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Pole position. Nazionalismi europei in punta di diritto

di Tommaso
Chiti

Con la sentenza della Corte Costituzionale polacca sul primato del diritto nazionale rispetto a quello comunitario, si apre l’ennesima crisi europea in salsa sovranista.
La scorsa settimana infatti il supremo Tribunale di Varsavia ha sancito l’incompatibilità della Costituzione con gli articoli 2 e 19 del Trattato sull’Unione Europea, mettendo in discussione “il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati” (art.19) e come corollario anche il fondamento dell’UE sullo stato di diritto.

A differenza delle ricorrenti tensioni sull’adeguamento degli ordinamenti nazionali con provvedimenti della Commissione o sentenze della Corte di Giustizia UE per il mancato o tardivo recepimento di certe disposizioni; questo pronunciamento si scaglia direttamente contro i trattati costituenti ed in particolare contro uno dei principi cardine della cooperazione fra stati membri.

Dall’ingresso della Polonia nell’UE del 2004 il primato del diritto comunitario come struttura portante delle relazioni fra stati membri è stato un principio riconosciuto volontariamente e sottoscritto dai contraenti, proprio come assetto regolatore dei rapporti commerciali e politici, come sancito già nel 1963 dalla Corte di Giustizia, estesa poi anche agli ambiti di mercato e moneta unica.
La condivisione di sovranità però è un concetto ostico ai partiti nazionalisti al governo; ed il PiS – che paradossalmente sta per ‘Diritto e Giustizia’ – del premier conservatore Morawiecki persegue scrupolosamente il progetto tipico delle ‘democrazie illiberali’, limitando l’indipendenza della magistratura, così da poterne condizionare politicamente i verdetti.
Proprio per la riforma giudiziaria con un nuovo regime disciplinare dei magistrati, varata dal predecessore Kaczynski, l’UE aveva già avviato una procedura d’infrazione.

Inoltre, la suprema Corte polacca è formata da 15 giudici nominati dal Presidente della Repubblica su indicazione parlamentare per nove anni, con un sistema di cooptazione che dal 2015 ha selezionato sempre più magistrati in linea con l’orientamento del partito di maggioranza (PiS), come dimostra la nomina a capo del Tribunale di una sua fedelissima, Julia Przylebska.
Quella che da più parti viene già bollata come ‘PolExit legale’ sancisce una rottura solo apparentemente in punta di diritto, dato il rigetto immediato della sentenza da parte della Commissione Europea.
La Presidente Von der Leyen in una nota ha ribadito seccamente “il primato (del diritto UE) sul diritto nazionale, comprese le disposizioni costituzionali. Questo è ciò che tutti gli Stati membri dell’UE hanno sottoscritto come membri dell’Unione europea”.

Tuttavia, che la questione non sia meramente giudiziaria poi lo si è visto proprio lo scorso fine settimana per la mobilitazione lanciata da Piattaforma Civica dell’ex-Presidente del Consiglio UE e ora leader d’opposizione, Donald Tusk, che ha portato in piazza centomila persone a Varsavia al grido di “Io resto nell’Ue” , “Traditori” e “Benvenuti in Bielorussia”, contro questa sentenza e le sue ricadute politiche ed economiche.
Da tempo infatti il governo guidato dal PiS aveva avviato una crociata contro diritti civili e libertà femminili, specialmente per il riconoscimento delle unioni omosessuali ed il ricorso all’aborto legale.
Inoltre, recenti sondaggi pubblicati dall’Eurobarometro riportano la soddisfazione di circa l’80% dei polacchi per l’adesione all’UE, che dal canto suo eroga miliardi di sussidi dai fondi comunitari, garantendo uno sbocco commerciale nel mercato unico, in cui l’ex repubblica sovietica è particolarmente competitiva.

In ballo ora ci sono 58,7 miliardi di euro fra prestiti e sussidi del Next Generation EU, pari a circa il 10% del PIL polacco, ma non ancora sbloccati dalla Commissione, proprio per quella clausola di condizionalità degli stanziamenti, subordinati al rispetto dello stato di diritto e del primato dell’ordinamento comune europeo.

La tensione generata dalla sentenza potrebbe senz’altro tradursi in una situazione di stallo, già evidente con l’attendismo sulla pubblicazione della sentenza in gazzetta ufficiale, dal momento che l’uscita di Varsavia dall’UE può avvenire solo mediante volontà espressa dello stesso stato membro, tutt’altro che popolato da euroscettici; rappresentando inoltre solo una delle opzioni sul tavolo.
Prospettive come la modifica della Costituzione polacca o dei Trattati europei restano comunque strade altrettanto in salita, tali da prefigurare una sorta di ‘limbo’, in cui alla permanenza formale di Varsavia si affianca il tentativo politico-giuridico di vanificare le disposizioni ‘ingerenti’ delle istituzioni europee.

