Il PCI dice addio all’Unione sovietica, si legge sulla Unità apocrifa che Nanni Moretti “pubblica” sul finire del suo ultimo film, Il sol dell’avvenire. Nella didascalia grande nei titoli di coda scrive che così il PCI poté realizzare l’utopia di Marx ed Engels. E prima aveva fatto vivere un corteo di comunisti con foto di Trotzky per i fori imperiali a sostegno dei ribelli di Ungheria, con la partecipazione di Togliatti, “convinto” dalla sollevazione delle sezioni, e di tanti noti attori del cinema italiano.
Facendo la Storia con i se Moretti cambia il finale del film che stava girando nel film che poi vediamo. Doveva chiudersi col suicidio del segretario di sezione che aveva invitato un circo ungherese proprio alla vigilia dei “fatti del ’56”. Fatti che lo avevano politicamente e sentimentalmente travolto. Invece la Storia si può cambiare e Moretti, che veste i panni di Giovanni indossati nella Stanza del figlio dopo quelli di Michele dei suoi film “giovanilii”, può viverli affrontandone la vecchiezza “rassicurato” che quel “Paese nel Paese” che, spiega alla sua troupe che lo ignora all’inizio delle riprese, è ancora, e di nuovo, tra noi. Non più dunque il lutto ineluttabile di Palombella rossa, di “Aprile” o de “La cosa”. Ma una ribellione al suicidio riscrivendo la Storia coi se. Che riguardano anche la sua storia “privata” come si vede negli inserti dei due ragazzi (lui da giovane?) che dovrebbero essere i protagonisti del “prossimo” film, cui cambia la vita.
Non ho potuto non pensare a come questo, la Storia fatta con i se un po’ riprendendo Benjamin, fosse un tema assai caro a Bertinotti. Quel Bertinotti cui Moretti dedicò una invettiva per la caduta del primo Prodi (Berlusconi deve ringraziare una sola persona, Bertinotti, disse più o meno e in coincidenza con quel giornalista del Tg3 che affermò che Berlusconi aveva trovato in Bertinotti l’alleato a lungo cercato). Da Prodi a Trotzky Moretti ci arriva con un percorso che non è solo quello dei film dedicati alla morte del PCI, del dite qualcosa di sinistra, con questi dirigenti non vinceremo mai e, fuori dalla finzione cinematografica, dei girotondi ma anche dei film che personalmente ho più apprezzato. Parlo della Stanza del figlio, di Habemus Papam e anche dei Tre piani. Sono film per me più dolorosi ed intensi. Con un vuoto da riempire e che non trova il come. Un vuoto pubblico massimamente nella rinuncia al papato di (non) Habemus Papam. Così Giovanni-Moretti può continuare a vivere ed anche, forse, a scrivere il film con le canzoni e le vite degli italiani che sono l’altro film che sta nel film. Dove potrà accettare che le persone vivano per come vogliono e non per come impongono le ossessioni di Giovanni che fu prima Michele. Fanno parte di questa “liberazione” la chicca in cui la figlia di Giovanni-Moretti cui presta il volto la protagonista di una serie come La porta rossa, citata anche da brano musicale, si sposa con l’anziano attore che fu protagonista dei film di Kieslowski. Estremi fin qui insopportabili da fare convivere per l’ossessività del regista protagonista. Proprio i minuti in cui Giovanni-Moretti recita la trama di Non uccidere, uno dei capitoli dello splendido decalogo dello straordinario regista polacco, sono per me tra i più belli del film. E se si vuole”ragionare” e “mostrare” con testa e cuore di Est, socialismo reale, Occidente e capitalismo, vita e morte il decalogo e la trilogia dei colori sono incomparabili. Ecco, tutti coloro che Moretti cita nei suoi film, da Cassavetes a Kieslowski passando per Mastroianni e tanti altri mi piacciono assai più di lui. Lui, Moretti-Giovanni-Enrico non l’ho mai “sentito”, neanche generazionalmente. E se devo dire il dramma che ne avverto è l’inadeguatezza rispetto alla Storia ed all’Arte. Naturalmente parlo per me. E forse lo faccio anche perché parlo di me. Quella incosistenza me la sento addosso. Perché quel se che cambia la Storia non sono/siamo stati (come generazione) in grado di farlo essere. E invece di essere piccoli sulle spalle di giganti abbiamo finito col contribuire a tagliare loro le gambe, a farli crollare. La riflessione sul ’56 di Giovanni-Moretti è poca cosa. Anche artisticamente “usa” il fellinismo fuori tema. Non so se ha letto il Sarto di Ulm di Lucio Magri ma se non lo ha fatto glielo consiglio. Ricordo anni fa quando Magri stava per lasciarci una discussione con Ingrao e, mi pare Bertinotti e Magri stesso, su il ’56 e il ’68, su cosa chiude una Storia e cosa riconsegnava un se. Nel Sarto di Ulm c’è tutta la grandezza di una Storia e la pesantezza del suo chiudersi ma il se sessantottismo è grande, forse più di quanto lo sia stato veramente. Diciamo che per come siamo messi oggi direi “sopravvalutato”. E Moretti-Giovanni-Enrico me lo conferma. Troppe ossessioni e troppi pochi sentimenti adulti. Anche se ormai la vecchiezza li strappa fuori. Perfino Margherita Buy, moglie cinematografica trentennale, ti può lasciare. E Silvio Orlando decidere che quella con la “compagna” Bobulova non è solo una storia politica come vorrebbe il regista ma d’amore. Per questo il se (il PCI fosse vivo avendo scelto i ribelli ungheresi e Marx Engels e Trotzky) è un po’ puerile ma anche straziante. Magari Moretti potrebbe dedicarsi un se anche a se stesso. Tipo, se non avessi detto quello che ho detto di Bertinotti ed avessi capito che Prodi era il passaggio per cui non si sarebbe più detto qualcosa di sinistra forse potevo dare una mano. Più “facile” riandare al ’56 senza capirci molto e mettere un po’ di PCI che “sgrida” gli omosessuali insieme ad un po’ di gag attuali su Netflix e i produttori coreani. Ma il se c’è ed è qualcosa cui aggrapparsi rispetto a quelle ossessioni che ormai, per fortuna (intesa come destino e occasione), sono divenute sofferenze vere come le rughe del suo viso sotto il ciuffo. Si, meglio Trotzky che Prodi. E un PCI che realizza le utopie di Marx ed Engels come scritto nei titoli di coda è una buona cosa. Che la sua e la mia generazione non ha saputo fare. Ma oltre il se c’è che domani è un altro giorno.
Roberto Musacchio