Il 21 ottobre 2021, il Parlamento Europeo ha adottato una Risoluzione su “La crisi dello Stato di diritto in Polonia e il primato del diritto dell’UE”, sulla base di una Proposta di Risoluzione, presentata a seguito delle dichiarazioni rese al Parlamento, il 19 ottobre 2021, dal Consiglio e dalla Commissione Europea. La proposta era stata sottoscritta dai Gruppi di maggioranza (PPE. S&D e Renew) e da quelli dei Verdi/ALE e della Sinistra-GUE/NGL.
La Risoluzione ribadisce il primato del diritto europeo e il valore del ruolo della Corte di Giustizia Europea. Afferma l’illegittimità della sentenza della Corte Costituzionale polacca e ne deplora le conseguenze. Inoltre: “ribadisce la propria opinione secondo cui il denaro dei contribuenti dell’UE non dovrebbe essere concesso a governi che minano in modo flagrante, mirato e sistematico i valori sanciti dall’articolo 2 TUE”. Infine, invita Commissione e Consiglio a intraprendere una pluralità di azioni legali e sanzionatorie per ripristinare lo stato di diritto in Polonia.
Il dibattito in aula è iniziato con la dichiarazione resa a nome della Presidenza di turno dell’UE, Anže Logar, Ministro degli Affari Esteri della Slovenia, ha ribadito il primato del diritto dell’UE: “Senza il primato, l’applicazione del diritto dell’UE varierebbe da uno Stato membro all’altro. Ciò distruggerebbe la parità di condizioni nel mercato unico.”
La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha iniziato la sua dichiarazione ricordando l’anelito alla libertà e all’ingresso nell’UE che percorreva, negli anni ’80, i Paesi dell’Europa Centrale e Orientale. Anelito oggi contraddetto dall’attuale situazione dello Stato di Diritto in Polonia. Ha espresso, poi, grande preoccupazione per la sentenza della Corte Costituzionale polacca che “mette in discussione i fondamenti dell’Unione Europea”. “Solo un ordinamento giuridico comune garantisce pari diritti, certezza del diritto, fiducia reciproca tra gli Stati membri e, quindi, politiche comuni”. La Presidente della Commissione indica tre opzioni per uscire da quest’impasse: impugnare legalmente la sentenza polacca; condizionare i finanziamenti alla Polonia al rispetto dello Stato di Diritto; ricorrere all’art.7 del Trattato, che prevede la sospensione dei diritti di adesione all’UE, a cominciare dal diritto di voto in Consiglio1.
In un lunghissimo intervento – per questo interrotto più volte dal presidente di seduta, e, alla fine, fatto oggetto della sua deplorazione – il Primo Ministro polacco, Mateusz Morawiecki, ha parlato delle crisi di diversa natura che attraversano i Paesi dell’Unione. Ha ricordato i vantaggi reciproci (soprattutto per la Germania) della presenza della polonia nell’UE e ha ribadito la ferma volontà di continuare a farne parte. Si è lamentato di un trattamento, senza basi legali, ingiustamente inflitto alla Polonia. “Respingo il linguaggio delle minacce, delle minacce e delle estorsioni”. “Il diritto dell’UE prevale sul diritto nazionale nei settori di competenza assegnati all’Unione”, ma “Se le istituzioni istituite dai Trattati eccedono i loro poteri, gli Stati membri devono disporre degli strumenti per reagire”. A questo proposito, la Corte polacca “si pone la questione se il monopolio della Corte di giustizia (europea) per definire i limiti effettivi dell’affidamento di tali competenze sia la soluzione giusta”. Morawiecki rivendica il diritto che qualcun altro possa “commentare la costituzionalità” delle competenze; ribadisce il primato della Costituzione polacca sul diritto dell’Unione; cita varie sentenze di Corti Costituzionali di altri Paesi membri in questo senso nonché la posizione di Marek Safjan, ex presidente del tribunale, oggi giudice della Corte di giustizia; rivendica il diritto al dialogo, attraverso le sentenze, all’interno del pluralismo costituzionale dei Paesi membri. C’è anche un tentativo di relativizzare il senso della sentenza polacca che “non ha mai affermato che le disposizioni del Trattato sull’Unione europea siano del tutto incompatibili con la Costituzione polacca” “ha dichiarato incostituzionale una, molto specifica interpretazione di alcune disposizioni del Trattato, risultante dalla recente giurisprudenza della Corte di giustizia”. “Le competenze dell’Unione europea hanno i loro limiti. Non dobbiamo più tacere quando vengono superati”.
