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L’ortodossia dottrinale non è il problema principe

di Marco
Noris

Marco Noris in risposta al commento di Roberto Rizzardi che si può leggere in calce al suo articolo  Draghi, vecchi e nuovi mostri e altre calamità ha scritto questo testo che per la sua densità crediamo trovi posto più consono tra gli articoli.

Bene che ci sia qualche commento. Cerco di rispondere in modo spero conciso, anche se non è il mio forte…
Questione dell’informazione: l’accento non stava tanto sull’asservimento dell’informazione ma nel suo ruolo nel passaggio storico in atto: fu scandalosa sia prima della prima guerra del Golfo che prima della seconda, ma il passaggio storico e l’inizio della catastrofe in Medioriente iniziò nel 1991. Nel 2003 il tabù della guerra c’era stato fino a quell’epoca, nel 2003 eravamo passati già anche per quella dell’ex Jugoslavia.
Non attribuisco al potere dell’informazione l’intera colpa del baratro nel quale siamo caduti, anche se, a mio avviso la controffensiva culturale di stampo neoliberista inizia alla fine degli anni ’70, si sviluppa a livello politico negli anni ’80 e trionfa in termini definitivi nel periodo 1989/91. In questo caso, è vero, distinguere nettamente ruoli di causa oppure nell’uso dei media è difficile.
Ciò su cui invece non concordo è l’attribuzione della responsabilità in capo ad una sinistra che si è rifiutata di elaborare il lutto della fine del socialismo reale e prigioniera di un’ortodossia dottrinale. Non dico che questa parte di sinistra non ci fosse e in termini residuali non ci sia ancora, ma la ritengo sostanzialmente ininfluente nel processo storico degli ultimi 30 anni. Mi spiego meglio. Personalmente ho vissuto la mia adolescenza alla fine degli anni ’70. In quel contesto avevo un’idea dell’URSS poco più che caricaturale, quando è crollato gli interessi e i timori per la fine di un’epoca c’erano ma non avevo alcun lutto da elaborare né mi sentivo orfano di alcun soggetto politico o partito al quale non appartenevo. Questo, però, come si sul dire, è la mia esperienza e, in termini epistemologici, l’aneddotica non fa dottrina.
La sinistra che è stata sconfitta a partire dagli anni ’90 è principalmente un’altra, per esigenze di spazio la indico con 2 esempi che circoscrivono un arco temporale: quella di Lucio Magri e del suo preveggente discorso contro la ratifica del trattato di Maastricht dell’ottobre del 1992 e quella del movimento altermondialista massacrato a Genova nel 2001, che però ha subito la mazzata finale nel febbraio del 2003, quando la più grande manifestazione internazionale della storia contro la guerra nel Golfo non fu in grado di ritardare di un solo minuto l’inizio della guerra. A mio avviso, in questo contesto lo spettro dell’URSS semplicemente non esiste, e non siamo di fronte ad alcuna forma di ortodossia ideologica che, anche laddove poteva esserci, ripeto, in termini storici pesava zero.
Quale è, a mio avviso, quella sinistra che invece ha contribuito al disastro? Nel mio articolo cito il filmato di Emiliano Brancaccio che mette insieme i due spezzoni di incontri, il primo con Olivier Blanchard e il secondo con Mario Monti. Una premessa: la contrapposizione dell’URSS non deve venir vista solo in termini ideologici, esiste anche una contrapposizione geopolitica. Condivido in questo senso il giudizio di Brancaccio quando afferma che oggi, in assenza di una contrapposizione di sistema, un compromesso, una sintesi keynesiana non appare possibile. Condivido, quindi, la storicizzazione di quella specifica sintesi nell’ambito dei cosiddetti “trente glorieuses” e della guerra fredda, così come condivido il giudizio di Mario Monti che ammette che il capitalismo ha mostrato il suo lato peggiore dalla fine del blocco sovietico (in Occidente aggiungerei io…). Personalmente, penso, che a fronte di questa analisi, la lettura storica di quella sinistra che ha adottato la cosiddetta Terza via negli anni ’90 sia stata totalmente sbagliata. Non parlo della Terza via dei politici alla Tony Blair, parlo di quella seriamente teorizzata da intellettuali come Anthony Giddens il quale prevedeva, tra le altre cose, il rifiuto della tradizionale visione di Socialismo superato da una dottrina basata sull’eticità redistributiva dell’intervento statale volto ad eliminare gli elementi di disparità insiti nel Capitalismo e la responsabilità etica e morale dei singoli individui, l’obiettivo dell’egualitarismo grazie ad un’azione redistributiva e l’incentivazione di politiche volte a realizzare la massima redistribuzione tra le classi sociali, il superamento della dicotomia tra pubblico e privato attraverso l’incentivazione di forme di collaborazione economiche e funzionali tra le due sfere, ecc, ecc, insomma tutte cose sulle quali si può anche discutere ma, sostanzialmente, per la Storia, fuori tempo massimo, perché quel periodo nel quale per citare Guccini bastava “sapere usare o no ad un certo metro”, semplicemente non poteva più funzionare.
Le istanze della Terza via furono fatte proprie dai PCI in trasformazione ben prima delle teorizzazioni accademiche di Giddens, nel 1991. A mio avviso la maggior parte di coloro che dovevano elaborare un lutto stavano in quel partito ma, nella stragrande maggioranza dei casi, si passò non tanto all’elaborazione di qualche lutto, quanto alla rimozione di ciò che fu, e fu una rimozione su ampia scala, un’analisi superficiale del passato come base per quelle che ad oggi ritengo le enormi cantonate che quella sinistra si prese nella lettura del futuro. Insomma, per dirla breve, usando l’immagine del bambino buttato via con l’acqua sporca, fu compiuto un infanticidio degno di re Erode.
Per me il disastro della sinistra italiana sta principalmente lì, in quella trasformazione e in quel soggetto che fu totalmente incapace (e lo è tutt’ora) di leggere le traiettorie storiche nelle quali si è malamente fatto attore.

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