Le elezioni austriache del 29 settembre hanno confermato lo spostamento a destra dell’elettorato in atto in molti paesi europei. In precedenza si erano avuti i successi dell’AfD in alcuni lander dell’ex Germania est e la crescita del Rassemblement National in Francia. Quest’ultimo, sconfitto in termini di seggi grazie alla decisione della sinistra di orientare i propri voti sul candidato in grado di battere l’RN, il partito della Le Pen è potuto rientrare un campo grazie alla volontà di Macron di impedire la formazione di un governo espressione del Nuovo Fronte Popolare.
Segnalavamo, la scorsa settimana, il volume dell’Istituto La Boetie dedicato alla “resistibile ascesa” dell’estrema destra, ma occorre rilevare che se questa ascesa è certamente “resistibile” non si è ancora trovato il modo di fermarla. Questo lascia aperta la necessità di una ricerca di strategia che la sinistra ancora non è riuscita ad individuare al fine di sottrarre settori di elettorato popolare alle sirene delle forze più reazionarie e xenofobe.
Il voto austriaco è stato caratterizzato da una elevata partecipazione pari al 74,90% analoga a quella registrata nel 2019 (75,07%). Il Partito della Libertà (FPOe) è risultato nettamente il primo partito con un successo anche più ampio di quello che già avevano lasciato intravedere i sondaggi. Il 29,1% ottenuto è il miglior risultato di tutta la storia dell’Austria del dopoguerra. Si è tradotto in 58 seggi, ben 27 in più di quelli della precedente legislatura. L’FPOe, a differenza di altre formazioni dell’estrema destra europea di più recente formazione, è uno dei partiti inseriti nel sistema politico austriaco fin dalla sua formazione.
Nasce come punto di riferimento del campo nazional-conservatore, nel quale erano confluiti molti ex simpatizzanti e militanti del nazismo. Nel corso del tempo, anche per ragioni anagrafiche, ebbe un’evoluzione in senso più classicamente liberale al punto da poter costituire delle coalizioni con il Partito Socialdemocratico (SPOe). Si è poi avviato un percorso in direzione inversa che lo ha riavvicinato, per molti aspetti, alla collocazione di estrema destra e nostalgica del nazismo dalla quale era partito. Involuzione che ha determinato il suo allontanamento dalla famiglia liberale europea e la scissione delle componenti moderate. Il ruolo classicamente liberale è oggi sostenuto dal partito Neos (Nuova Austria) che ha ottenuto il 9% e 17 deputati. Un piccolo incremento di due seggi che gli consente però di collocarsi davanti ai Verdi.
Come per la vicina Germania, il sistema politico austriaco è passato dalla struttura dei “due partiti e mezzo” fondata su due grandi partiti popolari, conservatore e socialdemocratico, e da un piccolo partito liberale in grado di oscillare tra l’uno e l’altro, ad una composizione molto più articolata e frammentata. Sono emersi i Verdi che hanno seguito un percorso di moderazione simile a quello dei Grunen tedeschi e poi il Neos, che è subentrato all’FPOe quale partito pro-sistema e pro-business.
Le elezioni non hanno premiato l’SPOe che ha ottenuto il 21,1% con un ulteriore benché piccola flessione sul 2019 (-0,1%) ma guadagnando un seggio. I socialdemocratici hanno ottenuto per un lungo periodo risultati superiore al 40% per poi iniziare un lento declino con le elezioni del 1994 quando ancora si assestava al 34,9%. Dal 2008 non ha mai superato la sbarra del 30% fino ad arrivare vicino e rischiare di scendere sotto l’ulteriore soglia psicologica del 20%. Il partito, con l’elezione alla sua guida di Andreas Babler, ha effettuato un netto spostamento a sinistra con un accentuato interesse alle tematiche sociali (aumento delle tasse per i redditi alti, difesa del welfare, riduzione dell’orario di lavoro) che non ha però prodotto una ripresa di consenso. Fa eccezione, in un quadro piuttosto negativo, la crescita elettorale registrata a Vienna, storica roccaforte “rossa” in un paese in cui gli umori più conservatori se non apertamente reazionari sono da sempre radicati nelle regioni periferiche.
