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Marco Bersani: Attac e il sogno di un mondo “abitabile con dignità”

di Laura
Tussi

A quasi dieci anni di distanza dal nostro primo incontro, parliamo di nuovo con Marco Bersani di Attac Italia delle grandi battaglie globali per una società più equa, dignitosa e sostenibile. Dalla storica campagna per l’acqua bene comune all’opposizione a guerre e militarismo, ripercorriamo i più di vent’anni di storia di una delle più rappresentative fra le reti di movimenti altermondialisti.

«Dobbiamo riappropriarci degli spazi della democrazia», ci ha detto Marco Bersani quando lo abbiamo incontrato per la prima volta, ormai dieci anni fa. Era da poco passata la prima ondata dei movimenti anti globalizzazione, era il periodo della grande lotta contro la privatizzazione delle risorse idriche e Attac Italia, che Bersani rappresenta, era in prima fila, così come oggi. Abbiamo risentito Marco per fare il punto sulle battaglie vecchie e nuove del movimento, senza dimenticare le drammatiche contingenze che il mondo sta vivendo, con una spinta bellica che è purtroppo ancora più preoccupante del periodo in cui Attac emetteva i suoi primi vagiti.

Attac Italia nasce nel 2001 ed è parte della rete internazionale di Attac, una delle più grandi fra quelle che criticano il neoliberismo, costruita in questi anni dal movimento altermondialista. Perché si autodefinisce “movimento di autoeducazione orientata all’azione”?

L’atto di nascita di Attac può essere ricondotto alla pubblicazione nel 1997 dell’articolo Disarmare i mercati di Ignacio Ramonet su le Monde Diplomatique. In quell’articolo si sottolineava come la cifra del capitalismo odierno dovesse essere ricercata nella progressiva finanziarizzazione dell’economia e come solo inserendo quel tema nell’agenda dei movimenti sociali si potesse affrontare adeguatamente quello che veniva denominato “il modello liberista”.

Tassazione delle transazioni finanziarie, messa in discussione del debito, lotta ai paradisi fiscali, all’egemonia culturale neoliberale e al formarsi di un’oligarchia finanziaria furono gli assi sui quali nacque nell’anno successivo Attac France e via via tutte le realtà nazionali che composero ben presto la rete internazionale di Attac. L’associazione è presente in oltre 40 Paesi, da quasi tutti gli stati europei al nord Africa, dall’America Latina al Giappone.

Per quanto riguarda l’Italia, il percorso vide nella primavera del 2000 il lancio di un primo appello – “Facciamo Attac” –, al quale seguirono decine di assemblee in tutto il Paese che portarono alla costruzione di una tre giorni nazionale a Bologna nel giugno 2001, un mese prima delle straordinarie e drammatiche giornate del G8 di Genova.

Attac si autodefinisce “movimento di autoeducazione orientata all’azione” perché da una parte ritiene che, proprio per capire la complessità del modello capitalistico al tempo della finanziarizzazione, occorra formarsi e saper analizzare i repentini mutamenti della realtà che ci circonda. Dall’altra, ha sempre considerato la formazione come propedeutica all’azione. Perché il mondo non va solo capito, ma anche trasformato. Sono queste le ragioni per le quali l’attività di Attac si caratterizza per l’organizzazione di università popolari nazionali e territoriali e, nel contempo, per la costruzione e/o partecipazione a campagne e mobilitazioni di massa.

Come Attac siete stati parte del movimento altermondialista di Genova 2001?

Attac è stata l’unica organizzazione non brasiliana fra le promotrici del Forum Sociale Mondiale che ha esordito nel 2001 a Porto Alegre e si è successivamente dato un appuntamento annuale mondiale in diversi luoghi del pianeta, per coordinare la rete globale dei movimenti sociali che, dietro lo slogan “Un altro mondo è possibile”, lanciarono la sfida al modello liberista, costruito attorno alla famosa frase pronunciata nel 1979 dall’allora premier inglese Margareth Thatcher: “There is no alternative”.

Genova 2001 fu sostanzialmente il battesimo di piazza di Attac Italia, che partecipò sin dall’inizio al processo di costruzione e di avvicinamento a quell’appuntamento; nel mentre stava contemporaneamente costruendo il proprio avvio sul territorio italiano. Questa doppia “gravidanza” – la nascita di Attac Italia e la nascita del movimento altermondialista nel nostro Paese – fu un’esperienza ricca, intensa e straordinaria.

