Racconto un episodio della mia vita personale perché credo sia un pochino emblematico di una realtà ormai consolidata.
Durante una gita fuori porta in una cittadina sulle sponde di uno dei laghi lombardi ci imbattiamo in una bancarella per turisti. Fra gli oggetti in vendita ci sono delle targhette artigianali con le differenti professioni.
Mia sorella, che ama questo genere di cose, si ferma sorridente e comincia a cercare la targhetta che la contempla.
Fa l’operaia in una fabbrica tessile del comasco e svolge il suo lavoro con un certo orgoglio visto che, nel tempo, ha arricchito conoscenza ed esperienza tanto da saper gestire una macchina di ultima generazione che a partire da un filo iniziale produce la trama e l’ordito del tessuto.
Maestra, ingegnere, idraulico, parrucchiera, dottore, segretaria, cameriera, architetto e tanti altri ancora con, ovviamente, il genere declinato sulla base di stereotipi duri a morire.
Guardiamo e riguardiamo ma niente: la targhetta con la professione di “operaio” (a mia sorella andava bene anche il maschile) non c’era proprio.
Come ultima spiaggia chiediamo alla proprietaria della bancarella, si sa mai che proprio quella targhetta fosse esaurita o tenuta nel retrobottega.
La risposta è stata illuminante : “No la targhetta non c’è, ma del resto chi fa più l’operaio oggi?”.
A mia sorella è toccato prendere atto, a grave danno della sua identità non solo professionale (buttiamola sull’ironia), di svolgere, per i più, un lavoro inesistente o scomparso.
Per carità niente di nuovo sotto il sole, ricordo una poesia di Pasolini che già negli anni 70 si concludeva con un verso profetico: “Gli operai hanno ancora pochi anni di tempo” o un articolo di Gallino “Tute blu. Quel che resta di un mito” (la Repubblica, 2006) citato in uno scritto di Donata Meneghelli su “Gli operai hanno ancora pochi anni di tempo? Morte e vitalità della fabbrica”.
Come alcuni hanno sostenuto, se si cancellano gli operai si cancella anche l’idea di classe.
Forse la crisi della sinistra che ci ha lasciato orfanə di un’alternativa credibile e condivisa in grado di provare a modificare gli attuali rapporti di forza, ha qualche radice anche in questa cancellazione.
Sì, dai, lo so sto esagerando, guarda cosa diavolo vado a pensare sulla base di una targhetta mancante in una bancarella qualsiasi.
O chissà forse no. Forse anche dalle piccole, banali cose si possono trarre conferme sui tanti perché dei mutamenti non sempre esaltanti della realtà odierna.
La classe operaia non è andata né in Paradiso né all’Inferno: semplicemente è stata dimenticata.
Amen.
Nicoletta Pirotta
3 Commenti. Nuovo commento
Buttiamola sul ridere, magari no a crepapelle ma comunque sul ridere. Stando agli ultimi consuntivi i lavoratori che possono essere assimilati alla categoria operaia sono in crescita in tutto il mondo. Gli operai non sono scomparsi né diminuiti ma solamente dimenticati. Purtroppo sono molte le categorie dimenticate oltre a quella operaia. Spesso sono categorie che svolgono attivita’ complesse e qualificate fino alle specializzazioni piu’ elevate. Operai, tecnici, infermieri, muratori…… purtroppo il lavoro pesante, a volte ripetitivo, il lavoro che sporca le mani e le tute non piace piu’. Senza questi lavori pero’ non esisterebbero i motori, non ci sarebbero manutenzioni agli impianti o collaudi alle strutture, neppure l’assistenza avanzata nel mondo sanitario e neanche dei muri di casa belli, finiti, in squadra e ben levigati….purtroppo manca il consenso sociale.
Ha perso tanti diritti e garanzie che si era conquistata con le lotte degli anni 60 e ‘70 e ha perso forza con la chiusura delle grandi fabbriche del Nord e lo sgretolamento del tessuto produttivo in piccole e piccolissime realtà manifatturiere che hanno distrutto la coesione della classe operai . La globalizzazione dei mercati e la conseguente spinta alla delocalizzazione hanno aumentato a dismisura la precarietà del lavoro e ridotto le condizioni di lavoro a sfruttamento e povertà.
Grazie del commento Patrizia. La tua analisi è tristemente impeccabile.