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Dall’analisi alla strategia per fermare l’ascesa dell’estrema destra

di Franco
Ferrari

L’attuale fase politica in Europa e negli Stati Uniti è ancora caratterizzata dall’ascesa delle forze politiche dell’estrema destra che beneficiano di una tendenza di lungo periodo. Lo si vede in Germania con la crescita dell’AfD, in Francia con l’affermazione del Rassemblement National, in Italia con il confermarsi dei livelli di consenso raggiunti da Fratelli d’Italia e così via. Negli stessi Stati Uniti, nonostante il ritiro di Biden e l’entrata in corsa della sua vice Kamala Harris che ha rianimato il campo democratico, l’ex Presidente Donald Trump è ancora in grado di vincere le elezioni.

Che cosa sia questa estrema destra dal punto di vista sociologico e ideologico, quali siano le ragioni del suo successo e quali strategie alternative possano essere attuate per sconfiggerla, sono tutti interrogativi ai quali finora la sinistra non è riuscita a dare una risposta chiara e condivisa. Il tentativo più recente può essere considerato quello messo in campo da Sahra Wagenknecht con il suo movimento che si definisce di “sinistra conservatrice” che ha effettivamente recuperato una parte dei voti andati all’estrema destra ma senza intaccarne veramente la dinamica di crescita. Per molti critici l’impostazione politica e ideologica della Wagenknecht concede troppo ai temi chiave sui quali l’estrema destra è cresciuta e quindi, anziché contribuire a fermarla, rischia di favorirne la legittimazione politica.

La vicenda tedesca sembra confermare quanto è apparso evidente in altre situazioni, come quella italiana o nelle elezioni amministrative di Madrid che impegnarono direttamente Pablo Iglesias, ovvero che l’agitazione delle tematiche antifasciste, seppur necessaria a mobilitare un elettorato già schierato a sinistra, non ha tolto elettori all’estrema destra. In qualche caso questo tipo di argomentazione è stato interpretato come propagandistico e strumentale e non invece come una indispensabile difesa di principio di valori democratici e sociali fondamentali al progresso della società (per questo si è parlato della necessità di rilanciare un “antifascismo popolare”).

Ben vengano quindi ulteriori contributi alla discussione che guadagnerebbero senz’altro a mettere in comparazione le diverse realtà nazionali, utilizzando sia la ricerca accademica, particolarmente abbondante, che l’esperienza politica e militante sul terreno. Un’attività per la quale Transform! Europe ha svolto in questi anni un lavoro prezioso, forse non sufficientemente utilizzato in sede di elaborazione strategica dei partiti della sinistra radicale in Europa. Il più recente contributo è quello di Marga Ferré: “The Far Right, A Reactionary Backlash”.

In Francia, l’Istituto La Boetie, strettamente collegato alla France Insoumise, di cui costituisce il centro di ricerca e di formazione dei militanti, ha avviato un interessante lavoro di approfondimento che si è tradotto nella pubblicazione del volume collettivo “Extreme droite: la resistible ascension”, coordinato da Ugo Palheta, sociologico e direttore di Contretemps, la rivista online affine al Nuovo Partito Anticapitalista. La raccolta di saggi (con prefazione dello storico degli anni ’30 Johann Chapoutot e postfazione di Clemence Guetté) è stata pubblicata dalla casa editrice Amsterdam nell’ambito di una collaborazione intellettuale (e un avvicinamento politico) tra LFI e i neo-trotskisti dell’NPA che fanno riferimento a Olivier Besancenot.

Si tratta di quasi una ventina di saggi nei quali sono stati messi all’opera prevalentemente dei sociologi impegnati, da diversi versanti, a decifrare la crescita elettorale prima del Front National e poi del Rassemblement National. Le recenti vicende politiche francesi hanno visto uno ulteriore spostamento a destra del Presidente Macron che ha negato al Nuovo Fronte Popolare il diritto, acquisito col voto, di vedere nominato il primo ministro proposto, per dar vita invece ad un governo per molti versi vicino alla politica del Rassemblement National di Marine Le Pen.

