La domanda europea di prodotti ottenuti dalla deforestazione sarà accelerata da un trattato commerciale che Bruxelles vuole approvare al più presto, nonostante una pandemia, la crisi ecologica e le promesse del green deal.
La pandemia campeggia ancora sui media di tutto il mondo e si consolidano i nessi fra propagazione dei virus e distruzione ambientale causata da deforestazione, agricoltura industriale e urbanizzazione. L’Amazzonia, la foresta pluviale più grande del mondo, è tra gli ecosistemi presi d’assalto da agricoltori, allevatori e imprese ben decise a soddisfare la domanda internazionale di legname, carne e mangimi. Un appetito che il trattato commerciale UE-Mercosur, firmato lo scorso 28 giugno e in attesa di ratifica, tenderà ad amplificare con effetti potenzialmente irrimediabili. La Commissione europea sostiene questo accordo con i paesi del mercato comune sudamericano (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay), che favorisce in particolare la vendita di automobili tedesche in Sud America e l’importazione in Europa di carne, soia ed etanolo (cars for cows). L’Europarlamento, però, ha preso una posizione molto critica con la risoluzione del 26 maggio scorso in Commissione Agricoltura. Il documento chiede di riaprire il testo negoziato da Bruxelles per inserirvi clausole ambientali e sociali vincolanti, evitando di contribuire al degrado ambientale in Amazzonia e in altri luoghi del pianeta. È uno schiaffo al Commissario per il commercio, Phil Hogan, che aveva sostenuto di poter usare il trattato commerciale per fare “una certa leva” sui governi del Mercosur e spingerli a considerare uno sviluppo più sostenibile. Cosa piuttosto difficile, stando alle prove raccolte dalla società civile che ha studiato i testi pubblicati. A rinforzare le preoccupazioni è un rapporto appena uscito, richiesto dalla Commissione Ambiente del Paramento europeo ad uno dei suoi centri studi. L’analisi passa al setaccio normative e politiche commerciali della Commissione europea, evidenziandone l’incapacità di contrastare la deforestazione in Amazzonia. In particolare, sottolinea i potenziali contraccolpi dell’accordo di liberalizzazione UE-Mercosur su ambiente, clima, diritti umani.
Dal giorno della firma fra l’ex presidente UE Juncker e i premier di Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay, la deforestazione è cresciuta costantemente, soprattutto in terra verdeoro. I nuovi dati, rilasciati dall’Istituto brasiliano per la ricerca spaziale (INPE) ad aprile, hanno rivelato un aumento record (+51%) del disboscamento in Amazzonia fra gennaio e marzo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche in questo primo trimestre, in cui il paese era alle prese con la pandemia di Covid-19, piromani e taglialegna hanno proseguito le attività. In quella che è considerata “bassa stagione” per gli incendi, sono andati in fumo 796 kmq più dell’anno prima, mentre nel 2019 erano stati persi in totale 9.762 kmq di foresta contro i 4.571 del 2012 (anno in cui il fenomeno aveva raggiunto i minimi storici).
La devastazione ambientale si riverbera sul sistema climatico, perché fumo e fuliggine sollevati dai roghi impediscono alle particelle presenti nell’aria di legarsi per formare le gocce di pioggia. Ne consegue una riduzione delle precipitazioni che contribuisce al degrado della biodiversità. Spinto all’estremo, questo fenomeno rischia di causare il “dieback”, cioè la morte della foresta a causa delle crescenti temperature e dello stress idrico. Alcuni studi prevedono che il punto di non ritorno per l’Amazzonia sia già molto vicino: oggi assorbe il 9% del carbonio globale, ma quando perderà il 25% della sua superficie originaria non sarà più in grado di rigenerarsi e inizerà la trasformazione da foresta in savana. La riduzione è già oggi del 23%.
Il commercio, benzina per le motoseghe
Ad agosto 2019, poco dopo aver sottoscritto l’intesa di principio al termine di vent’anni di negoziati, Jean Claude Juncker – ex presidente della Commissione UE – si è trovato a dover giustificare un accordo durante l’ondata di roghi che divoravano la foresta amazzonica, causando profondo sconcerto nell’opinione pubblica mondiale. Gli incendi erano riconducibili a piromani che avevano messo gli occhi su nuove terre da sfruttare, imbaldanziti dalle dichiarazioni del presidente brasiliano Jair Bolsonaro favorevole a una nuova ondata di distruzione della foresta. Dopo i roghi e la deforestazione, infatti, la terra passa solitamente in mano ai grandi allevatori e poi ai coltivatori di soia, che tramite condoni espandono le loro attività in territori prima proibiti. Bolsonaro ha agito finora per facilitare le operazioni di questi gruppi di interesse, indebolendo i controlli, tagliando il budget alle autorità ispettive e licenziando il direttore dell’agenzia spaziale dedita ai monitoraggi satellitari. In ultimo, ha messo in cantiere leggi che consentiranno lo sfruttamento di zone dell’Amazzonia precedentemente protette e abitate dalle comunità indigene.
