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L’esito delle elezioni in Slovacchia incrina il consenso di Bruxelles sull’Ucraina

di Alessandro
Scassellati

In Slovacchia ha vinto un partito socialdemocratico definito dagli analisti come “sovranista” o “nazionalista populista” che non piace a Bruxelles, Kiev, media e forze politiche mainstream occidentali. In campagna elettorale, il leader Robert Fico ha detto che “La Slovacchia ha problemi più grandi degli aiuti all’Ucraina di cui occuparsi. Fornendo sostegno finanziario all’Ucraina, prendiamo soldi dagli slovacchi che ne hanno più bisogno”. Fico dovrà comunque formare un governo di coalizione e probabilmente ammorbidire la sua linea politica. Ma il sostegno economico, militare e umanitario all’Ucraina sta costando caro a popolazioni ed economie di tutti i Paesi dell’Unione Europea spingendole verso una recessione, mentre lo scontro politico per le elezioni per il Parlamento Europeo si avvicina e negli Stati Uniti il Congresso si interroga e divide (con la rivolta dei trumpiani repubblicani) sulle prospettive delle scelte fatte dalla NATO. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden potrebbe presto dover fare i conti non solo con il campo repubblicano filo-russo di Donald Trump che nega ulteriori fondi per sostenere l’Ucraina (dopo i $ 113 miliardi impegnati dal febbraio 2022), ma anche con i governi di tre dei quattro vicini NATO dell’Ucraina – Ungheria, Slovacchia e Polonia – che si ribellano ed espongono alla luce del sole le fratture interne al blocco occidentale. Evoluzioni che rischiano di minare la promessa che l’Occidente resterà al fianco di Kiev nella sua guerra contro la Russia “per tutto il tempo necessario”.

Le elezioni politiche generali di sabato 30 settembre in Slovacchia sono state vinte dal partito di ispirazione socialista SMER-SSD (22,9% con 42 seggi su 150), guidato da Robert Fico (59 anni), ex primo ministro nel 2006-2010 e nel 2012-2018. Il partito centrista e liberale di matrice europeista PS, guidato da Michal Šimečka (un ex giornalista, laureato a Oxford e vice-presidente del Parlamento Europeo di 39 anni), era dato favorito nei sondaggi e anche nei primi exit polls, ma è stato battuto (17,9% con 32 seggi), mentre terzo (14,7% con 27 seggi) è arrivato il partito HLAS (Voce), guidato dal moderato filoeuropeo Peter Pellegrini, un ex membro di SMER-SSD fino al 2020 e ex primo ministro tra il 2018 e il 2020, che potrebbe diventare l’alleato chiave di Fico per formare il nuovo governo (Pellegrini ha dichiarato che lo SMER è ideologicamente il più vicino al suo partito)1.

Lunedì la presidente Zuzana Čaputová (nel recente passato definita da Fico “un’agente, una burattina degli Stati Uniti” nonché “una puttana, una cagna” che difende gli interessi di George Soros e per questo lei gli ha fatto causa per diffamazione) ha conferito a Fico l’incarico per condurre i colloqui sulla formazione di una maggioranza parlamentare e, in caso di successo, di un governo. Oltre che con l’HLAS, Fico potrebbe allearsi con il nazionalista Partito nazionale slovacco (SNS) con cui ha precedentemente governato, che ha vinto il 5,6% (con 10 seggi), e probabilmente con i centristi cristiano-democratici del KdH (6,8% con 12 seggi), che sono contrari all’agenda LGBTQ+ di Šimečka. Il partito centrista Olano, guidato dall’imprevedibile ex premier Igor Matovic, si è posizionato come la quarta forza (8,9% con 16 seggi) e potrebbe rientrare in una coalizione di governo.

Sembra molto improbabile che Fico non riesca a formare una coalizione anche se il nuovo governo dovrà farsi carico di un deficit di bilancio in forte espansione, che si prevede sarà il più alto della zona euro, al 6,85% del PIL. In campagna elettorale, Fico ha cercato di unire la frustrazione economica e l’aumento dell’inflazione dovuta alle conseguenze della guerra in Ucraina al sentimento filorusso, promettendo di rappresentare coloro che si sentono emarginati e delusi dalle istituzioni, dalla globalizzazione e dal capitalismo. Pro capite, la Slovacchia è stato uno dei più convinti sostenitori di Kiev, diventando il primo Paese della NATO a inviare aerei da combattimento (13 MIG), ma Fico ha promesso che se riuscirà a formare una coalizione di governo, non invierà più armi e munizioni all’Ucraina2. Ha anche adottato posizioni ostili verso i migranti e i diritti civili, allineandosi con l’estrema destra occidentale3. Più della metà della popolazione slovacca vive in piccole città conservatrici o in aree rurali e spesso è sospettosa nei confronti dei valori progressisti sempre più diffusi nelle sue città relativamente piccole (non a caso Fico ha avuto molto meno successo tra i giovani o nella relativamente ricca Bratislava, che si è trasformata da quando la Slovacchia ha aderito all’UE nel 2004). Fico ha anche minacciato che una volta al governo implementerà controlli lungo i 655 km di confine con l’Ungheria (che ha chiuso alcune rotte migratorie) e licenzierà il procuratore speciale e il capo della polizia, che hanno trascorso gli ultimi anni ad indagare sulla corruzione dell’era dominata dallo SMER-SSD, per cui dozzine di alti funzionari, agenti di polizia, giudici, pubblici ministeri, politici e uomini d’affari legati allo SMER sono stati condannati per corruzione e altri crimini.

