Quando di fronte hai un governo del 95% che ha come obiettivo la “distruzione creativa” che, con tutto il rispetto per Schumpeter, ad occhio si trasformerà in guai seri per un sacco di gente (ben di più del 5% “fuori dal governo”) che fai?
Logica vorrebbe che scattasse quel qualcosa che porta a far quadrato per provare a resistere sperando che arrivino rinforzi.
Ma la maledizione che ha colto quella che fu, in tutte le sue realtà, dal Pci al ’68, la sinistra più forte d’Occidente fa si che la spinta sia tutt’altra.
Tra chi tratterebbe anche col Ku Klux Klan pur di stare al governo, chi ripete ossessivamente fate tutti schifo e chi fa entrambe le cose il panorama dentro e fuori di face book è angosciante.
Scherzi a parte o si trova un bandolo o, come si dice, sempre scherzando, ma non troppo, meglio estinguersi.
Credo di aver provato in tutti modi in questi 10 anni di sconfitte ad analizzare, capire, per me stesso e per chi ha voglia di farlo con me.
Un Pci spiantato dalle sue radici profonde, la doppiezza e la diversità rivoluzionarie che alimentavano la sua stessa capacità riformatrice. Quindi sciolto facendo transitare i successivi gruppi dirigenti dal socialismo alla governance, da Mosca a Bruxelles, dalle riforme al menpeggismo.
Un Paese, il nostro, che non ha mai conosciuto una vera rivoluzione borghese e che si è formato in fondo prevalentemente grazie a comunismo, cattolicesimo democratico e antifascismo. Dunque facile preda, fatti cadere e recisi questi, di ogni avventurismo e sordidezza.
Una rivoluzione conservatrice, la globalizzazione liberista, che ha spezzato il compromesso democratico. Formale e sostanziale.
Una resistenza agita da chi si è opposto allo scioglimento del Pci insieme ai resti sessantottini aiutati per un po’ dai nuovi movimenti.
Una sconfitta sul campo e una reazione scomposta. Tra chi pensava di giocare la partita senza il partito o col partito degli altri. E chi aveva il partito ma rischiava di non giocare più la partita.
Anche questo ha favorito la diaspora, andata avanti di governo in governo, ancora ora per Draghi, e la monadizzazione astiosa, cresciuta da un tentativo politico fallito all’altro.
Possiamo dire che ormai una partita è persa, addirittura siamo retrocessi, e che il partito è fragilissimo?
Possiamo dire che è ora di riconnettere partito e partita? Laddove partito è la tua autonomia, il tuo popolo, la tua forza, la tua visione del Mondo e partita è la rivoluzione, il socialismo, il cambiamento.
Perché senza queste due cose te, i tuoi, non sono classe in sé, cioè non agiscono per sé, come sarebbe naturale. Mentre gli altri, la classe al potere, si. È classe per sé sempre. Anche nella distruzione creatrice.
Anzi, soprattutto, è nelle crisi che esercita il dominio, rovesciando Marx e la lotta di classe.
Chi oggi vota contro Draghi si assume un peso e ha due doveri. Fare opposizione. Preparare un futuro. Senza l’una non c’è l’altro.
Di come vediamo Draghi abbiamo già scritto su transform. Non una parentesi, ma un nuovo esperimento, per l’Italia e per l’Europa. Un connubio, voluto, tra elites e populisti.
Una morsa dall’alto e dal basso.
Non ci sarà spazio o sgocciolamento per chi non è nel cuore della distruzione creatrice. Il Sud, il lavoro, le piccole produzioni.
Non c’è bisogno di essere né Togliatti che dice no al Piano Marshall né autonomia operaia per capire che occorre ricostruire il proprio campo e la propria capacità di conflitto e rappresentanza per poter lottare e pesare.
La cooptazione è oggi collaborazionismo col carnefice.
E bisogna ben sapere che non si può che contare sulle proprie forze perché quelle degli altri sono impegnate contro di te. Le convergenze di Pd e Lega nella rappresentanza di interessi e nelle prospettive sono impressionanti. Di questo si è fatto forte Draghi e non dei giochi di palazzo di Renzi.
Fare opposizione affidando la prospettiva al Pd partecipe della distruzione creativa e ai Cinquestelle che cercano di transitare da anti establishment a verdi di governo significa non avere né presente né futuro.
Lo spirito di scissione gramsciano è l’esatto contrario della maledizione in cui siamo. È rompere il giogo.
Ma insieme a questo occorre riconnettere ragione forza. Ricostruire un prevalente. Concentrarsi su una opposizione efficace aiuta questo scopo. Dipana i nodi in cui siamo aggrovigliati.
In questo tempo di pandemia e Draghi dobbiamo farlo.
Se non ora, quando?
DRAGHI HA PARLATO
Un discorso mediocre, da funzionario di Bruxelles. Fin troppo basso per uno che ora “regala” all’Europa lo sdoganamento delle destre e della Lega.
Un taglia e cuci dei dati sulle condizioni sociali ed economiche che chiunque trova su eurostat e tutti vivono sulla propria pelle. Nessuna riflessione su come questa situazione disastrosa sia stata creata da politiche sciagurate di cui è stato protagonista.
La ripetizione piatta delle priorità di riforma delle governance europee. Nessuna riflessione su come queste non prevedano il cambio delle regole di fondo a partire dal patto di stabilità che si sta già proponendo di riattivare e che, con i dati che lui stesso propone, sarebbe un disastro.
Un annacquamento della stessa distruzione creatrice in tanti rivoli di intervento che in realtà mascherano l’impatto che potrà avere.
Solite chiacchiere sui giovani. Sull’ambiente si mette dietro al Papa “tralasciandone” la critica ai potenti.
Sulla pandemia non c’è neanche la filiera italiana di produzione dei vaccini preannunciata da qualche giornale. Niente sulla sospensione dei brevetti che servirebbe a far produrre ciò che serve.
Niente su ridare centralità al pubblico nell’occupazione, nella economia e nella società ma solo come presunta efficenza amministrativa. Al servizio dei privati.
La montagna di un governo tra centrosinistra e destre che non ha pari in Europa e va contro il rispetto delle rappresentanze del voto ha prodotto un topolino. E c’è la pandemia.