Attac era una delle moltissime reti che facevano parte del Genoa Social Forum e il sottoscritto era, a nome dell’associazione, membro del Consiglio dei Portavoce che ha costruito e gestito quelle drammatiche giornate, nelle quali le élite politiche, economiche e militari decisero che quella straordinaria partecipazione di massa andava stroncata con la repressione più violenta mai prodottasi in questo Paese dalla nascita dell’Italia repubblicana. Perdemmo Carlo in quelle giornate e con lui un po’ dell’innocenza e della speranza di quel movimento.

Di tutti movimenti pacifisti e associazioni per la nonviolenza e il disarmo siamo affiliati a ICAN, la campagna internazionale per l’abolizione delle armi di distruzione di massa nucleari. Ican ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 2017 per aver costituito il trattato ONU TPAN, trattato per la proibizione degli ordigni nucleari. Come si pone Attac nei confronti dei vari governi per fare ratificare questo trattato?

Pur non essendo il tema del disarmo uno di quelli sui quali Attac produce un’attività specifica, la nostra associazione è da sempre per la costruzione di una società senza esercito, senza armi e, naturalmente, senza nucleare civile e militare. La proliferazione di armi e la detenzione di bombe atomiche non hanno nulla a che fare con la deterrenza, né tantomeno con la sicurezza delle popolazioni, come la storia dimostra.

Solo una società che si cura è una società sicura. La guerra è il massimo dell’incuria: distrugge vite, famiglie e relazioni, devasta territori e ambiente, sradica le esistenze delle persone, esaspera le disuguaglianze sociali, ingabbia le culture, sottrae la democrazia. Lo strumento della guerra è figlio legittimo della cultura patriarcale, quella che persegue il dominio e la sopraffazione, e rimuove ogni consapevolezza sulla fragilità dell’esistenza e sull’interdipendenza fra le persone e con l’ambiente che abitano.

La ratifica del Trattato ONU TPAN dovrebbe essere il primo atto di ogni governo democratico e, nel caso dell’Italia, dovrebbe essere accompagnata dallo sfratto immediato delle decine di testate nucleari che il nostro Paese continua a ospitare – in totale spregio della nostra Costituzione – presso le due basi militari di Ghedi (BS) e di Aviano (PN). È una battaglia che acquista ancor più importanza in questi ultimi anni dove la guerra sembra diventata ormai l’unica modalità di governo nella riorganizzazione geopolitica dei rapporti di forza far le grandi e meno grandi potenze statuali, economiche e militari.

Attac Italia è stata fra i promotori del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e del Comitato referendario “2 SI per l’Acqua bene comune”, che ha portato alla vittoria referendaria nel giugno 2011. È da sempre impegnata sul tema dei beni comuni come base per la costruzione di un altro modello sociale basato sulla democrazia partecipativa. In quali altre campagne è impegnata?

Ci tengo a sottolineare che tutte le campagne dentro le quali Attac ha dato il suo importante contributo seguono il filo rosso della finanziarizzazione. Anche la campagna per l’acqua pubblica – una stagione straordinaria di partecipazione sociale che è stata capace di produrre interamente dal basso addirittura una vittoria referendaria – ha visto Attac in prima fila perché nel frattempo il processo di finanziarizzazione era “straripato” dall’economia, alla società, alla natura e ai beni comuni.

Attac ha sempre considerato la formazione come propedeutica all’azione. Perché il mondo non va solo capito, ma anche trasformato

Successivamente a quel percorso, siamo stati fra i promotori della campagna Stop Ttip, successivamente estesasi a tutti i trattati di libero scambio, i quali, dietro la triade “crescita, concorrenza, competitività” si prefiggono di considerare i diritti del lavoro, i diritti sociali e i diritti della natura come variabili dei profitti delle multinazionali.

Contemporaneamente abbiamo promosso la critica radicale ai vincoli di austerità imposti dall’UE, mettendo al centro da una parte la questione della trappola ideologica del debito e la necessità del suo annullamento, contribuendo alla nascita anche in Italia di CADTM, il Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi. Dall’altra, focalizzando il tema di una nuova finanza pubblica e sociale sia aprendo un focus su Cassa Depositi e Prestiti – che gestisce 280 miliardi di risparmi dei cittadini – sia a livello di comunità territoriali con la recente campagna “Riprendiamoci il Comune”.

Siamo infine fra i promotori del percorso della “società della cura”, uno spazio politico attraversato da centinaia di realtà, nato durante la pandemia per mettere in campo non solo la presa d’atto collettiva della totale insostenibilità del modello capitalistico, ma anche la costruzione di un’alternativa di società basata sul paradigma della cura – di sé, delle altre e degli altri, del vivente e del pianeta – contro l’attuale paradigma del profitto che permea la società, la natura e l’intera vita delle persone. Siamo una piccola e importante realtà con un unico obiettivo: contribuire a cambiare il mondo per renderlo abitabile con dignità per tutte e tutti.

Laura Tussi

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