Le elezioni sono state seguite con apprensione da politici di governo e media mainstream europei e americani che hanno apertamente tifato per una vittoria del PS, un partito progressista di centro, favorevole a politiche verdi, diritti LGBTQ+, Stato di diritto e a una maggiore integrazione europea perseguita anche con l’adozione del voto a maggioranza nel Consiglio Europeo. Qualsiasi coalizione che il PS potrebbe potenzialmente formare avrebbe probabilmente bisogno dell’HLAS e includerebbe partiti più di destra o socialmente conservatori (Olano, l’SASKA di Richard Sulik, e altri partiti minori), il che ne smorzerebbe la spinta socialmente progressista e di integrazione nell’UE.

Invece, una vittoria dello SMER-SSD – affiliato al PSE e al blocco S&D a livello europeo – era considerata con grande preoccupazione perché è un partito più nazionalista e socialmente conservatore, che critica il liberalismo politico-sociale e le politiche di Bruxelles4. In particolare, Fico ha condotto una campagna per porre fine agli aiuti militari all’Ucraina, sostenendo che l’Unione Europea dovrebbe cercare una soluzione diplomatica e negoziare un accordo di pace invece di inviare armi all’Ucraina. La Slovacchia è un piccolo Paese di circa 5,5 milioni di abitanti che, oltre a far parte dell’Unione Europea (dal 2004), è nell’Eurozona (dal 2009) e nella NATO (dal 2004). Gli osservatori hanno parlato di “Unione Europea sotto attacco da parte dei populisti filo-russi” perché temono che un governo guidato da Fico e dal suo partito SMER-SSD vedrebbe la Slovacchia unirsi all’Ungheria di Orbàn nello sfidare la linea politica della “coalizione Ursula” che guida l’Unione Europea e che deve fronteggiare la crescente “stanchezza” di parte delle opinioni pubbliche europee sul sostegno finanziario e militare all’Ucraina5.

Un fronte che potrebbe essere rafforzato se il partito nazionalista conservatore Diritto e giustizia (PiS) vincesse le elezioni in Polonia il 15 ottobre. Sebbene la Polonia sia uno dei maggiori sostenitori militari e politici dell’Ucraina, abbia accolto 1,6 milioni di rifugiati ucraini e sia il più anti-russo e fedele alleato europeo degli Stati Uniti (con un budget militare pari al 5% del PIL), proprio in queste settimane il governo polacco ha scambiato colpi con Kiev sull’importazione di grano, semi oleosi e altri prodotti agricoli ucraini a basso costo. La controversia è emersa dopo che l’UE ha deciso di revocare il divieto su tali importazioni nel mercato comune europeo. Varsavia, insieme a Bratislava, Budapest, Bucarest e Sofia, ha dichiarato di voler ripristinare il divieto per tutelare gli interessi degli agricoltori polacchi (lo zoccolo duro del consenso elettorale del PiS), i cui profitti sono minacciati dal calo dei prezzi causato dell’import di grano ucraino. A seguito di tale controversia, il governo polacco è arrivato a mettere in dubbio anche la sua disponibilità a continuare ad inviare armi all’Ucraina, e a minacciare di vietare altre importazioni dal suo vicino6.

Fico ha sfruttato l’insoddisfazione nei confronti di una litigiosa coalizione di centrodestra, il cui governo è crollato l’anno scorso, innescando le elezioni con sei mesi di anticipo. Durante la campagna elettorale, ha sottolineato la preoccupazione per l’aumento del numero di migranti che passano attraverso la Slovacchia verso l’Europa occidentale. Le opinioni di Fico riflettono i sentimenti tradizionalmente favorevoli nei confronti della Russia di molti slovacchi, che hanno acquisito forza sui social media da quando è iniziata la guerra in Ucraina7. La Slovacchia ha forti legami storici ed economici con la Russia (ha anche comprato il vaccino russo Sputnik V per contrastare il CoVid-19), e questo ha influenzato l’opinione pubblica slovacca sulla guerra in Ucraina. Un sondaggio ha rivelato che una parte significativa degli slovacchi attribuisce la responsabilità dell’invasione russa all’Ucraina o all’Occidente. Questo legame con la Russia ha anche avuto impatti economici, con la Slovacchia che importava la maggior parte della sua energia dalla Russia. Il conflitto ha ampliato le divisioni esistenti, costringendo le persone a schierarsi. Fico e SMER hanno cercato di ritrarre il sostegno a Kiev come antipatriottico. Secondo gli osservatori, il Paese è stato investito anche da una ”ondata” di disinformazione russa sui social media che avrebbe avuto un ruolo significativo.

