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Lo Stato si riduce, ma noi lo si ricuce

di Marcello
Pesarini

“Lo stato borghese si abbatte non si cambia”. Mai uno slogan che sembrava datato sta riacquistando il suo valore, diciamo così, scientifico.
“Lo stato borghese” invece, dopo anni di bambini buttati via assieme all’acqua sporca, di ideali marxisti e terzomondisti  ridotti a meccanicismi sconfitti, questi si inutilizzabili, è ancora più soffocante che negli anni 60, essendosi le sue armi affinate. L’illusione moderata, blairiana e piddina, la terza via insomma, consisteva nell’entrare nella globalizzazione per avere maggiori mezzi di manovra, ridurre i sindacati a collaboratori o meglio a calmieratori delle lotte e delle esigenze.
Di quanto queste scelte siano fallite è sotto gli occhi di tutti, con l’Italia in particolare unico paese europeo col salario fermo ai primi anni 90, e l’Inghilterra indebolita da tante scelte destabilizzanti lo stato sociale, e infine dalla Brexit. Ora sono in attesa delle mosse degli stati membri del Commonwealth che forse oseranno obbedire meno a Carlo III che non a Elisabetta II.

In Italia oggi seguendo la logica dei contratti interinali tanti lavoratori e tante lavoratrici, spesso formatisi nelle scuole pubbliche, sul campo o attraverso specifici corsi di aggiornamento, svolgono oggi mansioni fondamentali nel mondo della cultura come in quello della giustizia, dei servizi come nell’assistenza alla persona.
Questa spina dorsale indebolita dell’economia e della società italiana, alquanto inadatta rispetto alle vere necessità di servizio pubblico, non ha nulla a che fare con il grande movimento di sviluppo che portò negli anni 80 il  Terzo Settore a riempire il vuoto lasciato dall’applicazione parziale di leggi come la Basaglia per la fine dell’istituzione manicomiale, o per surrogare le esigenze della nuova struttura sociale del Paese.
Negli anni seguiti al boom economico e al ciclo di lotte sindacali e studentesche del 68 e del 77, molte compagne e molti compagni, cercando di superare la tragica rottura degli anni di piombo e l’introduzione dell’eroina portata dal narcotraffico controllato da Mafia e USA , molti giovani laureati e diplomati si cimentarono nell’invenzione di un lavoro “utile” e “creativo”, che affrontava il superamento della famiglia tipo, costituita da un maschio bianco che produce reddito, una moglie addetta al lavoro di cura, per passare a famiglie multicolori sia per etnia che per genere, scelte di orientamento sessuale, e per rendere esigibili i nuovi diritti che prendevano piede.
Si contribuì così, dirò con un’analisi volutamente superficiale, a rendere esigibili alcuni diritti civili e sociali, mentre né il cambiamento rivoluzionario dei gruppi extraparlamentari né quello riformista del PCI-PSI riuscirono ad essere messi all’ordine del giorno.

Da alcuni decenni, con il salto di qualità della bolla immobiliare del 2008 seguita dalla pandemia e dalla guerra dell’Ucraina, la deregulation ha portato volutamente a indebolire molti servizi pubblici con il mancato rimpiazzo del personale pensionato, l’uso sempre più pressante di giovani lavoratori e lavoratrici spesso interinali singoli o organizzati in cooperative. L’uso del saltuario, termine che rende molto bene l’idea, ha scopi precisi, se accompagnato dalla necessaria propaganda tesa a dimostrare che le grandi aggregazioni lavorative sono passate di moda, e che l’abilità di diventare imprenditori di se stessi, iniziata negli anni 90, è pagante come appagante.

Poi, crisi su crisi, bolla finanziaria su bolla finanziaria, la situazione ha ridotto gli spazi di arricchimento e creato i nuovi poveri, come rende evidente tutta una cultura cinematografica che vede in Ken Loach il principale esponente come regista, a fianco dei fratelli Dardenne e Paolo Virzì in Italia. Tale involuzione è stata caldeggiata spesso in primis dai partiti del centrosinistra che hanno tolto le castagne dal fuoco al centrodestra, convinti della necessità di “regolare” il mercato di cui sopra.

Per usare la parole di Ken Loach, “I sindacati firmano accordi già difficili da far digerire ai lavoratori e poi debbono rincorrere i padroni che li cambiano in via di attuazione”.
In Italia è da alcuni mesi la destra-destra, che ha tolto la maschera di opposizione populista e ubbidisce all’Europa che prima contestava, ma soprattutto agli USA ora guidati da un presidente cattolico, a respingere anche i tentativi delle opposizioni unite che hanno depositato una proposta di legge per il riconoscimento di un salario minimo di 9 € all’ora, come primo passo di dignità ed anche lotta alla povertà, comprese le figure dei “working poor”.

