di Tommaso Chiti – Le pandemie così come altre calamità richiedono misure straordinarie e provvedimenti rapidi in uno stato d’emergenza che, come si vede ormai non solo in Cina, Korea del Sud, Iran e nell’Europa dell’area Shenghen, permettano alle autorità una risposta efficace contro il contagio.
A farne le spese in primis sono giocoforza le libertà individuali, con restrizioni alla mobilità e all’accesso ai luoghi pubblici, pur giustificate dalla preminente salvaguardia del diritto alla salute.
Affacciandosi alla finestra o alle trasmissioni televisive con inviati dalle varie città messe in quarantena, con la chiusura di ogni tipo di attività – il cosidetto lockdown – si notano piazze sgombre, strade deserte e spazi vuoti.
Questa terra-di-nessuno è il necessario prezzo da pagare onde evitare la diffusione dell’epidemia, che somma al disagio dell’auto-confino domestico anche la preclusione della vita pubblica, della partecipazione attiva e diretta, costringendoci a spettatori abbastanza passivi di un racconto ufficiale.
Un bollettino sommario ma aggiornato delle restrizioni applicate in ogni stato dell’Unione Europea contro il contagio da Covid-19 è stato approntato dall’agenzia Frontex, che riporta i paesi dove è stato dichiarato lo stato d’emergenza, rispetto a quelli – come Irlanda, Regno Unito, Olanda, Germania, Svezia, Norvegia, Polonia, Croazia, Slovenia – che invece non sono ricorsi a questo provvedimento, pur chiudendo ovunque le scuole, oltre a divieti o forti restrizioni su assembramenti, traffici aerei e marittimi.
Oltre il confine degli spazi consentiti in stato d’emergenza ci sono poi quei luoghi spesso preclusi anche in tempi di normalità, dove libertà personali e diritti umani non vengono compromessi soltanto in via temporanea e per cause di forza maggiore.
Dall’inizio della crisi in Italia ed Iran è emersa subito tensione nelle carceri, dove il sovraffollamento non permette il rispetto della distanza interpersonale indicata per legge, con il rischio che interi centri di detenzione si trasformino in lazzeretti.
Per questo, dopo le restrizioni alle visite parentali ed ai congedi per semilibertà, data anche la notizia dei primi contagi fra detenuti ed operatori penitenziari, in particolare a Bari e Firenze, in Italia sono scoppiate rivolte in diverse decine di centri di reclusione.
Mentre Teheran ha prevenuto simili circostanze, rilasciando su cauzione o in semi libertà migliaia di detenuti, il governo italiano ha varato solo di recente il decreto-legge 18/2020 per la realizzazione di 380 posti di isolamento sanitario; e l’applicazione di misure alternative, come i domiciliari o la sorveglianza mediante braccialetto elettronico, che hanno ridotto il numero di detenuti da più di 60 mila iniziali a 57.400, pur rimanendo ben oltre la capienza di 48.000 posti, prevista dal sistema penitenziario italiano.
In un parere del Sottocomitato Onu per la prevenzione della tortura del 25 marzo si invita la rete dei Garanti delle Persone Private delle Libertà Personali a procedere equilibrando interventi giuridici a quelli sanitari, mediante il principio di limitazione del danno.
Nella stessa nota si fa poi riferimento anche ai centri di permanenza per rimpatri (CPR) dei migranti, definendo come priva di legittimazione la loro funzione in questo quadro generale di pandemia, dato il ridimensionamento dei collegamenti internazionali e quindi il blocco aereo applicato anche per rimpatri forzati.
A partire dalla Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovi, sono state avanzate proposte per una chiusura temporanea dei Centri di detenzione amministrativa, con provvedimenti di ridimensionamento avvenuti però soltanto in Spagna, in Belgio e nel Regno Unito – mediante il ‘Detenction Act‘.
In Italia invece il Ministero dell’Interno non ha mai disposto provvedimenti simili nemmeno per quelle persone la cui permanenza è in imminente scadenza, o in attesa di risposta dalle commissioni territoriali, che pure hanno sospeso l’attività. Legal team Italia, attivisti della campagna Lasciatecientrare e l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) hanno perciò chiesto in un appello di sospendere gli ingressi nei CPR.
In generale, la logica di contenimento, separazione e controllo che ha caratterizzato provvedimenti di accoglienza basati sull’emergenza, spesso costruita per ragioni politico-elettorali, rischia di ritorcersi contro le comunità locali, appesantendo il sistema sanitario già fortemente stressato.