Fico ha cavalcato l’onda del consenso e si è impegnato a porre fine alle forniture militari all’Ucraina e a lottare per colloqui di pace. Durante tutta la campagna elettorale, Fico ha dichiarato che il suo governo fornirà aiuti umanitari e adempirà ai suoi obblighi finanziari nei confronti dell’Ucraina, ma non fornirà più sostegno militare all’Ucraina perché questo “ha solo prolungato il conflitto“. Si è anche impegnato a lottare contro le sanzioni che danneggiano più l’UE che la Russia“. “Dovranno comunque sedersi e trovare un accordo“, ha detto Fico dei combattenti. “La Russia non lascerà mai la Crimea, non lascerà mai i territori che controlla“. Ha criticato le sanzioni contro la Russia, chiedendo un riavvicinamento dell’Unione Europea con Mosca quando la guerra finirà e promettendo di porre il veto all’adesione dell’Ucraina alla NATO se mai si presentasse questa possibilità8. Una linea vicina a quella del leader ungherese, Viktor Orbàn (che si è congratulato con Fico e ha sostenuto che “È sempre bello lavorare con un patriota”) , il cui partito Fidesz è stato costretto ad abbandonare il blocco del PPE, ma respinta dall’Ucraina e dai suoi alleati, che sostengono che ciò non farebbe altro che incoraggiare la Russia.

Molti commentatori mainstream interpretano la vittoria di Fico come un ulteriore segno di erosione del sostegno per l’Ucraina in Occidente mentre la guerra si trascina senza che se ne veda la fine e la linea del fronte rimane in gran parte statica alla vigilia di un altro freddo inverno. Temono che se Fico decidesse di mantenere questa linea potrebbe creare un precedente potenzialmente allettante per altri Paesi europei e aprire alla creazione di un blocco filorusso nelle istituzioni europee, spingendo altri Paesi che hanno sostenuto l’Ucraina a riconsiderare le proprie posizioni, creando un effetto domino, influenzando decisioni cruciali sulla politica estera, come l’approvazione di nuove sanzioni, che richiedono l’unanimità dei Paesi membri. Anche approvare ulteriori aiuti all’Ucraina rischia di diventare sempre più complicato.

Non è del tutto chiaro se Fico metterà in atto le sue promesse politiche una volta al governo (dovrà fare i conti con il partner HLAS che sostiene il mantenimento del sostegno militare all’Ucraina). In passato ha fatto dichiarazioni simili senza farle seguire da politiche coerenti. Ad esempio, nel 2016, ha chiesto all’UE di revocare le sanzioni contro la Russia solo per sostenerle nei forum dell’UE. Nei suoi tre precedenti incarichi come premier – dal 2006-2010 e dal 2012-2018 – Fico ha dimostrato di essere un attore pragmatico sulla scena europea e transatlantica, senza mettere in discussione gli obblighi del Paese nei confronti né dell’UE né della NATO. È un navigatore tra posizioni mainstream, pro-UE e una retorica ferocemente nazionalista e antioccidentale destinata principalmente al consumo interno. Ha dimostrato di essere più che disposto a cambiare rotta a seconda dell’opinione pubblica o della realtà politica. Ma un governo slovacco guidato da lui non è certamente una buona notizia per l’Ucraina.

Il coming back di Fico dopo la caduta

Robert Fico è nato in una famiglia operaia, ma di professione è avvocato. Ha iniziato la sua carriera politica da attivista giovanile comunista e poi si è ridefinito socialdemocratico dopo la caduta della cortina di ferro. È stato rappresentante della Slovacchia presso la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) dal 1994 al 2000 e ha fondato il suo partito di centrosinistra SMER-SSD nel 1999 dopo che gli era stato rifiutato un incarico ministeriale dalla Sinistra Democratica (SDL), l’erede politico del partito comunista. SMER-SSD ha ottenuto una vittoria schiacciante nel 2006, catapultando Fico alla carica di primo ministro due anni dopo l’adesione della Slovacchia all’UE. Nel 2009 ha guidato il suo paese nell’Eurozona, ma l’anno successivo non è riuscito a formare una coalizione nonostante avesse vinto le elezioni. Ha ottenuto un’altra vittoria schiacciante nel 2012 dopo la caduta di una coalizione di centrodestra per accuse di corruzione, e ha vinto di nuovo nel 2016 – ma ha dovuto dimettersi due anni dopo in mezzo alle proteste di massa per l’omicidio di un giornalista investigativo e della sua compagna.