L’accordo UE-Mercosur rischia di dare ulteriore slancio a questa distruzione dell’ecosistema, favorendo il commercio di prodotti collegati al disboscamento. Le quote di importazione di carne bovina nell’Unione dovrebbero salire del 30%: già oggi il mercato comune sudamericano è il primo partner commerciale dell’UE per importazioni di questo prodotto, fra i principali driver di deforestazione in Brasile, Argentina e Paraguay. Anche la soia, altra commodity interessata dal patto fra i due blocchi, aumenterà il suo impatto sugli ecosistemi forestali. Per facilitare il commercio, le tasse sulle esportazioni di soia che parte dall’Argentina saranno rimosse, con una maggiore deforestazione attesa e conseguente perdita di biodiversità in importanti habitat sulla frontiera della soia come il Cerrado brasiliano il Chaco argentino e paraguaiano. L’etanolo è un terzo prodotto di cui aumenteranno decisamente gli scambi: nel 2019, il governo brasiliano ha revocato il divieto di coltivazione della canna da zucchero in Amazzonia, una decisione preoccupante dal momento che il paese sosterrà quasi la metà del crescita della produzione di etanolo nel mondo entro il 2025.
C’è poi l’impatto climatico: secondo un’analisi dell’ONG Grain, l’aumento degli scambi di prodotti alimentari fra i due blocchi risulterebbe in emissioni addizionali dell’82% per la carne bovina e del 6% per il pollame. Le emissioni legate al commercio degli 8 prodotti agricoli più scambiati dai due blocchi dovrebbero salire del 34% (da 25,5 a 34,2 milioni di tonnellate di CO2eq).
I due volti dell’Europa
Carne bovina e soia, insieme a pollame ed etanolo, sono tra i prodotti che più beneficeranno della deregulation concordata dal patto UE-Mercosur, che abbatte dazi, tariffe, regole e controlli su filiere ad alto impatto ecologico e climatico. Se da un lato la nuova Commissione europea lancia il green deal e la strategia Farm2Fork, dall’altro conserva un certo pragmatismo che rende l’agenda commerciale difficilmente compatibile con questi annunci. Dai paesi membri viene una generale approvazione: la Germania ha inserito l’approvazione in Consiglio europeo dell’accordo fra le priorità del suo semestre di presidenza dell’Unione, mentre l’Italia già mesi fa esprimeva dichiarazioni concilianti con il Ministro agli affari europei, Enzo Amendola e la vice Ministra degli esteri Marina Sereni (“L’Italia è tra i paesi che si batte affinché questo accordo venga finalizzato”). Sull’altro lato della barricata ci sono ad oggi Austria e Olanda, i cui Parlamenti hanno chiesto esplicitamente al governo di togliere il supporto al trattato. Ma il fronte è presidiato da una schiera di movimenti ambientalisti e organizzazioni della società civile, dagli agricoltori europei e dalle popolazioni indigene dei paesi latinoamericani coinvolti.
Tutti sottolineano i risvolti negativi di questo patto economico. Gli agricoltori europei riuniti sotto l’organizzazione ombrello COPA-COGECA mettono l’accento sulle perdite economiche che subiranno con l’aumento delle importazioni dal Sud America. Le associazioni ambientaliste denunciano la chiara mancanza di impegno per la conservazione degli ecosistemi da parte sia dell’Unione europea, sia dell’attuale amministrazione brasiliana, che ha accelerato lo smantellamento dei meccanismi di due diligence commerciale e di controllo ambientale. I sindacati temono per la competizione con paesi dove i diritti sociali non sono una priorità: nel 2019, la Confederazione sindacale internazionale (ITUC) ha inserito il Brasile fra i 10 paesi peggiori per i lavoratori, a causa della repressione violenta degli scioperi e delle minacce ai sindacalisti. Infine, le organizzazioni per i diritti umani ricordano che fra il 2009 e il 2018 ben 363 difensori della terra sono stati assassinati su territorio brasiliano, il più macchiato da questi crimini che restano quasi sempre impuniti.
