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Maree femministe contro nuove ondate di virus patriarcale

di Tommaso
Chiti

Nel pieno della seconda ondata virale da Covid-19 divampa anche il dubbio se questa crisi sanitaria, che costringe a lockdown, interruzione di contatti e chiusure generalizzate sia in qualche modo una rivalsa politica dei nazionalismi, con il ritorno alle frontiere chiuse e alle produzioni tendenzialmente più autarchiche, rispetto ad una globalizzazione fuori controllo.

A dire il vero, già con l’emergenza dei flussi migratori verso l’Europa, molti stati membri UE negli ultimi anni hanno rispolverato retorica e provvedimenti sovranisti, lasciando nel paradigma iniquo del benessere per pochi, almeno finora libera circolazione di capitali e merci, con queste ultime investite invece dalla recente necessità di ridurre passaggi e quindi scambi – anche soprattutto nell’ambito turistico e commerciale.

Un’altro degli arnesi del retaggio reazionario, divampato con la crisi sanitaria ed con il conseguente lockdown, in concomitanza con le crescenti diseguaglianze socio-economiche, è anche l’arretramento della parità di genere, con preoccupanti rigurgiti su libertà e diritti civili, che si rispecchiano nella sfera privata con l’esplosione della violenza sulle donne, spesso domestica.

Un virus maschilista e patriarcale, a giudicare appunto dalle circostanze, che vedono da un lato la svolta decisionista di governi sempre più autoritari nella lotta contro la pandemia; e dall’altro la presenza di maggioranze conservatrici con esponenti di diversi esecutivi, specialmente nell’area dell’Europa centro-orientale, provenienti dalle fila della destra più reazionaria.

A proposito, è di pochi giorni fa il pronunciamento di condanna del Segretario generale del Consiglio d’Europa in merito alla violazione delle libertà individuali, impedimento al diritto al lavoro e alla frequenza scolastica, contestato all’Italia per mancata notifica giustificativa dei provvedimenti restrittivi, adottati nei mesi scorsi.

Nonostante la bolla estiva di apparente normalizzazione, la seconda ondata della pandemia ha scatenato manifestazioni di malcontento popolare, che animano movimenti e piazze di mezza Europa con una composizione eterogenea, dai negazionisti, alle lotte sociali contro l’emarginazione, fino alle proteste contro precarietà ed impoverimento crescenti.

Una delle reazioni più caratteristiche di questa sollevazione complessa e abbastanza fisiologica è la mobilitazione per il diritto all’aborto, che lo scorso 30 ottobre in Polonia, dopo settimane di proteste scaturite dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla limitazione del già ristretto diritto all’interruzione di gravidanza, ha visto centinaia di migliaia di persone invadere pacificamente il centro di Varsavia.

Sfidando le restrizioni anti-contagio virale, che consentono assembramenti solo fino a cinque persone, un’enorme marea umana ha  manifestato per i diritti delle donne, esprimendo in modo accorato la necessità per così tante persone di partecipare fisicamente.

Un evento sintomatico in un paese fra i più confessionali e conservatori d’Europa, che approfitta del momento per rimettere in discussione libertà individuali e diritti civili, rispetto a “ragioni di stato”, che spesso celano l’ideologia oppressiva di chi lo guida.

Il divieto di interruzione di gravidanza anche in casi di malformazione del feto ha scatenato la più grande mobilitazione dall’insediamento del partito conservatore ed ultracattolico “Diritto e Giustizia” (PiS) nel 2015. Secondo i parlamentari nazionalisti che hanno adito al Tribunale, la possibilità di aborto in casi di malattie genetiche, tende comunque a ledere il principio costituzionale di protezione della vita dell’individuo, malgrado la normativa del 1993, fra le più restrittive, ammettesse finora questa casistica fra le sole tre concepite per l’aborto, oltre a stupro e tutela dell’incolumità materna.

Le organizzazioni femministe denunciano il crescente ricorso ad interventi clandestini o a trattamenti in altri paesi – in genere Slovacchia, Repubblica Ceca, Germania o Ucraina – per una platea di 100-200 mila donne che ogni anno in Polonia ricorrono all’interruzione di gravidanza.

La sentenza della Corte polacca si ispira molto alla campagna “Stop all’Aborto” lanciata dal PiS e si inserisce nel più generale quadro di crociata anti-femminista, portato avanti dalla destra europea in nome della famiglia tradizionale, così come del machismo al potere.

Secondo le promotrici del forum ‘Femminismo: giocattolo dell’estrema destra‘, promosso nell’ambito del progetto AntifAgorà dalla Fondazione Rosa Luxemburg con alcuni webinar in programma nei prossimi giorni; la critica sistemica al neoliberismo e ad una società patriarcale infatti, fa dei movimenti femministi un target ricorrente per la politica reazionaria dell’estrema destra.

A rendere le rivendicazioni per la parità di genere il principale bersaglio delle mire conservatrici non è soltanto la lotta alle speculazioni e allo sfruttamento, insita nel carattere del movimento femminista, quanto la sua contestazione radicale all’idea di ‘grande sostituzione’, che la retorica di estrema destra utilizza come spauracchio contro migranti, comunità lgbtqia+, diritti civili e quindi anche rivendicazioni femministe.

Questo concetto si avvale di riferimenti alla “famiglia naturale”, alla crescita demografica, all’eugenetica, a precetti religiosi integralisti, per il ripristino di uno status quo legato ad assetti tradizionali; tanto da legittimare razzismo, colonialismo o strutture classistiche.

Per questo, l’approccio del femminismo intersezionale agevola comprensione ed organizzazione di forme di resistenza a simili derive discriminatorie ormai su scala globale, specie su teorie del gender e settarismo delle politiche di genere.

Un esempio interessante di resistenza è riportato da Elena Caruso della Rete Italiana Contraccezione-Aborto, riguardo al progetto Women on Waves, fondato dalla dott.ssa Gomperts per garantire in modo legale interruzioni di gravidanza sicure anche in paesi costieri dove vigono legislazioni molto restrittive in materia, mediante procedure di aborto durante la navigazione in acque internazionali, a bordo di un’imbarcazione risalente a paesi più libertari in questo senso.

Altra pratica diffusa di recente da parte di questa ONG è poi quella di Women on Web, che sebbene a distanza assiste psicologicamente e legalmente le donne nelle interruzioni di gravidanza, mediante la telemedicina.

Mentre i provvedimenti sanitari e la contaminazione conservatrice di molti governi europei limitano libertà e diritti, spesso in modo sproporzionato ed arbitrario; non resta che confidare nelle maree femministe, per andare oltre ai confini asfissianti di un’Europa ammorbata da governi patriarcali.

INFO:

https://www.rosalux.de/

https://www.womenonwaves.org/

https://prochoice.it/

https://27esimaora.corriere.it/20_ottobre_22/diritto-aborto-attivismo-internazionale-dottoressa-gomperts-ae890e62-1357-11eb-8b5f-364ba608c2f1.shtml

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