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Macron danza sull’orlo dell’abisso

di Franco
Ferrari

Il Presidente francese Macron ha aperto le porte ad una possibile partecipazione diretta di militari di paesi della NATO alla guerra in Ucraina. Avremmo così i famosi “boots on the ground”, gli stivali sul terreno che, da parte loro, gli Stati Uniti hanno sempre escluso.
A Macron hanno risposto in molti, a partire dal cancelliere tedesco Scholtz, per negare che ci sia intenzione di mandare soldati europei nelle trincee ucraine per riempire i vuoti che si sono aperti nelle file dell’esercito locale. Ma, stando al New York Times, alcuni governi dei paesi nordici e dei paesi baltici si sarebbero espressi favorevolmente a compiere questa ulteriore escalation militare.

Da parte sua il governo francese e lo stesso Presidente hanno ricordato che in precedenti occasioni si era detto di no al trasferimento di carri armati e di missili a lunga gittata in Ucraina per poi cambiare idea. Queste decisioni, sempre secondo Macron, hanno portato gli europei ad essere in ritardo di sei o dodici mesi sulle necessità della guerra.
L’invio di militari di paesi europei della NATO potrebbe aprire la strada ad un conflitto globale con la Russia. A poco serve a dire, come dichiarato da Macron, che non si è in guerra con “il popolo russo”. Già questa formula, che distingue fra popolo e Stato, lascia intendere che forse si è già in guerra con quest’ultimo. Finora i governi europei avevano tenuto ad operare questa distinzione e chi aveva improvvidamente sostenuto il contrario, come la ministra degli esteri tedesca Baerbock, aveva poi dovuto fare retromarcia.
D’altra parte l’ipotesi di una presenza militare diretta si inserisce in un contesto in cui si fanno sempre più forti i richiami ad una possibile estensione del conflitto in un arco di tempo che va dai tre ai cinque anni.

Il settimanale Economist, in genere rappresentativo delle opinioni che circolano nelle classi dominanti, ha fatto presente che l’Europa deve prepararsi ad un decisivo cambio di scenario. Ciò significa innanzitutto prevedere un aumento delle spese militari come non si registrava da “decenni”. A questo proposito si sta già sostenendo negli ambienti che contano che nemmeno una spesa corrispondente al 2% del PIL, prevista dalle deliberazioni della Nato e che diversi Stati europei ancora non hanno raggiunto, sarà sufficiente. Bisognerà seguire l’esempio della Polonia che si è assestata al 3%.
Sempre l’Economist specifica che bisognerà riabilitare le “neglette tradizioni militari europee”, senza specificare esattamente a quali, non sempre nobili, tradizioni militariste del ‘900 si faccia riferimento. Ovviamente sarà necessaria una ristrutturazione del sistema di industria di armamenti in Europa al fine di moltiplicarne le potenzialità. Un obbiettivo che già si è data la Commissione europea, guidata dalla von der Leyen, i cui legami con il complesso militare-industriale si erano già forgiati nel suo ruolo di ministra della Difesa tedesca.
Infine, conclude l’Economist, bisogna prepararsi ad una possibile guerra. E qui il settimanale britannico non è certo da solo a suonare la carica. Abbiamo diversi paesi nei quali si solleva apertamente la possibilità di un ritorno alla coscrizione obbligatoria (Gran Bretagna, Germania). C’è chi prevede quanto tempo avremo prima che scoppi un conflitto globale in Europa e si parla di 3-5 anni al massimo.

Lo scenario che viene prefigurato considera che molto probabilmente Trump verrà eletto Presidente degli Stati Uniti a novembre. Data la sua evidente propensione a disinteressarsi dello scenario europeo e anche una qualche non dissimulata simpatia per Putin, questo lascerebbe l’Europa senza più la copertura militare degli Stati Uniti. A quel punto la Russia non vedrebbe l’ora di scatenare una guerra globale sul continente. In questa logica si apre la gara a chi la spara più grossa. Se Macron ipotizza l’invio di militari nel Donbass, i socialdemocratici tedeschi prevedono l’adozione di armi nucleari europee in aggiunta a quelle di cui dispongono Francia e Gran Bretagna ma che restano sotto l’esclusivo controllo nazionale.