Tra il 2006-2010 e il 2018 ha gestito la rinascita del Paese dopo il crollo del “socialismo reale”. Una rinascita che è stata resa possibile sia dagli investimenti tedeschi che hanno acquisito e integrato le strutture industriali slovacche nelle catene di fornitura del sistema industriale tedesco, sia dai generosi aiuti che sono arrivati (e continuano ad arrivare) da Bruxelles – dal 2014 al 2020 15,3 miliardi di euro – per ammodernare le reti infrastrutturali ed energetiche e ristrutturare il sistema produttivo agricolo e industriale.

Questo flusso di fondi europei è stato gestito con scarsa trasparenza, dando vita a fenomeni di corruzione, a truffe e a infiltrazioni della criminalità organizzata (frutto di commistioni tra politica nazionale, corruzione e mafie). Si è parlato a lungo di legami tra ‘ndranghetisti, oligarchi e politici che erano stati denunciati dal giornalista Jàn Kuciak, ucciso insieme alla sua compagna Martina Kušnírová. Al momento del suo assassinio, Kuciak stava indagando sulla corruzione all’interno del governo e nella cerchia di Fico.

È stato a seguito del loro assassinio che si sono scatenate proteste di massa contro la corruzione. È nato il movimento popolare di protesta civica filo-europea Progresisme Slovensko (PS) che ha portato alla caduta del governo di Robert Fico nel 2018, alla vittoria nel giugno 2019 dell’avvocata dei diritti umani, europeista e leader del movimento anticorruzione Zuzana Čaputová alle elezioni presidenziali (con il 58% dei voti) e alla vittoria di PS alle elezioni europee. Peter Pellegrini, all’epoca membro dello SMER-SSD, prese il posto di Fico e guidò il governo fino alle elezioni del 2020.

Fico ha evitato di finire in prigione perché il parlamento non è riuscito ad approvare (per due soli voti) una mozione volta a sospendere la sua immunità mentre era indagato per accuse di criminalità organizzata e abuso di potere (accuse poi comunque respinte dal procuratore generale). Per gli omicidi di Kuciak e Kušnírová i pubblici ministeri hanno messo sotto accusa cinque persone, con il principale sospettato di essere il mandante, Márian Kočner, un imprenditore politicamente collegato, che è stato un soggetto chiave negli articoli di Kuciak sulla corruzione e il clientelismo nel Paese. Con due sentenze (settembre 2020 e maggio 2023) in due processi Kočner è stato poi assolto. I tribunali hanno affermato che “non è stato dimostrato” che Kočner fosse la mente degli omicidi. Tuttavia, la collaboratrice di Kočner, Alena Zsuzsova, è stata giudicata colpevole per il suo ruolo negli omicidi e condannata a 25 anni di prigione. Il caso non è ancora chiuso, poiché l’accusa e gli imputati possono ricorrere in appello. Per entrambi gli imputati la Procura aveva chiesto l’ergastolo9.

Alle elezioni parlamentari del 29 febbraio 2020, il PS non aveva ottenuto alcun seggio, mentre la vittoria (25%) era andata al partito europeista della Gente Comune (Olano) di centro-destra (nel PPE) che aveva intercettato la protesta anticorruzione di elettori arrabbiati contro lo SMER-SSD (18,3%). Olano era guidato da Igor Matovič, un eccentrico milionario ed ex proprietario di un gruppo dell’informazione, che ha formato un nuovo governo (marzo 2020-marzo 2021) sostenuto da una coalizione di partiti di centro-destra (Olano, Sme Rodina, SaS e Za ľudí). Un governo litigioso e caotico quello di Matovič. Si è dimesso il 1° aprile 2021 per essere nominato vice primo ministro e ministro delle finanze nel governo di centrodestra guidato da Eduard Heger (un uomo d’affari, devoto cattolico carismatico, antiabortista e convinto sostenitore dell’Ucraina nella sua difesa contro l’invasione russa10, membro di Olano, fino al 7 maggio 2023. La coalizione di centrodestra si è dimostrata assai litigiosa e il crollo del governo a metà dicembre 2022 ha innescato le elezioni con sei mesi di anticipo. Da allora il Paese è stato governato da un governo tecnocratico guidato da Ľudovít Ódor, governatore della banca centrale, che lo ha portato alle urne.

I cinque anni di instabilità politica vissuti dal Paese hanno offerto a Fico un’opportunità per un coming back e gli hanno dato una nuova motivazione per conquistare il potere. La ragione del suo ritorno non è stata tanto la guerra in Ucraina, quanto la volontà di elettori arrabbiati, disillusi e risentiti per il fallimento delle forze politiche di centrodestra che cercavano un leader o un campione del loro scontento.

Un Paese industriale ma in grande sofferenza sul piano sociale

Annunciata come la “tigre dei Tatra” all’inizio degli anni 2000 a causa della sua rapida crescita, anche l’economia della Slovacchia oggi è in affanno. Il suo PIL pro capite la colloca in fondo alla classifica dell’area euro, insieme a Lettonia e Croazia. È in testa alla classifica per un dato: l’entità del suo deficit di bilancio, che si prevede raggiungerà quasi il 7% quest’anno.

