Björn Larsson, celebre scrittore svedese, docente di letteratura francese all’università di Lund, filologo, traduttore, appassionato velista, ha già omaggiato i lettori italiani con libri straordinari. Tra questi ricordiamo “La vera storia del pirata Long John Silver”, “Il cerchio celtico”, “La saggezza del mare”, “Il porto dei sogni incrociati” e “I poeti morti non scrivono gialli”.
“Nel nome del figlio” è in titolo di questo nuovo lavoro dove traspare una profonda introspezione sui sentimenti di un vissuto che emerge a distanza di tempo e porta a una calorosa e sincera riflessione.
Cosa significa crescere senza la figura paterna, convivere con pochi ricordi del passato, rimossi e tornati a galla, con la sensazione di aver campato senza radici, con nessuna voglia di poterle trovare.
27 agosto 1961. A Skinnskatterberg, nella Svezia centrale, una piccola barca a motore con sei uomini e due bambini prende il largo, nel lago Nedre Wätter, durante una gara di pesca.
L’autore trae spunto da una storia accaduta veramente perché la storia lo tocca e lo coinvolge in prima persona. Un altro bambino, solo sette anni e mezzo, figlio dell’elettricista Bernt Larsson è proprio lui e quel fatidico giorno non ha voluto accompagnare il padre rifiutando di far parte dell’equipaggio per tornarsene a casa.
A notte fonda venne svegliato dalle disperate urla della zia che ebbe la notizia del tragico fatto. La barca si era capovolta e dell’equipaggio non c’era più traccia.
Gli otto corpi verranno successivamente recuperati, ma la dinamica dell’incidente resterà un mistero.
A Skinnskatterberg tutti piangono le vittime, tutti meno uno: il figlio di Bernt. Lui per la morte del padre non riusciva a provare dolore, anzi provava un certo sollievo.
Quel bambino, che molti anni dopo diventerà uno dei più celebri e importanti scrittori del suo paese, si accorse di aver vissuto da orfano senza soffrire, anzi nascondendo quel sentimento che agli occhi della gente e di una società benpensante e un po’ ipocrita non avrebbe accettato. Certo, quella morte non lo rese felice, ma non ebbe rimpianti per la mancanza del padre, di cui ha avuto una manciata di ricordi, più negativi che positivi.
Il romanzo ruota intorno a questo episodio che ha segnato per sempre l’autore. E l’autore si interroga: come andarono i fatti quel giorno? Il padre, che era un esperto nuotatore, è morto per salvare i due bambini o le cose sono andate diversamente? È vero che quando seppe della morte del padre, come confidò a un compagno di scuola, si sentì sollevato da un peso e tutto ciò scandalizzò sua madre?
Larsson sceglie di fare un bilancio della propria vita e di guardare in faccia i suoi fantasmi.
La letteratura non serve a placare il dolore, a volte non dà risposta ai dubbi che un autore si pone, ma aiuta l’’autore e anche il lettore a farci i conti uscendone, se non sollevati, almeno consapevoli.
C’è un senso di colpa che lo assilla. Come una lettura in chiave psicanalitica l’autore vuol far venire a galla questa parentesi del suo passato che è rimasta sepolta per anni e si interroga come una specie di transfert intimo e privato fino a chiedersi perchè non ha pianto quando ha saputo della notizia, perché non ha provato rimorso dopo aver pensato quello che ha pensato? Soprattutto perché suo padre non ha lasciato tracce nella sua memoria?
Un libro intenso, acuto, profondo, che scandaglia quasi con ossessione l’animo umano come se volesse svegliarlo da un certo torpore. Björn Larsson è uno scrittore che ha un alto senso della letteratura e lo si vede nei suoi grandi riferimenti durante alcuni passi che si alternano tra pura narrazione e divagazioni scientifico-filosofiche di grandi scrittori del passato a cominciare da Harry Martinson e Per Olov Enquist fino a Marcel Proust e all’amatissima Simone De Beauvoir.
In queste pagine intense l’autore si adopera non soltanto per dare un significato all’affetto paterno, ma anche per dare un valore profondo alla libertà dell’infanzia.
* Nel nome del figlio è pubblicato da Iperborea