L’FPOe è riuscita a mescolare sentimenti sempre più ostili verso il sistema politico, cresciuti significativamente negli ultimi anni, con la tipica retorica nazionalista, anti-immigrati e anti-islamica che ha favorita la crescita di partiti dell’estrema destra. Il leader dell’FPOe, Herbert Kickl, ha utilizzato apertamente il termine della “remigrazione”, già agitato dall’AfD tedesca. Non si tratta più solo di impedire l’arrivo di nuovi immigrati ma anche di avviare il ritorno ai loro paesi di origine di quelli già presenti. La retorica elettorale si è basata sullo slogan: “Fortezza Austria, fortezza di libertà”.
L’FPOe ha assunto in politica estera una posizione di difesa della stretta neutralità austriaca. Si è opposta alle sanzioni nei confronti della Russia e vorrebbe anche impedire il passaggio dal territorio austriaco di armi destinate all’Ucraina. Gli effetti inflazionistici della guerra che pesano sui ceti medi e medio-bassi hanno certamente contribuito all’ascesa dell’estrema destra. Al di là degli elementi legati alla congiuntura Il successo del partito di Kickl ha confermato il radicamento dell’FPOe che ha subito nel tempo numerose crisi, per la rottura con il leader carismatico Strache, le scissioni dei moderati, gli occasionali scandali che hanno coinvolto i suoi dirigenti, ma è sempre riuscito a riprendersi. Kickl non ha per nulla moderato il suo discorso al fine di raccogliere voti al di fuori del suo campo. Al contrario ha contribuito a radicalizzare a destra molti elettori che in precedenza si rivolgevano ai partiti più inseriti nel sistema politico.
Il dato elettorale pone ora il problema della formazione del nuovo governo. Un’alleanza tutta spostata a destra non è impossibile ma certamente difficile. OeVP e FPOe si sono avvicinate su molte questioni programmatiche. I Popolari hanno assunto molti elementi della narrazione xenofoba dell’estrema destra e quest’ultima si è allineata a politiche economiche neoliberiste. In campagna elettorale il primo ministro uscente Karl Nehammer ha puntato il dito contro le tesi cospirazioniste sostenute da Kickl come ostacolo insormontabile per arrivare ad una coalizione, ma ha sempre tenuto a distinguere il leader dall’FPOe in quanto tale. I settori dell’OeVP più vicini alla borghesia hanno già fatto trapelare il loro interesse per una convergenza con l’estrema destra piuttosto che con i socialdemocratici, considerate le proposte che questi hanno sostenuto in campagna elettorale.
Per ora la direzione dell’OeVP ha respinto l’idea del cordone sanitario nei confronti dell’estrema destra invitando il presidente della Repubblica, il Verde Alexander Van der Bellen, ad affidare il mandato innanzitutto al leader dell’FPOe, seguendo una prassi consolidata nella vita istituzionale austriaca. Intanto però sono avviate trattative su altri tavoli. I socialdemocratici hanno già nominato una delegazione trattante nel quale prevalgono le posizioni più moderate su quelle dei seguaci di Babler.
La stampa austriaca tende per il momento a scommettere per una coalizione a tre tra Popolari, Socialdemocratici e liberali del Neos nella quale però l’SPOe dovrebbe rinunciare a molte delle misure di redistribuzione della ricchezza sostenute in campagna elettorale. Fuori dai giochi risultano al momento i Verdi che sono usciti fortemente indeboliti dalla collaborazione di governo con i conservatori. Gli ecologisti, con l’8,1%, sono scivolati dietro al Neos e hanno salvato 15 dei 26 seggi che avevano. In ogni caso le trattative per il nuovo Governo sembrano destinate a procedere per un paio di mesi prima di arrivare all’esito definitivo. Certamente un ingresso dell’FPOe a ruoli di responsabilità diretta rappresenterebbe un ulteriore spostamento a destra anche del quadro europeo, già fortemente sbilanciato in quella direzione dalla nuova Commissione presieduta da Ursula von der Leyen.