Fico ha promesso ai suoi elettori una svolta economica e una maggiore spesa sociale. Arrivarci non sarà possibile senza l’aiuto dell’UE, compresi i 6 miliardi di euro del fondo di ripresa (Recovery Plan) che Bruxelles ha stanziato per il Paese. Qualsiasi mossa volta a deviare dalla corrente principale in materia fiscale incontrerebbe una reazione negativa da parte degli investitori, facendo salire i costi di finanziamento della Slovacchia. In quanto membri dell’Eurozona, i leader del Paese non possono rivolgersi alla banca centrale nazionale per chiedere aiuto e possono essere facilmente “disciplinati” da Bruxelles e Francoforte.

Una gran parte della popolazione slovacca si è sentita emarginata dalla fine del regime comunista nel 1989 e da quando la Slovacchia è diventata uno Stato indipendente quattro anni dopo. Molti hanno perso il lavoro, hanno visto comunità un tempo stabili frammentarsi e rassicuranti certezze ribaltate. Decenni dopo, gli anziani slovacchi lottano con pensioni misere e un’assistenza sanitaria frammentaria. C’è una profonda nostalgia. Le aspettative di molti nei confronti della democrazia e dell’economia di mercato si sono rivelate vuote, sono disillusi.

La Slovacchia, come gli altri Paesi dell’Europa Orientale (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria, Estonia, Lettonia e Lituania), dopo aver subito negli anni ’90 gli shock-therapy transition programs, con cui è passata dal “socialismo reale” al “capitalismo oligarchico”, oggi fa parte dell’Unione Europea (l’allargamento ad est dell’Unione Europea è avvenuto nel 1999 e nel 2004), ha vissuto anni di rapida crescita economica e piena occupazione, basando la propria competitività su bassi salari di una forza lavoro industriale disciplinata e qualificata e basse tasse per le imprese. Per attrarre gli investimenti delle multinazionali europee e internazionali, oltre a tasse basse o vicine allo zero e ad un basso costo del lavoro, la Slovacchia ha fornito aiuti: la copertura fino al 35% degli investimenti e un contributo fino a 30 mila euro per ogni dipendente assunto. In questo modo, la Slovacchia è stata destinataria di rilevanti investimenti ed esternalizzazioni industriali per la produzione sia di auto sia di componenti industriali a basso costo da parte delle grandi imprese metalmeccaniche europee, soprattutto tedesche.

Dopo aver rilevato le fabbriche Škoda già nel 1991, la Volkswagen ha puntato molto sulla capacità produttiva slovacca, approfittando del traffico di perfezionamento passivo. Una procedura codificata dal diritto europeo nel 1986, analoga a quella americana che ha consentito lo sviluppo delle maquiladoras messicane, che autorizza la temporanea esportazione di un bene intermedio o di componenti verso un Paese non membro in cui avviene la trasformazione, l’assemblaggio – il perfezionamento – prima di essere reimportato nel Paese di origine beneficiando di una parziale o totale esenzione dai dazi doganali. Poi, ha beneficiato dei 10 anni di “vacanze fiscali” offerte nel 2001 dal governo liberale di Mikuláš Dzurinda e, soprattutto, di una manodopera economica, qualificata e scarsamente rivendicativa. Nel 2016, gli operai slovacchi dell’allora primo gruppo automobilistico mondiale avevano assemblato quasi 400 mila veicoli per diversi marchi (specialmente i modelli più prestigiosi: Porsche Cayenne, Audi Q7 o Volkswagen Touareg), quasi esclusivamente destinati all’export verso l’Europa occidentale, la Cina, l’India o gli USA.

Tra il 2000 e il 2019, i nuovi modelli del gruppo Volkswagen, seguiti dall’arrivo di PSA Peugeot Citroën e di KIA, hanno portato la produzione da 200 mila a due milioni di automobili all’anno. La VW, con il solo marchio Škoda ne ha prodotte circa 1,4 milioni nel 2019, di cui 300 mila nel nuovo stabilimento di Kvasini, progettato per auto elettriche e ibride. Da sola, la Škoda auto produce il 5% del PIL, ma la cifra reale è di molto superiore considerando l’indotto (circa 150 persone lavorano nel settore auto). La fabbrica di Jaguar Land Rover, costruita a Nitra con il contributo di 125 milioni di euro garantiti dal governo slovacco (e per questo è stata sotto la lente della Commissione UE per aiuti di Stato), ha assemblato 150 mila Discovery 4×4 all’anno dal 2018 (una scelta del gruppo indiano Tata tesa a contrastare i potenziali effetti negativi della Brexit).

Nonostante una produttività pari a quella dei colleghi tedeschi, i lavoratori di Volkswagen Slovacchia guadagnano in media tre volte meno: i circa 700 euro al mese a inizio carriera a Bratislava (nel terzo più grande stabilimento industriale della VW, dopo Wolfsburg e Barcellona) corrispondono a 2.200 euro degli operai di Wolfsbourg, a 600 km di distanza.