Niente vincoli al commercio
Alcuni vedono l’accordo di associazione UE-Mercosur come un’opportunità per l’Europa di promuovere un nuovo tipo di politica commerciale, che includa disposizioni sui diritti umani, dei lavoratori, delle popolazioni native e dell’ambiente. La presenza di un capitolo sullo sviluppo sostenibile impegna le parti, fra le altre cose, al rispetto dell’Accordo sul clima di Parigi e ad agire contro la deforestazione. Ma la realtà, come sottolinea il dossier del Parlamento europeo, è che Bruxelles ha firmato un testo senza vincoli reali: anche se il capitolo sullo sviluppo sostenibile è legalmente vincolante, non prevede dispositivi di sanzione che possano scoraggiare le violazioni. Anzi, si fa affidamento soltanto su meccanismi di cooperazione e composizione delle dispute tramite il dialogo bilaterale. Per Monica Di Sisto, vice presidente della ONG Fairwatch, “c’è un conflitto fondamentale che risiede nella missione degli accordi commerciali, nati per facilitare il lavoro di imprese spesso ecologicamente dannose e interessate ad avere un campo da gioco privo di ostacoli normativi per competere più agilmente sul mercato globale. Con queste premesse, il commercio non verrà mai vincolato seriamente alle convenzioni sull’ambiente o sui diritti umani. Ecco perché siamo nettamente contrari ad una ratifica di questo accordo. Chiediamo al Governo italiano di aprire una unità trasparente di valutazione delle politiche economiche e commerciali, dove i diritti di noi cittadini e dell’ambiente, e le opportunità economiche per il nostro Paese, vengano valutate insieme con trasparenza”.
Il patto, se ratificato dal Parlamento europeo e dai Parlamenti nazionali, abbatterà i controlli alle frontiere, semplificherà le procedure di verifica e lascerà in gran parte ai paesi partner l’onere di valutare la corrispondenza delle merci esportate con le regole europee. Funzionerà così: la parte esportatrice preparerà un elenco di “stabilimenti autorizzati” a controllare i prodotti animali e vegetali da esportare. Essi saranno certificati da un’autorità competente della parte esportatrice, la quale dovrebbe garantire che tali stabilimenti non violino i requisiti sanitari del paese di destinazione. La parte importatrice ha il diritto di effettuare verifiche e audit sul sistema di controllo ufficiale del paese di esportazione, ma deve annunciare i controlli con 60 giorni di anticipo. È piuttosto evidente la debolezza di questo approccio dal punto di vista della garanzia di sicurezza alimentare. Per fare un esempio la ractopamina (farmaco utilizzato anche come additivo per mangimi) è bandita in 160 paesi tra cui l’UE per i danni alla salute, ma è stata trovata nelle esportazioni brasiliane ed è ancora legale in Argentina. Inoltre, le condizioni dei mattatoi nel Mercosur, vista la decisione europea di minimizzare le ispezioni, apriranno a maggiori possibilità di importare carni infettate da patogeni come la salmonella. Il più grande esportatore mondiale di carne al mondo, la brasiliana JBS (che manda a morte 77 mila bovini al giorno), è stata coinvolta in uno scandalo nel 2017 per aver venduto carne putrescente, corrotto politici ed essersi macchiata di insider trading. Decine di impianti di trasformazione della carne gestiti da aziende come JBS, con le loro linee industriali di smontaggio e confezionamento degli animali, sono stati chiusi durante le ultime settimane perché focolai di Covid-19. I paesi più coinvolti sono Brasile, USA, Canada, Australia, Irlanda, Spagna, Germania, Regno Unito e Francia.
L’utopia della tracciabilità
In questi anni l’UE ha tentato di darsi regole per ridurre l’impatto delle sue importazioni sulle foreste. Ma ad oggi il 50% della deforestazione incorporata negli scambi commerciali ha ancora come mercato di destinazione il vecchio continente. I prodotti che più contribuiscono al fenomeno sono i mangimi e gli oli vegetali per l’industria alimentare, ma l’UE acquista anche 117 mila tonnellate di carne di manzo e 80.500 tonnellate di pelle dal Brasile – circa il 20% dell’import globale – gran parte dei quali ricavati da zone deforestate. Tracciare la deforestazione importata è un compito arduo: la legislazione comunitaria prevede una forma di due diligence volontaria, e le imprese europee sono lente nel rendere noti i progressi. Nel 2019, il 70% delle 1.800 aziende interrogate dal Carbon Disclosure Programme (CDP Europe) non hanno saputo dare informazioni sulle loro iniziative per eliminare la deforestazione dalla filiera. Anche i dati raccolti da Forest500 indicano un sostanziale fallimento degli impegni.
L’intenzione di uscire da un regime volontario per dar vita a un sistema di due diligence vincolante avanzata dal Commissario alla Giustizia Didier Reynders è un primo passo, ma se le strutture deputate a svolgere l’implementazione non saranno adeguatamente finanziate, resterà una pia illusione. Allo stesso modo, la tassa sul carbonio importato (Carbon Border Adjustment) proposta dalla Commissione europea può essere un altro argine alle derive che ha preso la globalizzazione. L’intento è determinare le emissioni associate alla produzione di un prodotto importato. Tuttavia, anche in questo caso, senza una revisione profonda delle logiche sottese al sistema di sviluppo sarà complesso far coesistere strumenti che hanno obiettivi antitetici, come la legislazione ambientale e le politiche commerciali.
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Articolo già pubblicato da La Stampa e qui riprodotto con l’autorizzazione dell’autore