In questa rassegna si potranno segnalare solo alcuni dei contributi al volume dell’Istituto La Boetie che sono raggruppati in tre parti: progresso elettorale e convergenza dei blocchi, il combattimento culturale dell’estrema destra e le reti tessute in complicità con l’oligarchia.

L’ascesa elettorale che ha portato l’FN/RN ha conquistare un terzo dell’elettorato nelle recenti elezioni è sottoposta alle analisi della sociologia elettorale che non sempre offre rappresentazioni omogenee. Il quadro complessivo di analisi è quello elaborato da Stefano Palombarini che parte dal concetto di “blocchi sociali” e dalla analisi di tre dimensioni interdipendenti: l’ideologia, le istituzioni e le strategie di mediazione  politica.

Nel blocco sociale dell’estrema destra si trova una contraddizione che Palombarini mette in evidenza. Al suo interno si collocano frazioni della piccola e, più recentemente, della grande borghesia che vogliono completare rapidamente la transizione del capitalismo francese verso il modello neoliberale e contemporaneamente delle classi popolari che chiedono protezione verso le conseguenze delle riforme che corrispondono a questo stesso progetto. L’estrema destra è riuscita a costruire un blocco sociale che è largamente interclassista e che è anche quello che più assomiglia alla società francese nel suo complesso.

Sottolinea l’autore, con una formulazione che potrebbe utilmente essere applicata anche a sinistra, che “una strategia politica che ha per obbiettivo il potere deve rispondere ad attese diverse e potenzialmente contraddittorie, identificando proposte in misura di soddisfarle simultaneamente. I gruppi che si riconoscono nella medesima strategia politica perché considerano che essa risponda alle loro attese si aggregano in un blocco sociale”.

L’estrema destra francese aderisce all’ideologia neoliberale ma mentre questa nel momento di maggiore fulgore avanzava promesse di progresso sociale tali da consentire di costruire un blocco sociale che integrava oltre alla grande borghesia anche settori di ceto medio e quelli più stabili delle classi popolari, ora ciò che viene proposto è una dimensione puramente difensiva. L’impegno è di far cadere il costo delle “riforme” neoliberali sui settori di classi popolari “razzializzate”, che hanno le loro radici nell’immigrazione post-coloniale e di salvare l’altra frazione, quella dei francesi “autentici”. Il sostegno maggiore all’estrema destra viene dalle classi medie inferiori, quelle che hanno qualcosa da perdere, piuttosto che dai settori più poveri.

Le elezioni del giugno 2024 sono state caratterizzate da una terza ondata di allineamenti con l’estrema destra: dopo la piccola borghesia thatcheriana degli anni ’80, dopo l’afflusso delle classi medie inferiori con la paura di un abbassamento della condizione sociale, ora è una frazione importante delle classi agiate e della grande borghesia che si è unita al Rassemblement National. Un blocco sociale caratterizzato dal neoliberismo autoritario e identitario.

Ad indagare più da vicino le motivazioni elettorali che portano al voto per l’estrema destra è Felicien Faury con una indagine concentrata nel sud della Francia. In particolare è stato rilevato come il voto all’RN viene da settori sociali che hanno occupazioni relativamente stabili in settori difficilmente delocalizzabili o già pensionati. Ciò nonostante vivono una condizione di incertezza che sposta l’accento dal problema occupazionale ad altri temi che comunque mantengono una dimensione materiale ed economica. Sempre presente è la protesta per l’eccessivo carico fiscale e la sensazione di un degrado complessivo dei servizi pubblici e dell’ambito residenziale.

Le preoccupazioni economiche degli elettori dell’FN/RN hanno meno per oggetto i “rapporti di produzione” quanto i rapporti di “riproduzione”. Le femministe marxiste designano con l’espressione “riproduzione sociale” l’insieme delle istituzioni e delle pratiche che permettono la riproduzione quotidiana e generazionale della forza-lavoro. La logica neoliberista di messa in concorrenza delle risorse comuni portano a quello che Faury definisce come “protezionismo riproduttivo”, attraverso la restrizione del welfare ai soli nativi originari. Sarebbe anche questa una delle ragioni che hanno portato al ridursi il “gender gap” presente nel voto all’estrema destra con un aumento dei consensi femminili al partito di Marine La Pen.