Consapevoli della disparità, dopo anni di acquiescenza e passività sindacale, i 12.500 dipendenti della Škoda si sono autorganizzati, sostituendo la vecchia dirigenza del sindacato, e hanno scioperato per sei giorni nel giugno 2017 (il primo grande sciopero nel settore privato dal 1989), rivendicando un aumento salariale del 16%, definito dal portavoce di Volkswagen in Slovacchia “una richiesta irresponsabile”. Alla fine hanno ottenuto una maggiorazione del 14,1% su due anni, accompagnata dalla revisione delle griglie salariali, da un premio immediato di 500 euro e da un giorno aggiuntivo di ferie. Conquiste operaie che non hanno certo messo in crisi l’azienda, considerando la vendita di 1,2 milioni di vetture con marchio Škoda e gli 1,6 miliardi di euro di profitti che ha realizzato nell’anno successivo e che rappresentavano il 17% di quelli totali del segmento auto della VW. Il margine operativo del 9,7% della Škoda è il doppio di un tipico marchio del mercato di massa ed è più profittevole del marchio VW Audi e secondo solo a quello Porsche.

Nell’impianto della KIA, sempre nel 2016, i dipendenti hanno ottenuto un aumento dell’8,8%, mentre anche gli operai della PSA Peugeot Citroën si sono organizzati per aprire una vertenza. Complessivamente, nella Slovacchia circa 250 mila persone, con l’indotto di oltre 200 aziende, lavorano per il settore auto che oggi rappresenta il 47% dell’intero settore industriale nazionale con la produzione di auto più alta del mondo pro capite.

Un Paese industriale, ma il 75% degli investimenti nell’industria è nelle mani di imprese straniere – oltre ai veicoli prodotti dagli stabilimenti Volkswagen, Stellantis, Kia e Jaguar Land Rover, ci sono quelli di numerosi marchi tedeschi che operano nella componentistica -, per cui il suo futuro dipende dalle loro decisioni sulla produzione dei veicoli elettrici (che richiedono meno componenti e quindi anche meno lavoratori) e sulla capacità di continuare ad offrire manodopera qualificata e a prezzi competitivi.

In Slovacchia, un Paese che negli ultimi anni ha utilizzato i fondi strutturali europei (15,3 miliardi di euro dal 2014 al 2020) soprattutto per realizzare nuove infrastrutture (strade, reti idriche, etc.), ma dove il brutale smantellamento dell’economia “socialista” dopo il 1989 ha determinato condizioni catastrofiche nelle scuole, nell’edilizia popolare pubblica e negli ospedali, disgregato lo stato sociale e reso diffusi elevati livelli di disoccupazione e povertà (solo nel 2007 il PIL è tornato ai livelli del 1989), il salario minimo è fissato a 580 euro.

I rom sono stati le principali vittime della scomparsa dei lavori poco qualificati nel settore agricolo o nel tessile. Sono circa 500 mila (su 5,4 milioni di abitanti), una delle comunità rom più grandi d’Europa, e vivono discriminati e ghettizzati soprattutto nelle regioni orientali più povere. Rappresentano una quota importante dei disoccupati di lunga durata. Devono cavarsela con un sussidio di circa 70 euro al mese (che raddoppia in cambio di 17 ore da destinare a lavori di pubblica utilità). Gli uomini e le donne rom hanno un’aspettativa di vita inferiore di 7,5 e 6,6 anni rispetto alla popolazione generale slovacca. Secondo gli studi più recenti, meno di uno su cinque tra gli over 16 rom ha un lavoro. Gli attivisti sociali sostengono che questa marginalizzazione socioeconomica è alimentata dal sistema educativo. I bambini rom sono inseriti in classi speciali per quelli con “disabilità mentali” sulla base di presunti test diagnostici effettuati in lingua slovacca anziché in lingua rom. In sostanza, l’attuale sistema scolastico in Slovacchia equivale a poco meno di una apartheid in cui i bambini rom sono sistematicamente separati dal sistema scolastico tradizionale e condannati a scarsi risultati scolastici e alla povertà. Ciò ha portato all’annuncio della Commissione Europea di voler deferire la Slovacchia alla Corte di Giustizia Europea per diffuse violazioni delle direttive sull’uguaglianza.