Manfred Weber, a nome del Gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE), ha voluto subito chiarire che “Non si tratta della Polonia, si tratta della politica polacca, del governo polacco ad essere in discussione oggi” “La Costituzione degli Stati membri è fondamentale” “Ma le regole di questa Unione Europea sono più importanti delle singole Costituzioni”. “il Trattato di Lisbona, è stato firmato dodici o tredici anni fa da Jarosław Kaczyński, un suo amico di partito. Perché la discussione adesso? Glielo dico io perché: perché oggi il governo polacco sta mettendo la scure all’indipendenza della magistratura interna” “La Polexit: credo che forse non sia uno dei suoi obiettivi politici. Ma chi rifiuta il primato della Corte di giustizia europea, chi rifiuta l’Unione europea come comunità giuridica, chi rifiuta l’indipendenza della magistratura, di fatto esce dall’Unione europea come comunità giuridica”. Weber chiude il suo intervento con un severo richiamo al Consiglio per l’applicazione dell’art.7.
Iratxe García Pérez, a nome del Gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), controbatte vari punti della disquisizione del Primo Ministro polacco. La sentenza “non riguarda il sistema giuridico dell’Unione europea, ma i principi della democrazia e dello Stato di diritto, e questo è ancora più preoccupante”. E rivolgendosi alla Presidente della Commissione Europea: “La Commissione è obbligata ad agire, signora Von der Leyen, i tempi di attesa sono finiti: la Commissione è la custode dei Trattati”.
Sullo stesso registro l’intervento di Malik Azmani, a nome del Gruppo Renew, e di Ska Keller, a nome del Gruppo Verdi/ALE. In completa antitesi, l’intervento di Nicolas Bay, Rassemblement National, a nome del gruppo Identità e Democrazia (ID), che ha pronunciato una vera e propria arringa, con accenti ultrasovranisti, in difesa del Governo polacco, riprendendo gli argomenti già usati dal Primo Ministro, con tonalità più truculente: “Lo stato di diritto è un pretesto per un vero processo stalinista”. Una requisitoria, invece, quella del polacco Ryszard Antoni Legutko, a nome del Gruppo ECR, ma contro il Parlamento di cui è membro, governato da una coalizione “decisamente di sinistra” “che diventa sempre più radicale e cerca di imporre le proprie opinioni di sinistra sul mondo intero”.
Martin Schirdewan, a nome del Gruppo della Sinistra-GUE/NGL, ha esordito attaccando la Commissione Europea per la “passività” mostrata in questi anni nei confronti del Governo polacco: ”Signora von der Leyen, il tempo delle belle parole è finito. Agisca e applichi immediatamente il meccanismo dello Stato di Diritto! Niente più pacificazioni contro la destra autoritaria. La loro politica non deve essere finanziata con soldi europei”. Rivolgendosi poi al Primo Ministro polacco: “È inaudito che lei non abbia trovato qui una parola critica sulle cosiddette zone libere da LGBT nel tuo paese. I diritti umani sono violati lì e questa politica è tollerata e promossa dal suo governo. Trovo oltraggioso come il suo governo neghi alle donne del suo paese il diritto all’autodeterminazione fisica”. Infine, a proposito della sentenza polacca: “Se uno Stato membro iniziasse a scegliere quale diritto dell’UE rivendicare per sé e quale no, presto altri seguirebbero l’esempio, e quella sarebbe la fine politica dell’Unione Europea”.
Guy Verhofstadt, del Gruppo Renew, Copresidente della Conferenza sul Futuro dell’Europa, ha ricordato al Primo Ministro polacco che l’art. 1 (Unione sempre più stretta) e l’art.19 (ruolo della Corte di Giustizia Europea), messi in discussione dalla sentenza polacca (gli stessi per i quali c’è stata la Brexit) furono sottoscritti dalla Polonia con il Trattato di Lisbona. La tedesca Terry Reintke, Vicepresidente del Gruppo Verdi/ALE, introduce un argomento non ancora messo in luce dal dibattito: “Non c’è disaccordo tra la Costituzione polacca e i Trattati dell’UE sulla materia in discussione, sullo stato di diritto e sulla separazione dei poteri o sull’indipendenza della magistratura”.
