di Tommaso Chiti –
Da alcuni anni grazie all’attivismo femminista di #NonUnaDiMeno la Giornata Internazionale delle Donne ha dismesso caratteri prettamente folkloristici –da mimosa e bagordi – per rimettere al centro le vertenze principali di una lotta per la parità di genere su scala mondiale.
L’incertezza sulla sua istituzione, fra il 1909 ed il 1911, prima per opera dei partiti socialisti statunitensi sulla scia di scioperi anche per il suffragio femminile; e poi come risoluzione dell’VIII Congresso dell’Internazionale socialista, è dovuta anche al trascorrere degli anni, prima che venisse fissato il celebre giorno dell’8 marzo, come data canonica di riferimento.
Così, mentre dagli anni ’80 si era in parte attenuata la spinta di denuncia femminista rispetto alle prime manifestazioni dell’inizio del secolo scorso, in tempi più recenti questa mobilitazione ha ricostituito uno dei movimenti sociopolitici più diffusi a livello planetario.
La Giornata Internazionale delle Donne appena trascorsa ha infatti visto manifestazioni oceaniche soprattutto in America Latina, con oltre 150mila dimostranti nella capitale del Cile, dove da poco è stato fondato anche il primo Partito di Alternativa Femminista (PAF) da una costola del movimento ‘Las Tesis’, noto per il celebre flash-mob de ‘un violador en tu camino’. Il gruppo aveva radunato a dicembre scorso diecimila attiviste davanti allo stadio nazionale di Santiago, tristemente noto per le torture perpetrate dal regime di Pinochet sugli oppositori politici, tornate alla ribalta con la repressione brutale dei carabineros di Piniera nei mesi scorsi, specialmente per gli abusi sulle donne fermate.
A Buenos Aires è risuonato lo slogan “Ci vogliamo Vive!”, attestando qui piuttosto l’avvio di un percorso di politiche pubbliche, promosso dal neonato Ministero su Donne, Politiche di Genere e Pari Opportunità.
Poco oltre, a Città del Messico la mobilitazione ha rilanciato denunce contro femminicidi, molestie, restrizioni al diritto all’aborto e soprattutto disparità di genere; partendo con manifestazioni domenicali, per proseguire poi con lo sciopero femminista del lunedì, “il più grande dagli anni ‘70” a detta di molte intervistate, in risposta diretta all’inerzia del presidente messicano rispetto ad un piano contro la violenza di genere.
La stessa violenza che non è mancata purtroppo nella Turchia reazionaria e sempre più integralista del sultano Erdogan, dove la polizia ha caricato qualche centinaio di manifestanti nei pressi di piazza Taksim, utilizzando anche lacrimogeni per disperdere il corteo.
Altrettanto anomala la situazione nei paesi dell’Europa occidentale, specialmente quelli colpiti dal contagio del covid-19, dove molti eventi sono stati annullati per i divieti di assembramenti numerosi. Così i collettivi femministi e i nodi territoriali di NonUnaDiMeno hanno lanciato via web e dalle abitazioni un tam-tam di azioni, per ribadire che “dove non arrivano i corpi, arrivano le nostre parole”.
Al di là delle contingenze sfortunate di questo 2020, appare ben più grave e contagioso il virus delle diseguaglianze sociali, che si traduce in iniquità di genere, fino a riproporsi in forma di organizzazione patriarcale, se si considerano certe tendenze del sistema capitalistico attuale, compreso il perdurare di conflitti bellici, che colpiscono soprattutto la popolazione civile e con pesanti ricadute specialmente sulle donne.
Anche in zone non toccate da guerre come l’UE il bilancio appare comunque ancora critico, se si considera che il 33% delle donne è vittima di violenza, il 22% delle quali per mano del proprio partner. La questione sicurezza non si esaurisce in termini di incolumità, ma riguarda anche l’autodeterminazione in senso più ampio, considerato che il tasso di occupazione femminile non supera il 67% e appena il 7,5% delle posizioni dirigenziali private o pubbliche è ricoperto da donne, che invece svolgono ben il 75% del lavoro domestico gratuito.
Anche per quanto riguarda la retribuzione, il divario salariale di genere nei paesi dell’UE pesa sul lato femminile della bilancia per un 16% di guadagno in meno rispetto agli uomini, diventando altrettanto allarmante sotto il profilo pensionistico, dove la differenza è di quasi il 40% in meno.