La Slovacchia, al suo ingresso nell’Unione Europea nel 2004, è stato il primo Paese dell’OCSE a istituire una flat tax generalizzata: il 19%, sia sugli utili delle società sia sul reddito o sui beni di consumo. L’assenza di una progressività delle imposte ha prodotto una rapida esplosione delle disuguaglianze, riportando all’ordine del giorno la “questione sociale”. I socialdemocratici (SMER-SSD), che hanno saputo appropriarsene, hanno vinto le elezioni (nel 2006, 2012, 2016, 2023) anche alleandosi con diverse organizzazioni nazionaliste, ma non hanno mai messo in discussione i “vantaggi comparati” del proprio Paese sul piano salariale e sono stati in grado di realizzare solo modeste modifiche al modello neoliberista imposto all’ingresso nell’Unione Europea. Ora l’imposta sul reddito è sottoposta a due tassi – il 19% e il 25% -, i prodotti alimentari hanno una tassazione ridotta (il 10%), i negozi chiudono nei giorni festivi, si disincentivano i contratti brevi e viene versata una minima indennità di fine rapporto, si è mantenuto l’accesso gratuito all’università (che però è fortemente sottofinanziata), studenti e pensionati possono usufruire gratuitamente dei trasporti pubblici.

Si stima che quasi 150 mila slovacchi, ossia il 6,1% della popolazione attiva, abbiano un lavoro frontaliero, mentre almeno 300 mila siano espatriati, in molti casi sono persone giovani che hanno titoli di studio superiori, sono cresciuti nelle città più grandi e parlano diverse lingue. Secondo l’OCSE, il 19% degli studenti lascia la Slovacchia per studiare all’estero, rispetto alla media UE del 4%. In alcune facoltà dell’Università Masaryk di Brno, ad esempio, ci sono più studenti slovacchi che ceci. Molti di questi giovani istruiti e talentuosi non torneranno a casa. Considerano lo studio all’estero come un biglietto per la vita all’estero.