Per i governi europei questa escalation militare dovrebbe portare Putin a rinunciare all’invasione del continente. Nel frattempo vengono dislocate truppe in tutti i Paesi confinanti con la Russia, organizzata la più grande esercitazione militare dal crollo dell’Unione Sovietica, allargata la Nato, prevista l’installazione di armi nucleari in Finlandia. In questo paese i servizi di intelligence hanno scoperto che, scrive Le Monde,: “le relazioni con l’immenso vicino dell’est si sono ‘significativamente deteriorate’ dopo l’ingresso nell’Alleanza, nell’aprile 2023”. Dal che si capisce che se prima non c’era un pericolo reale di conflitto, ora questo rischio è aumentato.

Non si possono evidentemente cancellare le responsabilità di Putin in questo processo di militarizzazione dei rapporti tra Stati in Europa, a seguito della decisione di invadere l’Ucraina. A cui si aggiunge la stretta autoritaria interna dimostrata dall’arresto di chiunque critichi la guerra, dalla morte di Navalny, ecc.
D’altra parte è evidente che la strategia perseguita dall’Unione Europea e dalla maggioranza dei governi occidentali si sia dimostrata del tutto fallimentare. Sia prima, nella gestione del conflitto interno all’Ucraina tra le tendenze nazionaliste e scioviniste e la minoranza russa, che nell’affidarsi irresponsabilmente alla retorica della “vittoria”. Se Putin aveva molto probabilmente sbagliato i suoi conti, pensando che l’intervento militare russo avrebbe cambiato gli equilibri politici a Kiev, riportando al governo i settori meno ostili a Mosca, l’Occidente ha sottovalutato la capacità di resistenza economica e militare della Russia.

Le sanzioni hanno fatto per ora più danni a chi le ha imposte che a chi ha dovuto subirle. Ci è stato annunciato per mesi, quasi ogni settimana, che ormai l’esercito russo stava esaurendo le munizioni e poi abbiamo scoperto che in realtà sono le truppe ucraine ad avere forti problemi di rifornimento. Ancora adesso si continuano a lanciare proclami sulla necessità di sconfiggere la Russia, un obbiettivo che sembra allontanarsi ogni giorno.

Si esclude la strada che dall’inizio, e già prima dell’inizio, della guerra risultava essere la più ragionevole, quella di una trattativa che cercasse di dare garanzie ad entrambe le parti e alla minoranza russa nel Donbass. Strada certamente difficile, perché il conflitto tra Stati si intreccia a quello interno all’Ucraina, ma come in tanti altri conflitti non impossibile.

Si è voluto fare della guerra in Ucraina un tassello di un conflitto globale tra campi contrapposti e in più, con il sostegno alla guerra israeliana e al massacro dei palestinesi, si è rivelata tutta l’ipocrisia occidentale sulla difesa della legalità internazionale. Più ci si inoltra nella palude della guerra e nell’escalation militarista e più alto diventerà il prezzo per uscirne.

La sinistra in Europa, anche quella che pure non si è accodata all’isteria “guerraiola” (il termine con il quale i socialisti italiani definivano gli interventisti), non ha finora saputo esprimere con chiarezza una posizione alternativa. Georges Haupt, un grande storico del movimento operaio scrisse negli anni sessanta un piccolo libro che si intitola “Un congresso mancato”. Era quello che doveva svolgere l’Internazionale socialista nel 1914. L’ultima riunione del Bureau che doveva fissarne sede, data e ordine del giorno, si tenne alla fine di luglio di quell’anno. Poi i dirigenti socialisti se ne partirono per le vacanze. Qualche giorno dopo aveva inizio il grande e insensato macello (“l’inutile strage” la chiamò il Papa) che doveva durare per quattro anni.

Franco Ferrari

conflitto russo-ucraino, guerra, Ucraina
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1 Commento. Nuovo commento

  • claudio salone
    29/02/2024 9:23

    Un’analisi lucida della questione, che dovrebbe essere condivisa da tutti i decisori politici. Il fatto che non lo sia testimonia l’ingombrante presenza di interessi inconfessabili che la roboante retorica occidentalista vela. Con le elezioni alle porte, un Macron ormai al 25% di consensi e con lui una Germania guidata da un semaforo con tutte le luci accese contemporaneamente tentano, come si dice a Roma “di buttarla in caciara”, tra squilli di tromba e agitar di vessilli, sventolando la minaccia dell’Orso russo e rispolverando le “neglette tradizioni militari europee” (!). “La storia si ripete prima come tragedia, poi come farsa”, diceva quel Tale, Mi pare tuttavia che ci sia ben poco da ridere. Grazie per la riflessione.

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