Ad acuire la tendenza alla disparità anche l’occupazione femminile concentrata in settori relativamente a basso salario come assistenza, vendite o istruzione, così come la sotto-rappresentazione nei settori dove le retribuzioni sono più alte.
Con meno denaro da risparmiare e da investire, questi divari si accumulano ed esponendo le donne sono ad un maggior rischio di povertà ed esclusione sociale in età avanzata.
In questo senso lo sciopero femminista lanciato per lo scorso 9 marzo ha messo sotto i riflettori le iniquità di trattamento ed il cosidetto ‘glass-ceiling’, il lavoro di cura non pagato ed invisibile e tuttavia motore dell’economia, cercando di dimostrare che se si fermano le donne, si ferma il mondo.
Come ribadito dall’appello di NUDM, la libertà è al tempo stesso liberazione dalle costrizioni dei lavori precari, dal peso di lavori non riconosciuti perché chiusi nel privato “domestico”, dalle disuguaglianze salariali, dalla povertà, da relazioni di dominio radicate in secolari strutture economiche e culturali. Fra le forme di lotta più diffuse contro simili derive discriminatorie e speculative vengono spesso messe in campo esperienze di autogestione e pratiche di mutualismo.
A venticinque anni dalla Dichiarazione di Pechino siglata dalle Nazioni Unite per “l’avanzamento delle donne nella società”, Parlamento e Commissione Europea hanno rilanciato il progetto di ‘Unione dell’Uguaglianza’ con una strategia per la parità di genere suddivisa in dodici aree tematiche ed incentrata in UE su alcune priorità, quali la conciliazione fra vita professionale e vita privata; oltre all’assistenza familiare all’infanzia. Questi aspetti fortemente produttivistici risentono della preminenza del Mercato Unico nel progetto europeo, malgrado gli auspici di azioni intersezionali, che riescano ad incidere anche su tematiche come diritti umani, salute, ambiente e violenza sulle donne.
L’esigenza di un simile raggio di azione è stata ribadita qualche settimana fa in modo spregevole e negativo dalla campagna di un’azienda petrolifera canadese, che ha stampato adesivi dal carattere pornografico, ritraenti lo stupro della giovane attivista contro i cambiamenti climatici, Greta Thunberg. Questa sorta di rivalsa machista, peraltro apertamente rivendicata dai titolari della compagnia, simboleggia bene l’attacco del potere patriarcale e fortemente reazionario dei ‘figli dei fossili’, rispetto ad una figura chiave nella lotta di autodeterminazione e di tutela della terra. Una nuova giovane ‘Pacha Mama’ incarnata dall’attivista svedese, che proprio pochi giorni prima della Giornata Internazionale delle Donne ha tenuto un discorso al Parlamento Europeo sulla necessità di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2025, riducendo le emissioni per proteggere l’ambiente.
In questo senso, l’appello di NUDM contro espropriazione e sfruttamento maschile trova un riferimento significativo verso “una lotta congiunta e trasversale” anche contro l’estrattivismo, non a caso esortando alla ribellione a partire dai corpi e dai territori, definiti prime vittime delle violenze.
L’approccio intersezionale definisce a sua volta un paradigma diverso di sviluppo, più equo e sostenibile come ribellione a forme dirette di saccheggio, precarizzazione e negazione della vita. Particolarmente forte nei movimenti l’ispirazione alla componente di donne indigene e a quelle migranti vittime delle violenze razziste e delle frontiere chiuse dell’Unione Europea, così come delle combattenti rivoluzionarie in Rojava.
Lo sciopero generale e globale femminista è perciò stato elaborato come un processo collettivo di convergenza intersezionale, interclassista e transnazionale, con l’interruzione delle attività produttive e riproduttive.
La militanza costante e le mobilitazioni travolgenti sembrano attirare l’attenzione dei decisori politici e segnare l’agenda pubblica oltre che quella mediatica. Resta però la necessaria conquista di quelli spazi, finora appunto retaggio di pochi uomini, cercando anche quelle alleanze politiche e sociali per fronteggiare la più generale rimonta di rigurgiti reazionari e neofascisti
APPROFONDIMENTI
https://www.unwomen.org/en/news/in-focus/csw59/feature-stories ;