Dal Copresidente del Gruppo ECR, Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia), oltre alla difesa d’ufficio del Governo polacco, arriva una bordata di contumelie politiche nei confronti delle Istituzioni europee: “totale mancanza di equità nel giudizio da parte di tutte le istituzioni europee”, “c’è un tentativo da parte delle istituzioni europee di cambiare corso a un governo legittimamente eletto in Polonia, e lo si fa con gravissime ingerenze”, “Ecco, mi sembra che questo dibattito sia l’ennesimo autogol di istituzioni europee che vogliono strumentalmente utilizzare le vicende europee per poter mettere il naso e attaccare un governo legittimamente eletto”.
Konstantinos Arvanitis (La Sinistra) riporta la discussione ai fondamentali: “Per l’arco democratico, per la sinistra, una cosa non è negoziabile: lo Stato di Diritto e i diritti umani. Possiamo negoziare altre questioni relative alla politica economica o alla transizione verde, ma non negoziamo questioni relative ai diritti umani e al diritto di ogni donna di fare ciò che vuole con il proprio corpo. Lo stesso vale per il diritto inalienabile di ogni essere umano di potersi identificare e definire come desidera. La Polonia deve restare in Europa, ma con i valori dell’Europa, non con i valori di Alt-Right”.
Di nuovo, sul significato politico della sentenza polacca, Esteban González Pons (PPE), rivolgendosi al Primo Ministro: “La verità è che non un solo tribunale in Europa ha sfidato la supremazia dei Trattati, solo il suo governo e la Corte costituzionale nominati dal suo partito. Puoi mettere in discussione la legge e le competenze, ma se metti in dubbio la supremazia dei Trattati, stai mettendo in discussione l’intera fondazione europea. Sia chiaro, questa è una strada per uscire. Non c’è spazio per soluzioni alternative. In altre parole, quello che lei propone oggi qui è una Brexit costituzionale”.
Un attacco frontale al Primo Ministro è giunto dal suo connazionale Marek Belka, di S&D, a cominciare dalle repressioni delle proteste popolari in Polonia: “Perché durante le proteste contro le decisioni del governo e la politica del suo partito, i suoi agenti di polizia hanno picchiato donne e giovani che manifestavano pacificamente? E perché le milizie nazionaliste soffocano anche le proteste europeiste dei manifestanti di Varsavia?” Rivolgendosi poi alla Presidente della Commissione Europea: “Signora von der Leyen, il discorso del primo ministro Morawiecki è un fiume di bugie e mezze verità. In Polonia, purtroppo, ci siamo già abituati. Tuttavia, né la Commissione né lei possono farci l’abitudine. Il tempo di preoccuparsi è finito”. Lo stesso richiamo alla Commissione, ancora più esplicito, è giunto dallo slovacco Michal Šimečka, di Renew, “Proprio per questo la Commissione e il Consiglio devono finalmente agire dopo anni e anni di dialogo senza risultati. Non è per punire la Polonia. Non è per intimidire la Polonia. Non è per ricattare la Polonia. È proteggere i nostri valori e proteggere il progetto europeo”.
Il primato del diritto dell’UE è fortemente difeso dal Presidente della Commissione parlamentare per lo Sviluppo Regionale, Younous Omarjee (France Insoumise – La Sinistra): “Senza il primato del diritto europeo, che risulta dalle sentenze del 1963 e del 1964, non c’è più tutela dei diritti fondamentali degli europei, non c’è più un’intesa giuridica comune e quindi non c’è più Unione europea possibile”. Dal quale arriva un non velato riferimento alla condizionalità per l’ottenimento dei Fondi Strutturali. Lo stesso richiamo dalla collega del Gruppo della Sinistra, la finlandese Silvia Modig. Un altro deputato della Sinistra, Pernando Barrena Arza, chiede, invece, di attivare la procedura d’infrazione in base all’art.7 del Trattato.
Nella votazione, tutti gli emendamenti presentati dai Gruppi di destra sono stati respinti. La Risoluzione è stata approvata a larga maggioranza: 518 voti a favore, 156 contrari e 14 astensioni, tra cui quelle di Botenga, Georgiou, Kizilyürek della Sinistra.
- Sulla effettiva possibilità di applicare l’art.7, si veda: Pier Virgilio Dastoli, Falla nel sistema. Perché l’art.7 del Trattato di Lisbona è inefficace per garantire lo stato di diritto in Polonia e Ungheria, in Linkiesta, 24 novembre 2020.[↩]