A sinistra si è guardato con molto interesse e ragionevoli speranze alla possibilità per il Partito Comunista Austriaco di rientrare in Parlamento per la prima volta del 1959. La principale difficoltà era superare la soglia del 4% o quantomeno ottenere un seggio in una delle circoscrizioni in cui è diviso il Paese a fini elettorali. Si sperava, per questo, nel voto di Graz, la città dove è sindaca la comunista Elke Kahr e dove i comunisti sono il primo partito.
Alla fine il risultato si è assestato sul 2,35% con una crescita certamente significativa rispetto alle elezioni del 2019 ma ancora lontano dalla soglia. Il KPOe, negli ultimi anni, ha ottenuto brillanti risultati in diverse città austriaca basandosi su una strategia di particolare attenzione alle tematiche sociali (“pane e burro” come l’ha definita Jacobin) ed in particolare a quella relativa all’accesso alla casa, che in Austria è fonte di notevoli difficoltà economiche per molti appartenenti ai ceti popolari.
I successi ottenuti a Graz e il modello che lì si è costruito ha poi dato risultati positivi, anche se meno eclatanti, a Salisburgo e a Innsbruck e ora, si spera, di confermarli anche nelle prossime elezioni di Linz che si terranno a gennaio. La KPOe, alleata a Links, una piccola formazione anticapitalista presente nella capitale, ha ottenuto risultati significativi in diverse zone popolari di Vienna. Un terzo dei 110.000 voti ottenuti nazionalmente provengono dalla capitale. A Salisburgo il partito ha accresciuto notevolmente i suoi voti superando il 6,0% ma questo dato conferma anche quanto sia tutt’altro che scontato trasformare il voto locale su temi concreti abbandonati dai partiti maggiori, in un consenso politico generale.
Si è scritto, con una lettura tutta finalizzata a sostenere la validità di una strategia proposta per l’Italia, che il successo della KPOe, che si è rivelato minore del previsto, sia dovuto al ricorso al mutualismo e al rifiuto di allearsi con il centro-sinistra. Le forme di mutualismo adottate dai comunisti austriaci, se si vuole usare questa definizione, sono fortemente collegate al ruolo istituzionale e alle presenze nei consigli comunali e in qualche caso nelle amministrazioni. Si tratta per lo più di servizi di assistenza offerti dal partito piuttosto che forme di autorganizzazione dal basso.
Quanto alle alleanze col centro-sinistra, in realtà, a livello nazionale, l’esistenza di un sistema elettorale proporzionale fa sì che ogni partito faccia campagna per sé stesso e non in nome di un’alleanza che in realtà non esiste. Tanto è vero che i Verdi hanno governato con i conservatori e ora potrebbero trovarsi all’opposizione di un governo che vedrebbe la presenza socialdemocratica. Quanto alle situazioni locali, diversificate perché i sistemi elettorali non sono omogenei, non esiste un condizionamento istituzionale ad allearsi prima delle elezioni. A Graz l’amministrazione, equivalente alle nostre Giunte comunali, è formata in proporzione ai voti ottenuti dai partiti e non sulla base di accordi. Questi invece possono servire per aver una maggioranza in Consiglio ed in questo caso i comunisti hanno siglato un’intesa sul programma con Verdi e socialdemocratici.
Per concludere, alle elezioni del 29 settembre erano presenti altre due liste che hanno intercettato voti di sinistra. Il partito Der Wandel (Il cambiamento), vicino alle posizioni di Varoufakis ma anche osservatore nel Partito della Sinistra Europea, ha presentato una lista intitolata “Keine von denen Parti”, nessuno degli altri partiti. Un tentativo di incanalare un malcontento generico che ha fruttato un modesto 0,56%. Inoltre era presente una lista monotematica “Voce contro il genocidio”, nota come lista Gaza, non presente in tutte le circoscrizioni, che ha ottenuto lo 0,40%.
Franco Ferrari