Questo ennesimo atto della diatriba europea è percepito come una frattura grave anche dalla Commissione, con il referente all’Economia, Paolo Gentiloni, che ha esternato preoccupazioni verso alcuni stati membri, ribadendo la determinazione “a difendere principi e valori europei”.
Il riferimento per niente velato va al tandem Varsavia-Budapest, che pure riesce a riverberare le tensioni in seno al Consiglio Europeo, come avvenuto proprio pochi giorni fa nella riunione dei Ministri della Giustizia, con veti incrociati sulla strategia sui diritti dell’infanzia, riguardanti anche misure sul contrasto al bullismo online di giovani LGBTQ ed in favore della libera circolazione delle famiglie arcobaleno.

Su questi fronti già in estate si era aperto lo scontro con Polonia ed Ungheria, le cui elezioni politiche del prossimo anno vengono viste come la chiave di volta al continuo braccio di ferro all’interno dell’anello debole delle istituzioni europee, come appunto il Consiglio.

Con l’attuale presidenza del governo ultra-nazionalista della Slovenia è altamente improbabile che la situazione si sblocchi in quella sede, come riprova anche lo stop alla procedura di sospensione del diritto di voto polacco (ai sensi dell’art. 7 TUE) portato avanti dal 2017.

A queste criticità si affiancano altri dossier aperti nei palazzi di Bruxelles, che finiscono per rinsaldare l’agenda sovranista, trovando ancor più seguito fra i governi, come per l’impasse sul ‘Patto sull’Asilo’.

In questo ambito dodici Ministri dell’Interno – fra i quali quelli di Austria, Grecia, Cipro, Danimarca, Rep.Ceca, Lettonia, ecc. – hanno inviato una lettera alla Presidenza del Consiglio attuale, per richiedere fondi a sostegno di nuovi strumenti di protezione delle frontiere dai flussi di migranti provenienti da Africa e Medio-Oriente, ovvero finanziamenti per nuove barriere di confine.

Del resto non è un caso poi che le reazioni più intransigenti alla sentenza polacca siano state sollevate dal governo francese, con il Segretario agli Affari Europei, che ha ammonito come senza “il rispetto di base delle regole, dei diritti e delle libertà comuni dell’Europa, non ci può essere nessun piano di ripresa e nessun sostegno alla ripresa in Polonia”.

Il sovranismo antieuropeo non è solamente folklore e lo sanno bene a Parigi, dove a pochi mesi dalle elezioni presidenziali del 2022, il giornalista di estrema destra Eric Zemmour sembra aver scavalcato nei consensi la ‘troppo moderata’ Marine Le Pen, affermando pieno sostegno al governo polacco e sollecitandoche la Francia raggiunga queste nazioni nella loro lotta per la libertà”.
Al di là della questione semantica, ultra-nazionalisti ed organizzazioni di matrice neofascista ricorrono spesso alla distorsione di simili principi che, come nel caso delle sentenze e del diritto, si prestano a motivazioni ed interpretazioni.
Anche per questo la Sinistra Europea (GUE/NGL) ha tenuto in questi giorni il convegno ‘Amare la Slovenia, combattere l’estrema destra’, confrontandosi con neoliberismo ed autoritarismo corporativo al potere nel paese ed a capo del Consiglio Europeo, per costruire invece premesse di solidarietà anche rispetto alle politiche migratorie.
Anche il governo sloveno di Jansa è infatti accusato da più parti di interferire sulla libertà di stampa, criminalizzare le opposizioni, reprimere brutalmente le manifestazioni e negare i diritti umani fondamentali sulle questioni di confine.

Al centro del dibattito organizzato dal GUE soprattutto i diritti dei lavoratori, la crisi climatica ed i flussi migratori, a buon diritto ritenute priorità in un contesto di crescenti ingiustizie sociali ed ambientali, che richiamano l’importanza strategica di sconfiggere i fascismi e simili derive sul piano politico, prima ancora che su quello giudiziario.

Info:

https://eupinions.eu/de/blog/examining-the-results-of-the-latest-eurobarometer-report-part-1.

https://left.eu/500035120-2/.

https://www.reuters.com/world/europe/polish-constitutional-tribunal-some-articles-eu-treaties-unconstitutional-2021-10-07/.

https://www.euronews.com/2021/10/07/polish-court-rules-some-eu-laws-clash-with-country-s-constitution.

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