Negli ultimi giorni in tutta Europa sono avvenuti soltanto pochi casi di trasferimenti volontari assistiti o respingimenti da una frontiera all’altra, come nel caso di Albania, Grecia e Turchia.
Proprio su questo versante la situazione dei profughi è più critica, dopo la decisione del sultano Erdogan di spingere da inizio marzo i migranti verso il confine greco, come arma di ricatto contro l’UE.
Di recente, un appello di 21 Organizzazioni Non Governative (ONG) al governo greco ha chiesto misure urgenti per la tutela della salute dei 37 mila migranti, rifugiatisi nei grandi centri sulle isole di Samo, Chios, Kos, Lero e Lesbo, dove sono stipati a fronte di una capienza di sei volte inferiore.
Lo scarso accesso ad acqua e cibo, l’inefficienza dei servizi igienici, la presenza insufficiente di personale sanitario e la recente dichiarazione di quarantena, con limitazioni agli spostamenti anche interni, hanno portato le organizzazioni umanitarie, fra cui Amnesty International, a parlare di ‘tragedia annunciata’, richiedendo misure adeguate a fronteggiare la crisi, a cominciare dalla sanificazione dei centri; ma soprattutto con il trasferimento dei migranti nel conteninente.
Di tutt’altro approccio è stato il governo portoghese guidato dal socialista Andrea Costa, che pochi giorni fa ha deciso per una regolarizzazione generale dei migranti in attesa di risposta dal SEF (Servizio per Stranieri e Frontiera), così da non avere zone grigie di gruppi esclusi dalla protezione sanitaria, dunque potenzialmente pericolosi per la salute dell’intera comunità.
“Censura, discriminazione, arresti arbitrari e violazioni dei diritti umani non devono trovare posto nella lotta contro l’epidemia da coronavirus“, ha dichiarato Nicholas Bequelin, direttore di Amnesty International per l’Asia, aggiungendo che: “le violazioni dei diritti umani ostacolano, anziché facilitare, la risposta alle emergenze sanitarie e riducono la loro efficacia“. Dal suo ufficio regionale traccia così un decalogo di diritti messi a dura prova dallo stato d’emergenza sanitaria, a partire dalla censura pervasiva della Repubblica popolare della Cina; o le ritorsioni contro la stampa avvenute in Malesia, Korea e Vietnam, oppure ancora le discriminazioni xenofobe subite successivamente da cittadini cinesi in Australia o Papua Nuova Guinea.
In termini di diritti umani, altrettanto preoccupanti restano gli scenari di crisi umanitaria in Libia e Siria e nuovi allarmi arrivano dall’Egitto, dove la sorte del giovane attivista Patrick Zacky – tradotto da una prigione ad un’altra dall’apparato del dittatore Al Sisi – si unisce a quella di centinaia di altri detenuti politici.
Ulteriore riprova di questo torvo quadro, di una pandemia che infesta anche conquiste di civiltà, è la desolazione riscontrabile anche nella rappresentanza politica, in particolare nei parlamenti e in altre assemblee decisionali, dove il distanziamento interpersonale impone la riduzione del numero di delegati o addirittura la sospensione delle sedute.
Il risultato è un evidente spostamento del baricentro ancor più in senso governativo, con la preminenza di decreti ministeriali o d’urgenza.
Non sorprende dunque se regimi fortemente sovranisti e populisti approfittino di questa tendenza autoritaria, per accantonare lo Stato di Diritto, addirittura sine die, come avvenuto appena pochi giorni fa in Ungheria, con il conferimento dei ‘pieni poteri’ al despota Viktor Orban, adesso in grado di chiudere lo stesso parlamento, governare soltanto per decreti abrogando anche leggi esistenti, sospendere elezioni o limitare la libertà di stampa.
Mentre in Bulgaria una proposta di legge simile è bloccata all’esame del parlamento; il Consiglio d’Europa ha replicato che uno stato d’emergenza indefinito non garantisce il rispetto dei diritti democratici fondamentali e la Commissione UE sta valutando su proposta di diversi gruppi parlamentari la compatibilità con l’art.2 del Trattato sull’Unione Europea.
In questo stato d’emergenza paranormale, in attesa che la pandemia venga superata, non resta che auspicare un prossimo riempimento degli spazi di libertà e svuotamento di quelli di preclusione.
Approfondimenti:
https://frontex.europa.eu/media-centre/news-release/covid-19-restrictions-4IdY3J
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202003/200321camilli.pdf
https://www.amnesty.it/appelli/assistenza-sanitaria-negata-ai-richiedenti-asilo-in-grecia/