Di Giancarlo Scotoni – L’ineffabile Di Maio si sente di poter estendere al mondo intero il proprio entusiasmo rivoluzionario e il piacere di un probabilmente frainteso successo nella presa del potere, così non ha trovato ridicolo l’offrire la piattaforma Rousseau ai gilet gialli. Caso clinico a parte, l’insorgenza dei gilet gialli viene accolta da molti con prudenza e circospezione: troppo difficile darne una lettura semplificata, troppo rischioso tirarla per il gilet dentro un dibattito che per molti versi è cristallizzato tra più o meno sovranisti, più o meno europeisti.
Dal momento che è impossibile catalogarlo, del movimento dei gilet gialli si danno dunque resoconti, descrizioni, impressioni, più o meno alludenti a questa o quella convenienza, mentre la stampa francese si è decisamente schierata a difesa del presidente senza riuscire a scalfire di molto la massiccia simpatia per le proteste espressa da sette francesi su dieci.
Dal novembre dello scorso anno una serie di mobilitazioni diffuse in un territorio impoverito e sofferente hanno raccolto le forze per una serie di assalti scadenzati (più o meno pacifici ma sicuramente decisi) alla capitale. A partire dalle rotonde stradali della Francia rurale fino agli Champs-Élysées hanno raccolto la protesta contro Macron chiedendone le dimissioni mentre le quaranta richieste che il movimento ha distillato contribuiscono a disegnare il quadro del disagio più che a prefigurarne delle soluzioni.
L’orientamento politico dei partecipanti sembra un dato praticamente ininfluente alla comprensione del fenomeno e della sua possibile evoluzione: il movimento è trasversale e dimostra una sfiducia assoluta verso i canali abituali della rappresentanza e ai meccanismi della delega. Sembra che la stessa trasversalità si registri nella composizione sociale, che è molto eterogenea e che comprende anche figure del ceto medio impoverito.
Le politiche neo-liberiste in Francia hanno falcidiato i redditi e indebolito lo stato sociale in misura notevolissima. L’arricchimento dei pochi è stato palese e massiccio. Tra le ultime chicche, grazie alla “semplificazione contabile” del credito di imposta per la competività nel 2019 verranno donati alle imprese l’1,8% (40 miliardi di euro), cento volte l’ammontare dell’APL, il sussidio agli affitti di casa per i poveri. E si tratta solo della più costosa tra varie altre misure come la soppressione della progressività fiscale sul reddito o l’eliminazione della tassa sul patrimonio. Dunque se fosse vero che i gilet gialli si mostrano indifferenti alle problematiche economiche (intese si presume come quadro di compatibilità), ne avrebbero ben donde. Potrebbe trattarsi di semplice realismo dal momento che l’economia neo-liberista produce visibilmente solo miseria, conflitto tra Stati, guerra.
Alcuni hanno sottolineato l’imprevedibilità dell’insorgenza: non c’è da stupirsene dal momento che si tratta di un’altra delle caratteristiche distintive dei moti dal basso e spontanei. Eppure il termine è fuorviante perché, date le premesse, sarebbe stato difficile che nulla accadesse: la protesta era prevedibile anche se nessuno avrebbe potuto determinarne in anticipo il momento o le forme.
In realtà, il movimento dei gilet gialli che si presenta perfettamente immemore della esperienza del movimento operaio e dei legami con il passato e che deve re-inventarsi lo strumento dell’assemblea si inserisce con caratteristiche originali in una serie triennale di mobilitazioni. Nell’anno passato citiamo il movimento della primavera, con le lotte promosse dagli studenti e dai ferrovieri, i preparativi del movimento sindacale contro le riforme antisociali del governo Macron, in particolare quella delle pensioni e della disoccupazione, previste per la fine dell’inverno-inizio primavera 2019. Inoltre Marsiglia è stata investita da una doppia mobilitazione: prima le proteste contro la ristrutturazione urbana del quartiere della Plaine, poi i tre cortei seguiti alla morte di otto persone nel crollo di un immobile a Noailles. A loro volta, dei collettivi femministi, riuniti attorno al coordinamento “Nous aussi”, sono scesi in strada a novembre “contro le violenze sessiste e sessuali fatte alle donne”, insistendo inoltre, a differenza di “Nous toutes”, sulla dimensione di razza e di classe di queste violenze. Per ciò che concerne sabato 1 dicembre, terzo round dei gilets jaunes, tre altre manifestazioni erano previste da lungo tempo: quella della CGT, su delle basi classicamente redistributive, quella di Actup, per la giornata mondiale contro l’AIDS, e quella del collettivo “Rosa Parks” su basi che ibridano questione sociale e antirazzismo.
La non comunicazione tra il movimento dei gilet gialli e il ciclo delle lotte 2016-2018 va investigata ma non può costituire in sè un elemento di giudizio. Secondo il collettivo parigino Plateforme d’Enquêtes Militantes, “la sfera della riproduzione sociale … è al centro di queste lotte [dei gilet gialli]: pensioni, disoccupazione, formazione, alloggi, sanità, etc. Inoltre, è precisamente nel lavoro di riproduzione che le dimensioni di genere e di razza determinano e ricodificano lo sfruttamento.”
E’ certo che Il trittico: prezzo della benzina, potere d’acquisto e rivolta fiscale non è in grado di sfuggire al processo in corso di rinazionalizzazione dello spazio politico europeo nè il problema è stato risolto dalle quaranta richieste che ne sono state originate.
Intanto dal 22 gennaio la firma di Merkel e Macron al trattato di Aquisgrana modificherà il livello di integrazione europea lanciando il ruolo mondiale della Germania che riceverà in dote un viatico per il possesso della bomba atomica. Sarà un balzo in avanti a un processo di fusione tra i due Stati, un esito diverso dalle intenzioni del presidente francese di costituire un polo alternativo a quello tedesco e che apre ulteriori scenari di sviluppo alle tensioni interne all’unione europea, ai suoi rapporti con i mercati. In questa situazione la flessibilità di bilancio concessa al governo francese diventa un atto più che dovuto tanto quanto lo erano state l’inflessibilità offerta alla Grecia e il compromesso al ribasso con cui le pretese italiane sono state contenute.