Un secondo blocco di interventi affrontano vari aspetti della battaglia culturale attraverso la quale l’estrema destra che “fondamentalmente non è cambiata”, obbedisce a due principi essenziali: mettere in riga gli individui e la società, frammentare il popolo. In questa battaglia delle idee, il razzismo, soprattutto nella declinazione islamofoba è una componente essenziale. Alcuni saggi riguardano il discorso reazionario sulla famiglia e la sessualità ma anche come alcune lotte per i diritti delle donne vengono appropriati a fini razzisti (il cosiddetto “femonazionalismo”). Zoé Carle approfondisce il rapporto dell’estrema destra con l’ecologia. Anche in questo caso si mescolano elementi di appropriazione di un ecologismo integrale all’interno di una visione conservatrice ed etno-nazionalista, con la contrapposizione tra un’ecologia “punitiva” e una di “buon senso”.  Una concezione nella quale però affiorano molti elementi di scetticismo e messa in dubbio del cambiamento climatico.

L’FN/RN ha intessuto nel corso della sua crescita e insediamento sociale contatti sempre più stretti con settori dell’apparato statale (forte è la sua influenza nei ranghi della polizia) e con parti significative dell’oligarchia economica e finanziaria.

Da segnalare, da questo punto di vista, il saggio di Marléne Benquet sullo spostamento a destra della finanza. Non solo in Francia ma anche a livello globale, esponenti e settori sempre più significativi della grande finanza hanno utilizzato le ricchezze accumulate per promuovere le politiche dell’estrema destra. Abbiamo visto anche in questi giorni la Presidente del consiglio italiana ricevere gli omaggi e i sostegni di questi ambienti negli Stati Uniti. I fatti riportati da Marléne Benquet ci segnalano un elemento interessante e pongono un interrogativo. Innanzitutto per una parte della grande borghesia finanziaria e industriale, l’estrema destra non è un ripiego rispetto alla perdita di consenso delle forze politiche centrali, destra tradizionale e socialdemocrazia riallineata al centro, ma l’attore politico principale sul quale puntare le proprie (ricche) carte.

Questo avviene non solo per quei settori per i quali tale scelta sarebbe più logica, ovvero quelli che sono più a rischio per gli effetti della globalizzazione e che pertanto invocano una certa misura di protezionismo, ma anche per parte della grande finanza. Quella che la stessa estrema destra considera nella sua retorica come “globalista”, desiderosa di cancellare le identità nazionali e contrapposta ad un capitalismo sano perché radicato sul territorio nazionale. Si pensi alla polemica contro “l’usuraio Soros” (definizione della Meloni) nella quale confluiscono i vecchi schemi dell’antisemitismo, che restano parte del bagaglio ideologico dell’estrema destra, anche quando si è messa la sordina alla polemica antiebraica in nome della difesa della comune civiltà occidentale.

“In diversi paesi – conclude la Benquet – i padronati si sono già collocati a fianco di questa forma alternativa di governo, che accresce le minacce che pesano sui diritti sociali e democratici conquistati nel XX° secolo dai movimenti popolari”.

A questo insieme di materiale analitico, dato che il volume è frutto di una ricerca voluta da un centro espressione di un movimento politico, non poteva mancare una riflessione di tipo strategico affidata alla co-presidente dell’Institut La Boetie (l’altro è Melenchon stesso), Clemence Guetté.

Il punto di partenza della riflessione finale della Guetté è che l’estrema destra rappresenta effettivamente “una minaccia per i nostri corpi, le nostre vite e il nostro avvenire”. Non c’è nessuna sottovalutazione del pericolo proveniente dall’ascesa dell’FN/RN. Ma d’altra parte l’ascesa dell’estrema destra non è “ineluttabile”.  Torna la formula brechtiana del titolo del libro sulla “resistibile ascesa” che, però finora, non è stata realmente fermata né in Francia né altrove.