Alessandro Scassellati

  1. Diversi esperti hanno notato che una delle grandi sorprese delle elezioni è stato il fallimento del partito di estrema destra Republika, a lungo considerato un potenziale partner dello SMER, nel superare la soglia del 5% per un seggio in parlamento, nonostante i sondaggi si attestassero tra il 7% e il 10% per gran parte dell’anno.[]
  2. Tuttavia, dato che Bratislava ha già consegnato tutto ciò che le sue forze armate potevano dare dal punto di vista militare, le affermazioni di Fico non rappresentano una grande minaccia. La Slovacchia è al 19° posto in termini di aiuti all’Ucraina, un gradino dietro l’Austria neutrale. Più praticamente, le buone strade e ferrovie della Slovacchia sono importanti per le forniture di armi e aiuti dei Paesi della NATO dirette a Kiev al di là dei circa 100 km di confine tra i due Paesi, e un gasdotto fondamentale corre attraverso i suoi campi e le montagne fino a Kiev. Infine, la Slovacchia ha un apparato industriale che produce munizioni.[]
  3. I precedenti governi SMER hanno introdotto una serie di leggi regressive e un anno fa due persone sono state uccise a colpi di arma da fuoco fuori da un gay bar popolare a Bratislava da un estremista di destra in un attacco esplicitamente omofobo. Fico ha criticato il matrimonio tra persone dello stesso sesso e ha definito una “perversione” l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. È ferocemente contrario all’immigrazione e rifiuta “una distinta comunità musulmana in Slovacchia”. È stato anche la voce più importante del Paese contro le mascherine, i blocchi e la vaccinazione durante la pandemia di CoVid-19.[]
  4. Lo SMER è stato il primo partito ad essere sospeso dal Partito dei socialisti europei (PSE) per dieci mesi nel 2006, in risposta al suo governo di coalizione con il Partito nazionale slovacco di estrema destra. Lo SMER è stato anche minacciato di sospensione nel 2015 a causa della retorica anti-migranti di Fico. Da allora, il PSE ha dato un sostegno misto allo SMER, date le sue radici socialiste e la necessità di quattro eurodeputati che il partito porta al Gruppo dei Socialisti e Democratici Europei (S&D) al Parlamento europeo. Questo anche se Fico era stato abbandonato durante le proteste di massa scoppiate nel 2018 in seguito agli omicidi del giornalista investigativo Ján Kuciak e della sua compagna, Martina Kušnírová. Prima delle elezioni, la presidenza del PSE ha rivelato in un comunicato di aver discusso con lo SMER le sue preoccupazioni riguardo alle posizioni dichiarate da Fico e ha sottolineato l’importanza di difendere i valori socialdemocratici, tra cui la democrazia, il rispetto del diritto internazionale, l’opposizione all’aggressione russa all’Ucraina e il sostegno per valori progressisti all’interno di tutti i partiti membri del PSE. Dopo la vittoria Fico ha dichiarato in un video pubblicato su social network che non cambierà la sua retorica sull’Ucraina anche a costo di “pagare il prezzo” dell’esclusione dal gruppo socialista dell’UE a cui è affiliato il suo partito, dopo che il leader dei socialisti europei Stefan Löfven ha minacciato di espellerlo.[]
  5. È bene ricordare che Slovacchia e Ungheria, insieme a Polonia e Repubblica Ceca fanno ancora parte del “Gruppo di Visegrád”. Il gruppo è entrato in crisi con la guerra della Russia in Ucraina, dal momento che l’Ungheria non ha rotto con la Russia di Putin, mentre gli altri Paesi si sono schierati attivamente in favore dell’Ucraina. Inoltre, Slovacchia e Ungheria fanno parte sia della “coalizione dei Tre Mari” (che mette assieme Paesi del Baltico-Adriatico-Mar Nero: Polonia, Bulgaria, Croazia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Austria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania ed Ungheria) sostenuta dagli Stati Uniti, sia del gruppo commerciale a guida cinese “17+1” che raggruppa 12i Paesi dell’Unione Europea (Grecia, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Lettonia, Lituania ed Estonia) e 5 Paesi dell’Europa centro-orientale che non fanno parte della UE (Albania, Bosnia-Erzegovina, Repubblica di Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) che hanno firmato con la Cina importanti accordi sulle infrastrutture, consolidando l’influenza cinese in Europa. La crescente attenzione cinese al quadrante sudorientale europeo (soprattutto in Serbia, Croazia e Montenegro) punta ad inserirsi nella costruzione o nella modernizzazione di infrastrutture strategiche.[]
  6. La retorica ostile del governo polacco riflette il desiderio del PiS di assicurarsi il sostegno degli elettori rurali e dei nazionalisti estrema destra al fine di aumentare le proprie possibilità di ottenere una maggioranza effettiva alle urne. In questo contesto – e data l’avversione di lunga data e radicata dei polacchi nei confronti della Russia – è improbabile che il disaccordo con Kiev si traduca in una drammatica svolta nella politica estera polacca.[]
  7. Durante la campagna elettorale Fico ha elogiato l’Unione Sovietica per aver liberato le terre ceche e slovacche dalla Germania nazista alla fine della Seconda guerra mondiale. “Ci hanno liberato, dovremmo mostrare un po’ di rispetto”, ha detto. “Dobbiamo dire al mondo intero che la libertà viene dall’est, la guerra viene sempre dall’ovest”.[]
  8. È bene ricordare che tra il 1997 e il 2013, vennero reclutati nei ranghi dell’Unione Europea e della NATO Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Slovenia, Slovacchia, Romania, Croazia, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca (poi nel 2020 è entrata la Macedonia del Nord e nel 2023 la Finlandia, con la Svezia che dovrebbe entrare a breve), nonostante che tra la fine degli anni ’80 e il 1991 Ronald Reagan, George H. W. Bush e il Segretario di Stato James Baker avessero concordato con Michail Gorbačëv l’adesione alla NATO della Germania riunificata in cambio della rinuncia americana ad estendere la NATO ad est. Baker aveva rassicurato Gorbačëv a Mosca: “Se manterremo una presenza in Germania che farà parte della NATO … non ci sarà nessun allargamento dell’alleanza verso est, … nemmeno di un pollice.” Invece, la NATO è stata rafforzata ed allargata verso est nei 30 anni trascorsi da allora, approfittando della debolezza della Russia tra gli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. La promessa di non allargare la NATO è stata infranta, attaccando la Serbia nel 1999 e sostenendo le “rivoluzioni colorate” contro i regimi autoritari filorussi in alcuni Paesi ex-sovietici. Oggi, la frontiera della NATO con la Russia comprende, oltre allo storico piccolo tratto con la Norvegia, i 1.340 km della Finlandia, gli Stati baltici, ex territori sovietici che si trovano a meno di 200 km da San Pietroburgo e a 600 km da Mosca. Degli 8 Stati che facevano parte del Patto di Varsavia, 7 sono entrati nella NATO, mentre sul tavolo c’è sempre la promessa di far entrare Ucraina e Georgia.[]
  9. Altri tre imputati sono stati precedentemente giudicati colpevoli e condannati a dure pene detentive. Uno di loro, l’ex soldato Miroslav Marček, si è dichiarato colpevole di aver sparato a Kuciak e Kušnírová ed è stato condannato a 23 anni di carcere nell’aprile 2020. I pubblici ministeri hanno affermato che Kočner ha pagato Marček per eseguire gli omicidi. Nel frattempo Kočner è stato condannato a 19 anni di carcere in un caso separato di falsificazione di documenti, mentre Zsuzsova ha ricevuto 21 anni di carcere per il suo ruolo nell’uccisione di un sindaco. Tali verdetti sono definitivi.[]
  10. La Slovacchia ha fornito importanti forniture di armi, compreso il suo unico sistema missilistico S-300 all’Ucraina, e Heger ha personalmente esercitato pressioni sui leader dell’UE per l’adesione dell’Ucraina all’UE. Al World Economic Forum di Davos, Heger ha spiegato che il suo sostegno all’Ucraina era dovuto alla sua convinzione che se l’Ucraina fosse stata lasciata cadere, la Slovacchia sarebbe stato il prossimo Paese ad essere invaso dalla Russia. Nel febbraio 2023, Heger si era dichiarato disposto ad inviare truppe da combattimento professionali slovacche a combattere in Ucraina.[]
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