di Stefano Galieni –
Difficile fare auguri ad un governo che di discontinuità rispetto al precedente sta segnando ben poco. Prendiamo solo un aspetto che, come Transform, abbiamo sempre considerato una cartina di tornasole rispetto alle scelte politiche. I decreti sicurezza sono ancora lì, inalterati, come il precedente li aveva consegnati e trasformati in legge. I porti non sono per ora più chiusi, ma cosa accadrà quando – è questione di giorni forse – la guerra in Libia potrebbe giungere al suo culmine, con le truppe del Generale Haftar ormai dentro Tripoli e quelle “legittime” di Serraj riceveranno l’appoggio Nato tramite la Turchia? Difficile non immaginare l’aumento delle fughe dal paese e difficile pensare ad immediati accordi di ripartizione dei richiedenti asilo come dagli accordi di Malta prima e di Lussemburgo poi. Si richiuderanno i porti in maniera più “democratica”? Ma senza pensare al futuro si guardi all’immediato. Fra gli effetti più nefasti del “Salvini 1” va sicuramente annoverata la distruzione sistematica del già carente sistema di accoglienza. I tagli imposti hanno fatto andare deserte le gare d’appalto per l’assegnazione della gestione dei Centri di Accoglienza Straordinaria, (CAS), gestiti dalle prefetture, in molte città. Una circolare del Viminale, datata 19 dicembre 2019 impone in aggiunta di revocare l’accoglienza nei centri SIPROIM (gli ex Sprar) gestiti dai Comuni, per coloro che hanno unicamente un titolo come la protezione umanitaria che non è più riconosciuto come valido. Nonostante una recente sentenza della Corte di Cassazione impedisca di dare valore retroattivo alle normative introdotte con il Salvini 1, la circolare sembra ignorare tale parere e, entro il 31 dicembre, migliaia e migliaia di persone, anche nuclei familiari con minori, potrebbero essere cacciati dai centri e mandati in strada. Starà ai Comuni o agli enti gestori, farsi carico di deroghe, altrimenti, non avendo certezza di essere compensati per i servizi erogati non sussiste alcun obbligo a garantire l’accoglienza. In alcuni Comuni si sta lavorando per evitare il disastro e ne va dato atto agli amministratori, ma come è possibile che si resti così incapaci di comprendere che gettare in strada nelle giornate più rigide dell’anno persone colpevoli solo di essersi ritrovati sotto il governo sbagliato diviene – anche per cinico calcolo – il miglior regalo che si possa fare a chi non aspetta altro che riprodurre il proprio ruolo di imprenditori dell’odio e della paura? Contemporaneamente si inizia a dare attuazione al “piano Minniti” quello che prevede la realizzazione di Centri Permanenti per il Rimpatrio (CPR) gli ex CIE, in ogni regione. Ha già riaperto quello di Gradisca D’Isonzo, in provincia di Gorizia, situato nella ex caserma intitolata al generale fascista Ugo Polonio, questa si che è continuità. È stata ritardata, a causa di uno stop imposto dalla Corte dei Conti, l’apertura del CPR a Macomer, nel nuorese, situato nell’ex e famigerato carcere mandamentale mentre manca poco e si tornerà a rinchiudere uomini e donne a Milano del “democratico” Sala, nell’ex CIE di Via Corelli. A Milano qualcuno riesce ad alzare la voce e a scendere in piazza per esprimere contrarietà a tale struttura, ma è ancora poco. Da ultimo, in piena campagna elettorale per le elezioni regionali, si sta per aprire un nuovo centro in Calabria, a Oppido Mamertino. Splendido esempio anche la Calabria, si distruggono gli esempi di accoglienza reale e paritaria come Riace, si lascia in tende i braccianti del ghetto di San Ferdinando, ma si trovano le risorse per detenere un centinaio di persone destinate ad un rimpatrio difficile da realizzare ma formidabile strumento, usato da tutti gli schieramenti, per la campagna elettorale. In sintesi soldi per sbarre e gabbie, nulla per garantire accoglienza dignitosa a coloro che non sono morti nell’attraversamento del tratto di mare attualmente più mortifero che ci sia sul pianeta. Complimenti al governo giallorosa, non basta essersi lavati la coscienza liberando la nave dell’Ong Sea Watch illegalmente sequestrata, non bastano le parole di conforto e i toni bassi, non basta il silenzio dei social per cambiare rotta. L’Italia dovrebbe provare a lanciare su questo tema un segnale all’Europa, ad esempio accettando il fatto che le persone giunte non possono restare in un limbo e che deve divenire legge dello Stato una regolarizzazione della loro presenza in Italia con la possibilità di mutare il titolo di protezione in permesso per lavoro o per studio. Nulla di radicale o di eversivo ma è così che si sottrae consenso chi attende di prendere “pieni poteri”. Se non si è capaci di produrre anticorpi di questo tipo si daranno solo nuove energie a chi ha individuato il capro espiatorio e lo ripropone da anni. A chi in questi mesi è sceso sanamente in piazza contro “l’odio” andrebbe chiesto di decidere da che parte stare. Anche il silenzio è forma subdola di complicità. Il solo buon augurio che mi sento di fare per l’anno che si prospetta parte da queste considerazioni per provare a risalire la china e divenire capaci di proporre alternative reali, praticabili anche se scomode e non contemplate dalle narrazioni tossiche che si vivono. Scelte di campo nette, non settarie ma inequivocabili e insieme, azioni concrete per dimostrare che le strade percorse nell’anno, anzi negli anni passati, non sono solo quelle che hanno prodotto i danni peggiori ma, soprattutto, non sono quelle obbligate. Cambiare strada si può. Buon anno