editoriali

L’Europeismo reale

di Roberto
Musacchio

Leggi il bell’articolo di Barbara Spinelli sul Fatto e pensi alla distanza che c’è tra il suo argomentare sulle nomine e le risoluzioni UE subalterne alla NATO e quello dei cosiddetti europeisti. Visioni praticamente opposte. Ho già avuto modo di dire che quello che io chiamo l’Europeismo reale non mostra nei suoi epigoni odierni, di fede e di convenienza politica (ma per quest’ ultimi lo status di regime è ragione comprensibile), neanche quella capacità che ci fu almeno in parti significative del socialismo e del comunismo di saper distinguere la teoria dai risultati dei processi storici. Cosa non semplice anche nei livelli di acquisizione semantica. Diverso infatti fu dire il socialismo fin qui realizzato da, appunto, il socialismo reale. Nella prima definizione c’era una approssimazione, nella seconda un giudizio. Che, naturalmente, poteva produrre esiti diversi, di abiura e rimozione o di necessità di rifondazione. La mia storia appartiene a questo secondo percorso. Per questo lo propongo agli europeisti. Con una certa sfiducia, devo dire. Sempre più l’europeismo mi appare come un movimento politico a pensiero in realtà debole e che aveva senso progressista nel rapporto col socialismo e l’internazionalismo. Deprivato di questo, temo corra il rischio di diventare una corrente neo nazionalista nella fase attuale della globalizzazione che vede il capitalismo finanziario riarticolare il proprio dominio a cavallo di assetti imperialistici neo medievali e neo feudali, post o a democratici, tra autoritarismi e democrature. Tra questi rientra la UE, sorta di moderno ancien regime.

Purtroppo nell’europeismo sta stravincendo da tempo il funzionalismo. Ma non, come credeva Delors, come necessità di contenimento dei nazionalismi, ma come adattamento ai diktat del capitalismo finanziario. Al contrario l’intergovernativismo è una superfetazione delle Nazioni e della loro involuzione democratica. Maastricht era oltre i piani quinquennali del socialismo reale, in quanto sostituiva l’assetto costituzionale con il funzionalismo della triade mercato, impresa, moneta. Ma tutto ciò che ne è seguito è andato su questa strada a partire dalla austerità, al rapporto con le multinazionali, ora con la guerra e il riarmo. Che è scelta che viene da lontano, dalla disgregazione agita della Jugoslavia, agli allargamenti in forme neo coloniali, all’uso neo feudale della NATO come spazio per cullare velleità di borghesie costrette dal socialismo a compromessi sostanziali di risalire la gerarchia imperiale. Purtroppo sempre più la torsione reazionaria ha caratterizzato l’europeismo. Dal cercare di rendere il razionale base della sua costruzione al considerare razionale tutto ciò che “fa la UE”. Una parabola figlia di una lettura povera della contraddizione europeismo nazionalismo come principale e che diviene assoluta ma che conosce una vera e propria slavina nella fase bellica attuale della globalizzazione, del rovesciamento della lotta di classe e di rottura degli assetti costituzionali democratici. Già nei dialoghi tra Berlinguer e Spinelli (Altiero) sugli euromissili e in alcune cose avventate scritte da quest’ultimo sul conflitto con la Russia e la fondazione dell’Europa si potevano vedere prodromi di un percorso all’indietro che però è divenuto dirompente con l’omologazione del socialismo europeo alla globalizzazione capitalista. Purtroppo assomiglia un po’ al percorso del sionismo dal rapporto col socialismo a nuovo nazionalismo coloniale e totalizzante. Il rapporto con i migranti che pratica la UE, sempre più in connessione con le destre e tornando indietro sulla libertà di lavorare fuori dal feudo che fu prodromo dello stesso capitalismo, è emblematico.

Considerare Ursula Von Der Leyen una sorta di Churchill contro la Russia e fondatrice della nuova fase emancipatoria della UE è come pensare Cavour come padre della Costituzione italiana o Bismarck fondatore dell’Europa. Un abbaglio che rischia di precipitarci in nuove avventure tragiche come le guerre e i fascismi novecenteschi. L’avventurismo delle borghesie UE le porta a pensare di poter fare con la Russia quanto fatto con la Jugoslavia riconnettendosi agli storici avventurismi inglesi e francesi. E poi tedeschi. Paese, la Germania, dove si gioca la partita più pesante, e dove ancora una volta la socialdemocrazia rischia di incubare la propria rovina “affidata” a popolari, Afd e Grunen, la nuova lancia della borghesia. Bastava essere osservatori non ottenebrati dall’europeismo reale per vedere che sullo sfondo della partita Von Der Leyen c’è questa partita tedesca con la presidente confermata a sconfessare sistematicamente il cancelliere tedesco Scholz su questioni di fondo come i rapporti commerciali con la Cina, i popolari a prepararsi i doppi forni Afd/Grunen e l’Spd nervosissima come narrano le cronache “segrete” delle riunioni socialiste a Strasburgo che i mass media oscurano. Considerare fuori gioco le destre quando il sistema intergovernativista garantisce loro il ruolo che viene da una UE che va molto più verso una Nazione di Nazioni piuttosto che verso una versione democratica è continuare a seguire il reale e a perdersi l’europeismo. Pensare che la UE si rafforzi votando in Consiglio a maggioranza e magari pensando l’impensabile in un assetto liberale e cioè di escludere ad esempio l’Ungheria perché Orban fa incontri che la UE si rifiuta di fare è perseguire le vie lastricate per l’inferno post democratico. Intergovernativismo a maggioranza, presidenzialismo, subalternità a multinazionali e a logiche di guerra stanno insieme. Il possibile successo di Trump metterebbe queste velleità dei dominanti “Ueisti” alla prova di un nuovo tornante del nazionalismo, quello che fa della forza dell’identità e dell’identità della forza il modo di stare nella fase neo feudale del capitalismo globale. Si vedranno allora i muscoli degli Stoltelberg, delle Von Der Leyen, degli europeisti reali che peso avranno. Intanto l’Europa, quella cui la lotta al nazifascismo e la forza dei movimenti operai e socialisti assegnavano una responsabilità storica, ha devastato il proprio modello sociale svenduto, come tutto compreso l’ambiente con l’ipocrisia del clean industry deal, a imprese e mercato. Quanto servirebbe un socialismo del ventunesimo secolo anche per salvare l’europeismo dal buco nero del reale.

Roberto Musacchio

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