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Papa Francesco, la prospettiva del basso e la storia degli ultimi

di Rocco
D'Ambrosio

Nelle sue lettere dal carcere – raccolte in Resistenza e Resa – Dietrich Bonhoeffer scrive di una prospettiva dal basso: “Resta un’esperienza di eccezionale valore l’aver imparato infine a guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti. Se in questi tempi l’amarezza e l’astio non ci hanno corroso il cuore; se dunque vediamo con occhi nuovi le grandi e le piccole cose, le felicità e l’infelicità, la  forza e la debolezza; e se la nostra capacità di vedere la grandezza, l’umanità, il diritto e la misericordia è diventata più chiara, più libera, più incorruttibile; se, anzi, la sofferenza personale è diventata una buona chiave, un principio fecondo nel rendere il mondo accessibile attraverso la contemplazione e l’azione: tutto questo è una fortuna personale. Tutto sta nel non far diventare questa prospettiva dal basso un prender partito per gli eterni insoddisfatti, ma nel rispondere alle esigenze della vita in tutte le sue dimensioni; e nell’accettarla nella prospettiva di una soddisfazione più alta, in cui il fondamento sta veramente al di là del basso e dell’alto”.

Credo che questo invito del pastore Bonhoeffer sia abbastanza rivoluzionario per chi abbia sempre pensato la storia come un susseguirsi di eventi, in una linea di progresso continuamente in ascesa, come anche per chi conosce o concepisce solo la storia scritta dai vincitori e non dai vinti. Credo, anche, che molto del pensiero di Bergoglio si possa interpretare con le parole di Bonhoeffer. I gesti, le parole, gli interventi, le decisioni di papa Francesco conservano tutti una prospettiva dal basso. Questa prospettiva è il cuore della riforma di Francesco o si entra in essa o non si comprende cosa sta realizzando; o la si condivide, con intelligenza e sana criticità, oppure ci si oppone a lui e si vanifica il suo sforzo.

Ma è opportuno soffermarci un attimo sul significato della prospettiva dal basso di Jorge Mario Bergoglio. Le biografie attestano un dato indiscutibile: Bergoglio è sempre stato così, innamorato dei poveri, con intelligenza, passione, impegno. Alla sua elezione il dato è stato confermato: il suo collega cardinale Claudio Hummes gli ha detto “Non dimenticarti dei poveri!”. E il papa, commentando le parole di Hummes, ha precisato: “quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri” (Discorso alla stampa 16 marzo 2013). E’ entrata nel suo cuore, ma già c’era. Ora deve entrare in tutta la prassi ecclesiale. Ha detto in un’intervista: “La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare. Questa è la prima tentazione” (Intervista a giornale olandese di strada Straatnieuws, 11.6.2015).

La sua prospettiva dal basso gli permette di cogliere la storia personale e sociale mai sentendosi “più alto” di altri. Nell’intervista a Rai 3 ha affermato: “guardare dall’alto in basso è lecito solo in un caso: quando si sta aiutando qualcuno a rialzarsi. Un altro sguardo dall’alto in basso non è lecito, mai. Perché è uno sguardo di dominio. Ci sono impiegate che ogni giorno pagano col corpo stabilità lavorativa, questo succede ogni giorno” (6.2.22). E nel basso ci sono soprattutto quelli che lui chiama “persone scartate”: “Persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati».[19] Che cosa dice questo riguardo all’uguaglianza di diritti fondata sulla medesima dignità umana? (Fratelli tutti, 22).

La prospettiva dal basso di Bergoglio stride con quelle realtà di Chiesa cattolica, come quella italiana, che possiedono diversi beni materiali e risorse finanziarie, godono di benefici statali di diverso tipo, possono contare su beni mobili e immobili di notevole valore. Tutto questo, molto spesso, fa assimilare la comunità cattolica alle diverse istituzioni che hanno il profitto come unico o maggiore scopo. Molte voci profetiche, in Italia come altrove, hanno richiamato la comunità a scelte di povertà e autenticità cristiana. Ne ricordiamo una fra tutte, quella di don Primo Mazzolari, che diceva: “Se la gente ci vedesse guadagnare il pane come loro e un po’ più onestamente di loro, la religione si farebbe strada senza molte prediche e molte organizzazioni. Una povertà sana è come il mio vino: porta via la sete e non ubriaca”.

Tutto ciò non ha solo valore in termini di buona amministrazione e trasparenza, interne alla comunità ecclesiale; ha anche un pregnante riferimento al rapporto tra strutture cattoliche e istituzioni laiche. In materia l’invito del Vaticano II, di cinquant’anni fa, è spesso caduto nel vuoto. Lo ricordiamo: “la Chiesa stessa si serve delle cose temporali nella misura che la propria missione richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall’autorità civile. Anzi essa rinunzierà all’esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso possa far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigano altre disposizioni” (Gaudium et spes, 76).

Il brano è così chiaro che non lascia spazio a equivoci. Qualsiasi privilegio richiesto e ricevuto deve essere valutato in riferimento alla testimonianza evangelica che essa dà. Può stupire alcuni che il Concilio inviti persino a rifiutare gli aiuti legittimi, se questo potesse creare dubbi sull’operato ecclesiale. In verità ciò non sorprende più di tanto chi, per sensibilità ed esperienza, crede che l’annuncio del Vangelo non vada sacrificato a niente, anzi è il tutto che deve essere offerto perché il Vangelo sia annunziato e vissuto. Ma non è questa la lezione attuale di Francesco? E il suo insegnamento non è poi lo stesso di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?

Per recuperare la prospettiva dal basso è inderogabile il chiedersi quanto la logica del mercato, del profitto a ogni costo tocchi le nostre strutture cattoliche. Esse non sempre sono ispirate dai criteri evangelici di bene comune, giustizia, pace e tutela degli ultimi; non sempre hanno rapporti profetici con il potere politico, forse perché attenti ad accordi preferenziali e a trattamenti di favore e privilegi economici. Riguardo al denaro (risorse interne, finanziamenti pubblici, sostegni economici per feste patronali, congressi, banche cattoliche, finanziarie cattoliche, beni ecclesiastici) non sempre si opera un adeguato discernimento.

La prospettiva dal basso interpella anche in termini di segni. Si dovrà verificare, per esempio, quante diocesi, parrocchie e strutture cattoliche hanno risposto, e in quali termini, all’appello di accoglienza dei migranti presenti nel proprio territorio. Ricordiamo le parole del papa: “In prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia, incominciando dalla mia diocesi di Roma” (Angelus 6 settembre 2015). All’indomani dell’appello qualcosa si è fatto, forse non ancora tanto, tra perplessità e dinieghi all’invito del papa.

La prospettiva dal basso guida e sostiene la riforma di Francesco. Alcune volte essa sembra un grande sogno. Ma un sogno utile, di quelli che ispirino costantemente l’agire, lo fecondano e lo fortificano. Come il sogno di Helder Camara: “Perdonate i sogni – scriveva Helder Camara in una delle sue meditazioni notturne durante il Vaticano II -. Ho una tale purezza d’intenzioni, tanto amore per la Chiesa, un così grande sogno di vederla in prima linea nella lotta per gli umili e per i poveri!”.

Rocco D’Ambrosio

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