La Guetté, segnalando la convergenza tra blocco liberale e blocco reazionario, evidenzia la necessità di avere uno scontro duro sia con la “macronia” sia con l’estrema destra. Quest’ultima non è invincibile soprattutto perché cercando di unire in un solo blocco, come anticipato da numerose analisi contenute nel libro, la convergenza tra una parte dell’élite economica con una componente popolare si trova a dover affrontare numerose contraddizioni. A questo potenziale conflitto si aggiungono le contraddizioni interne, l’incapacità di costruire un partito di massa radicato nel territorio, la mancanza di credibilità nella battaglia ideologica e, infine, il fatto che non sia riuscita a costruire dei legami importanti con il mondo intellettuale e universitario.

Per la Guetté e in generale per La France Insoumise, non si tratta di combattere tanto un partito quanto il processo di “estremadestrizzazione” (non saprei come altrimenti tradurre il francese di “Extreme-droitisation”) in corso. Non si può pensare di vincere adattandosi alle posizioni dell’estrema destra, al contrario occorre restare fermi sulle proprie tesi e rivendicazioni. Si tratta invece di allargare ed approfondire il “blocco popolare” che ha permesso di vincere al secondo turno delle elezioni legislative del 2024 su delle basi chiaramente “antifasciste, antirazziste, femministe e ugualitarie”. Questo blocco deve essere esteso attraverso la politicizzazione di chi oggi si rifugia nell’astensione ed è lontano dalla lotta politica. La prospettiva implicita di questa strategia che deve offrire uno “sbocco politico” al blocco sociale è di arrivare alle elezioni presidenziali del 2027 con una sorta di scontro finale tra “noi e loro”. Il blocco popolare guidato dalla France Insoumise contro un blocco liberal-reazionario rappresentato dall’FN/RN (molto probabilmente incarnato nello scontro Melenchon/Le Pen). Questo presuppone anche un abile capacità di equilibrio tra la radicalizzazione politica e il mantenimento di un certo livello di alleanze a sinistra ed anche la consapevolezza che è necessario offrire uno “sbocco politico”, scrive la Guetté, contro la tesi secondo la quale lo sbocco politico del movimento è il movimento stesso.

La convinzione della Guetté è che La France Insoumise arrivando in testa (a sinistra) in due elezioni presidenziali ha voltato la pagina della politica di rinuncia e arretramento della socialdemocrazia che ha fornito carburante all’estrema destra. L’accordo sulla base del quale si è costituito il Nuovo Fronte Popolare (Insoumis, socialisti, comunisti, ecologisti) è un programma di “rottura con l’ordine costituito”. Un discorso che Melenchon è riuscito ad imporre contro i sostenitori di una linea più consensuale finalizzata ad aumentare il consenso.

Riprendendo una formulazione del “populismo di sinistra”, la Guettè afferma che occorre ristabilire una linea di rottura verticale: il popolo contro l’oligarchia, i lavoratori contro i padroni, i consumatori contro i monopoli. Infine è necessario sviluppare una “contronarrazione egemonica”, presentando un “orizzonte globalmente ambizioso e emancipatore”. Questo orizzonte viene definito come “collettivismo ecologico”.

A conclusione di queste note si possono segnalare alcuni temi che dovrebbero essere oggetto di utile riflessione anche nella realtà italiana: 1) lo scontro con l’estrema destra ha per oggetto la conquista del potere, tema largamente scomparso nella sinistra alternativa italiana per lasciare il posto a proclami identitari e ripiegamenti settari; 2) la priorità dovrebbe essere la costruzione di un blocco sociale popolare che implica forme di mobilitazione e insediamento, di mediazione politica e anche di alleanze (la marxista cilena Marta Harnecker lo definiva come “blocco sociale alternativo”); 3) una politica di rottura richiede una miscela complessa di radicalità programmatica e costruzione di alleanze politiche al fine di costruire una propria egemonia all’interno di uno schieramento di sinistra più largo; 4) è necessaria una contronarrazione egemonica che definisca un orizzonte di più lungo periodo (per la quale la Guetté utilizza la formula sintetica, che a me pare poco convincente, del “collettivismo ecologico”). Tutto questo naturalmente richiede anche un approfondimento dell’analisi sui movimenti elettorali, gli spostamenti del senso comune e i cambiamenti in atto nei processi materiali, sia quelli relativi ai rapporti di produzione che quelli attinenti la riproduzione sociale.

Franco Ferrari

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