Governo e maggioranza sembrano ossessionati dalla genitorialità e due dei suoi esponenti, Meloni e Salvini, sembrano trarre dall’essere genitori non solo la fonte di ispirazione per le loro campagne ma la legittimità delle stesse: parlano e governano in qualità di genitori. Ricordiamo tutti il “sono una madre” di Giorgia Meloni in campagna elettorale e la stessa espressione nella sua “difesa” in Parlamento in relazione al naufragio di Cutro, come se questa condizione fosse sufficiente da sola a tacitare tutti i dubbi. L’essere madre di Meloni e l’essere padre di Salvini sono usati a “garanzia” della qualità del loro operato, sbandierati a proposito e a sproposito (soprattutto a sproposito, in realtà). E non mancano altri ministri ed esponenti di maggioranza che dispensano saggezza su cosa fare e non fare quando si è genitori, come Piantedosi sempre in relazione al naufragio di Cutro.
Partire da sé, da quello che si è (l’essere genitori in questo caso), senza fingere di essere “neutri” (come ci avevano abituati i molti uomini e le poche donne della cosiddetta prima repubblica), cioè asessuati e con una vita di relazione sostanzialmente “secretata”, è un aspetto positivo di questo tempo della politica, e ne dovrebbe derivare non già solo una generica “sensibilità” ma la tutela concreta degli interessi in gioco, quelli dell’infanzia in questo caso.
E allora un ventaglio di interventi volti a incidere sul problema della povertà materiale ed educativa dei minori (sostegni al reddito, politiche abitative, misure per la piena inclusione scolastica e di contrasto all’abbandono formativo) sarebbe dovuto essere al primo punto all’ordine del primo Consiglio dei ministri. Secondo l’Istat, infatti, un milione e quattrocentomila minori in Italia sono in povertà assoluta, perché sono povere le loro famiglie (soprattutto quelle che vivono al Sud, quelle composte da non cittadini italiani o da un solo genitore, quando i minori sono tre o più). E sono maggiormente esposti alla povertà educativa quando i loro genitori hanno brevi percorsi di istruzione e bassi redditi 1. Invece i genitori di questi minori (insieme a coloro che non hanno figli) vengono dichiarati “occupabili” per legge e, in quanto tali, privati anche di quell’insufficiente sostegno che era rappresentato dal reddito di cittadinanza (particolarmente carente, come è stato rilevato più volte da Chiara Saraceno, presidente del Comitato per la valutazione del reddito di cittadinanza, proprio in quanto a tutela delle famiglie più numerose).
Poiché l’infanzia è centrale nelle politiche della maggioranza, non si dovrebbero lasciare nel limbo del mancato riconoscimento della cittadinanza i minori nati in Italia da genitori stranieri, come se fosse un premio da meritare alla fine di un lungo percorso a ostacoli. Nelle precedenti legislature non si è fatta una legge né sullo jus soli né sullo jus culturae (approvato solo alla Camera), ma con l’aria che tira con questa maggioranza è più che improbabile che la proposta faccia un solo passo avanti perfino nella sua versione più light.
Poiché l’essere madri e padri sembra essere così rilevante nell’orientare le politiche della maggioranza, la maternità (insieme alla paternità) consapevole dovrebbe essere favorita e non ostacolata da interventi volti a sostenere, come si legge su numerosi cartelloni in giro per le città “il diritto a non abortire”, come se ci fossero norme o pratiche che spingono o addirittura costringono le donne ad abortire contro la loro volontà (l’unica che conti). Come sappiamo, invece, è vero esattamente il contrario: donne che vogliono interrompere la gravidanza sono costrette a un vagabondaggio sanitario alla ricerca di strutture nelle quali la legge 194 sia applicata in nome della libertà di scelta in materia di maternità. Un problema sul quale la maggioranza non solo non intende intervenire (come hanno fatto anche le precedenti maggioranze), ma di cui nega persino l’esistenza.
