articoli

Politica che perde va cambiata

di Roberto
Musacchio

Il 25 settembre l’unico voto che ha un senso per il futuro è quello a Unione Popolare.

Dice “Fai propaganda, anche un po’ settaria”.
Rispondo: “Ve lo spiego”.

Mai come questa volta le elezioni sembrano segnate. Vittoria delle destre reazionarie sulle forze liberiste. Solito copione delle seconde che gridano al lupo. Prima era Berlusconi, poi Salvini, oggi Meloni. E in effetti avrebbero pure ragione perché i tre personaggi sono poco raccomandabili. Ma se si guarda ai disastri fatti da Letta e dal PD, dal modo di arrivare alle elezioni, alla rottura con Conte, alla farsa con Calenda, alle liste arlecchino che se voti uno ti becchi pure il suo opposto, ti viene da pensare che ad essere contro i pessimi ci sei tu ma non Letta e il PD. Presumibilmente Letta vorrà provare ad essere il primo partito, e comunque a prendere più voti del suo predecessore (era Renzi) alle ultime elezioni per poi accomiatarsi facendo girare le sliding doors verso una diversa funzione della governance globale di cui fa parte funzionariale.
Per il resto che vinca Meloni, con cui ha dialogato ad Atreju occhieggiando ad un nuovo bipolarismo accomunato dall’adesione piena al neoatlantismo, non deve turbare molto i suoi sonni.

Per altro la crisi si farà presumibilmente sempre più acuta, tra guerra, energia, stagflazione, ritorni di austerità, e l’esperienza dice che in questi casi prima o poi un bel governo tecnico arriva.
Sono d’altronde trent’anni che va avanti così. Ormai la politica è un gioco di incastri tra esecutori di ordini. Ed oggi quelli della NATO sono molto stringenti.

Si dice che la sinistra ha perso il suo rapporto col popolo. Ma ormai questo vale per tutti. Meloni farà una politica di totale allineamento a NATO e poteri economici dominanti. Il personaggio per altro ha già dimostrato di navigare tra governi Monti e leggi Fornero.
La campagna elettorale serve a fare sfogare le pulsioni ma poi il governo è altro.

L’unico soggetto che ha ricongiunto per un attimo politica e popolo sono stati i Cinquestelle. Lo hanno fatto sostanzialmente in nome dell’odio per la casta. Che essendo ben diverso dall’odio di classe rimproverato ai comunisti è stato ben accetto, utilizzato per tagliare il Parlamento e poi triturato dalle contorsioni politiciste dei Cinquestelle primo partito in Parlamento.
Per tornare al bipolarismo neoatlantico andavano fatti fuori. Ma loro non mostrano grande comprensione degli eventi riproponendosi tra vecchio reportorio e nuova interpretazione del centrosinistra “buono” per provare a prendere circa un terzo dei voti precedenti. Per altro senza prospettiva futura, perché il centrosinistra buono, come diceva la barzelletta, non esiste.

La crisi del PD produrrà con grande probabilità un nuovo renzismo muscoloso in salsa Bonaccini. O qualcosa di simile.

Puntare sulla redenzione del PD è ciò che rende improbabile la proposta di Sinistra Italiana e Verdi. Essendo quella di contribuire a limitare le destre palesemente falsificata dal comportamento dello stesso PD. Si può capire la posizione dei Verdi che pure stanno in un partito europeo la cui leadership tedesca ormai è su guerra e austerità a destra della SPD. Ma per Sinistra Italiana non c’è senso alcuno se non il guardare indietro e non tenere conto delle lezioni né delle altre esperienze europee.
LEU portò la quasi totalità degli eletti a votare Draghi e Articolo uno a rientrare nella lista PD.

In Grecia, Francia, Irlanda le sinistre alternative che contano si affermano nella lotta su due fronti contro destre e liberisti e soppiantando i partiti socialisti divenuti liberali.
Purtroppo in Italia il tentativo di resistenza e di ripartenza fondato sulle forze sostanzialmente provenienti dalla storia del PCI e della Nuova Sinistra ha retto per molto ma ha perso.

Da tempo c’è la difficoltà di reimpiantare una forza radicale di dimensioni adeguate. Questa è l’unica impresa che abbia un senso. E già nelle elezioni del 25 settembre è l’unico voto che va oltre la sconfitta.

Roberto Musacchio

elezioni politiche 2022
Articolo precedente
Contro la depressione sociale e la paura del futuro
Articolo successivo
“Autonomia differenziata” e governo delle acque e del suolo

2 Commenti. Nuovo commento

  • Pier Giuseppe Arcangeli
    28/08/2022 10:28

    Incrociando le dita, se ne riparlerà il 26 settembre: reggerà un ‘soggetto politico’ che ‘era’ in costruzione – contando su tempi di maturazione più lunghi – alla jattura elettorale (comunque vada per U. P.)? Mi sono trovato a condividere i miei (vecchi) pensieri con l’articolo di Ramon Mantovani sul numero di Luglio di ‘Su la testa’: la (nostra) sinistra dovrebbe capire che “questo terreno elettorale è un terreno ostile in sé e che qualsiasi scelta si faccia essa presenta contraddizioni con la propria politica” e che “l’unico luogo nel quale nasce la coscienza di classe è il conflitto sociale, e non certo la competizione elettorale”. Sia chiaro: domani ho appuntamento con i compagni per organizzare la campagna, perché anche questo (forse) può servire a mettere insieme le (sempre più deboli) forze di Rif. com. con le (giovani e forti) debolezze di P.alP. – Ma se mai avessimo la capacità di uno straccio adeguato di partito, non sarà il caso di dire apertamente – e coerentemente – che non giochiamo (più) a giochi truccati (e anticostituzionali), perché abbiamo/avremmo altro da fare/organizzare, p. es. ascoltare e connettersi nel profondo a quel 20%, forse 30%, della metà del Paese che – variamente motivata o semplicemente immotivata o rassegnata – a votare non ci va, nemmeno se si presenta de Magistris, e che però sta incazzata e lo sarà ancora di più il 26 settembre?

    Rispondi
  • Roberto Silvestri
    28/08/2022 18:33

    Votare per non raggiungere nemmeno il 3% e restare ancora una volta fuori dal Parlamento?
    Non mi sembra una grande idea.

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.