di Pierluigi Sullo
Dice: fai gli auguri per il 2020. Una parola, c’è poco da stare allegri. Però, a me pare che abbia ragione Enrico Letta (eh, già), che in una tv ha detto: se guardo all’Italia dei ragazzi in strada per Fridays for future o delle Sardine, penso che il paese è pieno di voglia di fare, di passioni, di sentimenti umani (e si è dimenticato, da bravo democristiano, le donne di Non una di meno). E quando leggo gli accigliati commenti, dall’alto di cattedre di sinistra drammaticamente tarlate e ammuffite, sul movimento delle Sardine, commenti acidi che, più o meno tutti, si chiedono perché tutta questa gente non sia diretta da noi, dall’avanguardia, e non senta il bisogno urgente di diventare partito, presentarsi alle elezioni, scrivere un programma politico e scegliere dei leader, o un comitato centrale, irresistibilmente mi torna in mente un articolo di Antonio Gramsci, “La rivoluzione contro il Capitale”, pubblicato sull’Avanti! del 24 novembre 1917, cioè a pochi giorni dalla rivoluzione russa.
Beh, Gramsci almeno è indiscutibile, no? In questo articolo, il fondatore del Pcd’I se la prendeva con la scolastica “marxista” secondo la quale in Russia, prima di poter perfino pensare a una rivoluzione, occorreva che il capitalismo si sviluppasse, e con esso una borghesia e un proletariato, fino ad accumulare le condizioni per una rivoluzione socialista. Ma, diceva Gramsci, capita che la storia non obbedisca alle tabelle, e che la società si sviluppi in un disordine che nessuna grammatica può prevedere (e infatti dedicò i molti anni di carcere a leggere e studiare, a cercare di interpretare e descrivere la complessità sociale). E in quell’articolo scrisse: “Marx ha preveduto il prevedibile. Non poteva prevedere la guerra europea, o meglio non poteva prevedere che questa guerra avrebbe avuta la durata e gli effetti che ha avuto”. E infatti si era, in Italia, alla vigilia dell’occupazione delle fabbriche, prima, e della marcia su Roma poi. Uno sconquasso.
Il problema è che la scolastica, la grammatica di sinistra è inossidabile, si direbbe (contro la natura che pretende di avere) eterna. Per restare al nostro paese, nel 1968 e nel 1969 il Partito comunista non capì niente di quel che avveniva nelle università e nelle fabbriche, scomunicò il movimento studentesco (i figli dei borghesi con la faccia cattiva, come scrisse Pasolini) e cercò di impedire, attraverso il sindacato, che nascessero i consigli di fabbrica formati da delegati e non da funzionari sindacali. Chi aveva capito, il gruppo del Manifesto, fu cacciato via.
Vent’anni dopo il Pci votò a favore del nucleare, subito prima di Cernobyl, in nome della scienza, della produzione e della crescita dell’economia, e subito dopo la sinistra faticò anche a vedere che una nuova presenza si affacciava, e ci volle l’assassinio di un migrante, Jerry Masslo, perché un velo cadesse (ma a inventare i lager per migranti fu il ministro dell’interno Giorgio Napolitano, e a fare accordi omicidi con i criminali libici fu un altro ministro di centrosinistra).
E’ che il nucleare, o all’inverso l’aggressione al pianeta da parte delle ideologie industriali, della crescita e del Pil, sono l’opposto di quel che vogliono i ragazzi di Fridays for future, e qualcuno dovrebbe dire a Zingaretti che non può, davvero non può, mettere nella stessa frase “lo sviluppo” e il “green new deal”, per i quali giura di voler “combattere” (altra parola che andrebbe abolita). Così come i migranti scompigliano le carte dei manuali di economia, aggrappandosi ai quali si può ben concludere che i lavoratori stranieri vanno respinti perché danneggiano i lavoratori e il mercato del lavoro nazionale, come alcuni sciagurati aspiranti razzisti fanno (e ai quali sarebbe opportuno chiedere cosa intendano con “stranieri” e con “nazionale”).
Poi venne il movimento di Porto Alegre e di Genova (eccetera), all’inizio del secolo, che elencò e analizzò, in oceanici raduni e manifestazioni globali, i disastri prossimi venturi: la crisi ambientale, certo, ma che la finanza estrema avrebbe ammazzato la stessa globalizzaione, la privatizzazione dell’acqua e della vita e infiniti eccetera. Cosa fece la sinistra? In piccola parte si accodò, salvo ridiventare se stessa, mercanteggiare posti e poteri quando si presentò l’occasione di entrare in un governo (perché è dal governo che si cambiano davvero le cose, non è vero?), ma nel frattempo canzonature e commenti acidi su la terra e l’acqua (che problema c’è, sono solo carburante per la produzione), sulla democrazia locale (ma siete leghisti?, non sapete che è la politica nazionale quel che conta?) e sulle popolazioni indigene (ma sono dei primitivi, non il proletariato che occorre, e andatelo a dire ai cileni che in queste settimane sventolano la bandiera dei Mapuche, popolo indigeno esempio di resistenza, di legame comunitario e di protezione delle foreste).
Potrei continuare ìmolto a lungo, e quel che mi chiedo è perché me la prenda tanto. Come dice la mia compagna, ormai sono più che misantropo. Dato che il brodo culturale, e le relazioni, in cui mi sono agitato per quarant’anni, la sinistra appunto, è diventata, salvo rare eccezioni, una legione di persone immobili e per niente curiose, inacidite e frustrate, che per esempio guardano al fenomeno delle Sardine (come a suo tempo agli Indignados spagnoli, a Occupy Wall Street, agli innumerevoli movimenti sociali e culturali che nascono dentro e contro le società nell’epoca della guerra generalizzata del capitale e della finanza contro l’umanità) ripetendo, in sostanza, che non corrispondono a quel che dovrebbero essere, cioè come lo immaginiamo noi, eredi di un secolo morto e sepolto.
Sono andato a San Giovanni, l’altra settimana, per respirare quell’aria serena e pulita, guardare le tranquille persone qualunque e di qualunque età e ceto, per ascoltare “Bella ciao” e guardare cartelli e striscioni venati di ironia, e dirmi che in fondo anche loro si dicono “di sinistra”, e forse è una faccenda nuova, o che muove i primi passi, non come la modernità decrepita di una acciaeria che, anche se scomparisse, lascerebbe un terreno avvelenato sul quale non potrà più crescere nulla, cioè più o meno come la vecchia sinistra. Auguri.
2 Commenti. Nuovo commento
Non per compiacerti, né, tanto meno, per confortarti, ma anche a me, Gigi caro, capita sempre più spesso di spazientirmi e perfino indispettirmi, quando qua e là m’imbatto nelle inacidite contumelie dei custodi del tempo perduto, di chi invano si ribella al reale perché non si comporta come la dottrina imporrebbe.
Quasi a confermare che ormai il problema della sinistra italiana siamo noi: noi intesi come quelli che hanno imperversato negli ultimi decenni del secolo scorso e da allora si trascinano tra delusioni e sconfitte ma non per questo rinunciando a spargere le loro esauste verità. E anche se in uno slancio d’indulgenza non ammettesimo di essere il problema, di certo non saremmo la soluzione.
Capita (spessissimo) che la storia non obbedisca alle tabelle ma in Russia mancarono proprio una borghesia e un proletariato. E infatti tutto andó come andò.