La CGIL è l’unico sindacato confederale che non si è opposto a ciò ed anzi con la sua assemblea generale è intenzionata ad impostare un confronto articolato con le opposizioni di centrosinistra, sia su questo punto che sulle rappresentanze sindacali che sui contratti di lavoro, e sta preparando anche un percorso che porti allo sciopero generale, proiettato forse verso ottobre.

Vorremmo oggi concentrarci sulla Giustizia, che da sempre misura la democrazia e la sensibilità di uno stato democratico,e se lo è veramente. Parlare di carceri riguarda apparentemente 55.000 detenuti, 100.000 che usufruiscono di misure alternative, e le loro famiglie. In realtà si parla di un indotto, perché i reati sono condivisi da fiancheggiatori se piccoli, trascurabili, quelli per cui si va in galera, da molte più persone se sono quei reati più gravi, quelli legati alla gestione dell’economia, delle finanze, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Sono affermazioni apparentemente forti, ma ad esempio Papa Francesco esorta a non commettere questi reati, che lui chiama peccati.

Affrontiamo perciò i diritti di lavoratrici e lavoratori come battaglia pilota, segnale per la ripresa della formazione scolastica e lavorativa, nella quale siamo intenzionati a riprendere il forte legame che aveva visti assieme CGIL, A buon diritto, Antigone, Fuori luogo, Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia nella campagna “Madri Fuori” che rispondeva allo stigma lanciato dal vice ministro Cirielli contro le donne detenute.

Ma chi gatto nasce topo non diventa: Cirielli e Giorgia Meloni hanno anche depositato due proposte di legge limitative dell’articolo 27 della Costituzione, sugli spazi di rieducazione dei detenuti.

Affrontiamo ora prima l’articolo 2 della PdL Cartabia riguardante le trascrizioni degli atti dei processi.

Partiremo dall’ultimo sciopero dei lavoratori precari addetti alla trascrizione degli atti dei tribunali, compito che nella riforma Cartabia viene affrontato in maniera contraddittoria e insufficiente a fornire i doverosi supporti nei processi.

Stiamo parlando di passaggi fondamentali per assicurare la Giustizia, che è azione Politica. Crediamo sia indispensabile che gli atti del processo siano documentati il più possibile, e in questo caso sarebbe troppo facile rammentare i vari casi Cucchi o come si è giunti a documentare i pestaggi del carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Ancora una volta si voleva varare una riforma, che non innovava, ma anzi, su un punto fondamentale dei diritti e delle garanzie, anziché imporre uno strumento fondamentale ed essenziale in un paese civile, come la videoregistrazione degli interrogatori, si arrendeva al fatto che siano indisponibili gli strumenti necessari o gli ausiliari tecnici.

Se mancano gli strumenti tecnici e si sta cercando di riorganizzare il sistema non si può accettare di giocare al ribasso, cioè in carenza di organico dei trascrittori che hanno scioperato.

Occorre investire nella giustizia, anche per sopperire a tutte le gravi lacune che condizionano la difesa dell’imputato o dell’indagato, eliminare gli alibi delle mancanze tecniche.

Non è corretto né utile prevedere la registrazione audiovisiva se non possibile, ed è invece obbligatorio mantenere la documentazione scritta, sicura, e metterla al suo fianco, lettera a) dell’articolo 2.

Non risulta corretta neppure la previsione della lettera b) che non provvede l’obbligo di trascrizione nel caso in cui sia prevista l’audio registrazione in tema di assunzione di informazioni delle persone informate sui fatti.

Molti altri sono i settori della pubblica amministrazione affidati, per risparmiare, per dimostrare di saper essere efficienti, al precariato, a cooperative che lavorano al ribasso: biblioteche, musei, settori del lavoro di cura, igiene urbana, verde pubblico. Contiamo di tornarci sopra presto.

Portiamoci ora sul mondo del lavoro detenuto del quale si è parlato a lungo.
Il 1° giugno 2022 la CGIL tiene a Roma una giornata di lavoro sulla tematica della continuità del NASPI in carcere, presente il garante dei detenuti Mauro Palma, che sta terminando il suo mandato in questi giorni e che corre il pericolo di lasciare al posto a un trio monosessuato vicino a FDI, mentre il mondo accademico e associativo aveva proposto Rita Bernardini per il suo lavoro coraggioso e dedito, come Partito Radicale prima e come Nessuno Tocchi Caino poi.

