[…] di spicco come Bosìo e Montaldi finiti troppo presto bel dimenticatoio.Agoravox, 1 agosto 2024; Transform!Italia, […]