Poiché l’essere genitori riveste un ruolo così preponderante nella comunicazione politica della maggioranza, non si spiegano razionalmente (ma si comprendono benissimo ideologicamente) sia la circolare del Ministero dell’Interno che chiede ai prefetti di invitare i sindaci a non trascrivere più i certificati di nascita ottenuti all’estero in cui oltre al genitore biologico viene riconosciuto anche il genitore intenzionale sia la bocciatura della proposta di regolamento sul certificato di filiazione europeo. Con l’aggiunta della pretesa (inesigibile, per l’impossibilità di applicare la legge italiana in uno Stato nel quale lo stesso fatto non è un reato) della persecuzione del “reato universale” di maternità surrogata, per il quale si scopre lo sfruttamento delle donne povere (delle quali, in tutti gli altri casi e ovunque vivano, ci si dimentica con grande facilità, limitandosi a definirle “sfortunate”) e si fanno vergognose comparazioni di gravità con la pedofilia, facendo sorgere il dubbio che si vogliano perseguire anche le persone che ricorrono alle tecniche di procreazione vietate in Italia e per le quali è esclusa la punibilità2.
La punizione è la più ricorrente risposta di governo e maggioranza a qualunque problema, e quindi altri temi vengono all’attenzione del legislatore-genitore: per i “bulli”, secondo il ministro Valditara, serve l’umiliazione (nella forma del lavoro socialmente utile) e per i disturbi alimentari (in aumento) degli adolescenti il nuovo reato di istigazione all’anoressia. Nella proposta c’è anche lo psicologo scolastico (che lascerebbe “scoperti” quelli che a scuola non vanno), per il quale servono risorse, di cui però non c’è traccia, nonostante il gran parlare che si è fatto durante e dopo la pandemia della necessità di investire sulla prevenzione del “disagio giovanile” e nonostante le raccomandazioni dell’Autorità garante dell’infanzia.
Ma è sulla punizione delle donne che madri e padri della patria si esercitano con più passione, con le proposte di mandare in carcere anche le donne incinta o con figli di età inferiore a un anno (escludendo l’automatismo del differimento della pena attualmente previsto)3 e di interdire dalla responsabilità genitoriale le madri (si badi bene: solo le madri) condannate con sentenza definitiva per reati “gravi”. Quello che Edmondo Cirielli, viceministro degli esteri con una laurea – tra le altre – in Giurisprudenza (un’infarinatura di diritto dovrebbe averla, quindi), non sembra sapere è che non solo le “madri degeneri”, come le ha definite, ma anche i padri possono essere condannati alla pena accessoria dell’interdizione dalla responsabilità genitoriale (si chiama così, viceministro, non “patria potestà”) se la condanna è superiore ai 5 anni. Come altre pene accessorie, l’interdizione è perpetua in caso di condanna all’ergastolo e temporanea, cioè coincidente con la durata della pena, negli altri casi. Dobbiamo, forse, pensare che sia questa la maniera di risolvere, senza stare troppo a discutere di Icam4 e di case famiglia, la questione delle 23 madri con 26 bambini al seguito5 o che nell’uovo di Cirielli ci sia la sorpresa di una nuova definizione di “gravità” per i reati commessi dalle madri (e solo da loro)?
Quando si dice avere a cuore la famiglia…
Maria Pia Calemme
- Si veda anche il recente Rapporto della Fondazione Cariplo sulle diseguaglianze, anche se le rilevazioni Invalsi, assunte come base per verificare la capacità del sistema di istruzione di colmare le diseguaglianze di partenza, non sono l’unico strumento in questo senso.[↩]
- La legge 40/2004 stabilisce che “non sono punibili l’uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche”.[↩]
- In questo senso la proposta di legge della Lega.[↩]
- Istituti a custodia attenuata per detenute madri che non possono usufruire di alternative alla detenzione.[↩]
- Su un totale di 2.392 donne detenute a fronte di una capienza di 533 posti letto (dati del Rapporto di Antigone sulle donne in carcere aggiornati a gennaio di quest’anno).[↩]