Il punto era controbattere l’esito del procedimento amministrativo per cui l’INPS aveva rigettato le domande di NASPI, proposte dai ricorrenti tramite patronato, ritenendo che il sussidio di disoccupazione possa essere erogato solo al termine di un rapporto di lavoro alle dipendenze di aziende diverse dagli istituti penitenziari (Msg INPS 5 marzo 2019, n. 909).

I detenuti hanno poche possibilità occupazionali (su 55 mila detenuti ne lavorano solo 19 mila)  praticamente un terzo, e di questi solo uno su dieci lavora per imprese private o cooperative mentre gli altri per l’amministrazione penitenziaria. Ma per questi ultimi, l’assenza delle normali tutele contrattuali, a partire dalla retribuzione contrattualmente prevista, rischia di mettere in discussione anche il progetto inclusivo e di reinserimento sociale.

A seguito di questo incontro, vengono a galla alcune sentenze ed accordi:

Nota a Trib. Siena 1 giugno 2022, n. 216. Il detenuto che presti attività lavorativa alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria ha diritto, in occasione della cessazione del rapporto di impiego, all’indennità di NASpI, al pari degli altri lavoratori subordinati.

Tribunale di Busto Arsizio. Una sentenza recente ha accolto il ricorso di una detenuta lavoratrice seguita dalla Cgil di Milano. La detenuta ha lavorato come addetta alle pulizie e successivamente come aiuto sarta nella produzione di mascherine durante il periodo del Covid in un istituto penitenziario milanese, prima di essere trasferita in un altro istituto della stessa città, dove è attualmente ancora reclusa. È come riconoscere a una lavoratrice il periodo di attesa di nuova occupazione, peraltro assicurata da contratto, nel passaggio dalla gestione comunale diretta della raccolta dei rifiuti solidi urbani a quella dell’azienda municipalizzata insistente sullo stesso territorio.

La CGIL si era premurata nel frattempo di informare Antigone Marche e Sinistra Italiana, impegnate in rete sulla costruzione di sportelli per i detenuti nel loro territorio, il protocollo di accordo sottoscritto nel 2019 fra PRAP Puglia Basilicata e CGIL Puglia, che può essere un utile modello di riferimento per la sottoscrizione di accordi regionali, che permettano l’accesso a tutti gli istituti penitenziari di quel territorio, al fine di poter garantire le prestazioni assistenziali e previdenziali necessarie alle persone ristrette, comprese quelle di origine extracomunitarie, con lo spirito sperimentato fra i migranti liberi.
Infine, per quanto si sa, ci sono bozze di accordi che girano dalla Puglia al Veneto ed ora anche nelle Marche siamo riusciti a mettere loro il sale sulla coda.

Perché tanta fatica e tanto spezzettamento?
Mauro Palma, ormai ex garante delle persone private della libertà e dei ristretti nei CPR, dopo 7 anni di lavoro al fianco di Daniela De Robert ed Emilia Rossi, lo disse con molta determinazione e in maniera convincente quel 1° giugno 2022, ripartenza della CGIL nel mercato del lavoro a tutto campo. In carcere, nonostante la commissione Ruotolo voluta dall’ex ministra Cartabia la volesse abolire, la “domandina” è l’unico modo per ottenere risposta alle varie esigenze. Poi c’è il magistrato di sorveglianza per alcune incombenze, compreso il lavoro, poi c’è il settore pedagogico trattamentale, ed infine, nonostante il terzo settore nato negli anni 80, e il volontariato riunito nella Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia, è regolare dover penare le pene dell’inferno e la mano destra non deve sapere cosa fa la mano sinistra, a fronte di belle esperienze di teatro, letteratura, giustizia riparativa, collaborazioni con Sistemi Bibliotecari Regionali Carcerari e partecipazione a iniziative delle città benedette dal titolo di capitali italiane della cultura.

Ma noi non demordiamo. A uno Stato che si riduce, opponiamo uno Stato che si ricuce.

Marcello Pesarini

carcere, lavoro
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1 Commento. Nuovo commento

  • Michelangelo Tumini
    04/08/2023 19:10

    Marcello ma la grande colpa di essere caduti dalla padella nella brace, noi di Sinistra che abbiamo avuto la capacità di frantumare l’atomo per tenere il punto di essere più di snistra di quell’altro e gli unici capaci di combattere il Potere quello vero tanto nei diversi punti cardinali del globo che all’interno, non abbiamo da rimproverarci proprio niente????

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