Il governo giapponese ha deciso di scaricare nell’Oceano Pacifico l’acqua contaminata da isotopi radioattivi impiegata per raffreddare i reattori danneggiati della centrale nucleare di Fukushima, per una quantità stoccata di 1,23 milioni di tonnellate, alla quale si aggiungono, ogni giorno, altre 140 tonnellate. Lo scarico delle acque comincerà tra due anni e durerà un periodo indefinito, anche di molti anni. Questo senza che, facendo tesoro dell’esperienza, lo stesso governo abbia messo in discussione la scelta del nucleare.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) (la stessa che non aveva segnalato alcun pericolo, né prima che ci fosse l’incidente di Cernobyl, né prima del, pur prevedibile, disastro di Fukushima), ha dichiarato che non ci sarebbe alcun pericolo e che il rilascio dell’acqua contaminata nell’Oceano Pacifico. Che ciò sarebbe in linea con gli standard internazionali dell’industria nucleare: il trizio sarebbe presente, in tracce consentite, così come è presente nello scarico di acque di raffreddamento di altre centrali nucleari tutt’ora funzionati! Il principio della scelta è quello della grande possibilità di diluizione offerta dall’Oceano Pacifico. Tuttavia, la diluizione non diminuirà il problema, al contrario rischia di trasformarlo in un inquinamento radioattivo di tipo cronico. In effetti la diluizione non è affatto indicata per tutti quegli inquinati, persistenti e bioaccumulabili come alcune sostanze chimiche o come gli isotopi radioattivi.
Una valutazione come questa non andrebbe fatta dalla AIEA, ma da organismi esperti (indipendenti dal settore nucleare), in grado di fare valutazioni sulla tutela della sicurezza e della salute, per l’ambiente marino e per tutti degli esseri viventi.
Va ricordato, in proposito che l’ambiente marino è tutelato da una Convenzione delle Nazioni Unite (UNCLOS, 1994) che obbliga gli Stati a prevenire l’inquinamento in particolare “il versamento di sostanze tossiche, dannose o nocive, in particolare quelle non degradabili” (art.194). Autorizzare sversamenti di inquinanti a mare crea precedenti, incoraggia futuri scarichi e alimenta una catena di inquinamento pericolosa per la vita degli oceani. Per assurdo, un domani, Cina, Russia, USA e qualunque altro paese con centrali nucleari potrebbe decidere di portare le proprie barre radioattive in mare aperto, al di fuori dei confini giuridici nazionali e abbandonarle lì. Una soluzione troppo facile ed economica per non approfittarne!
Il gestore della centrale, la Tokyo Electric Power (Tepco), ha dichiarato che le acque subiranno un sistema di filtraggio, ma, ammettendo che tale sistema sarà in grado di filtrare solo in parte il Trizio, isotopo radioattivo a basso peso molecolare e con un tempo di semivita relativamente basso (12,3 anni), non ha dato informazioni sufficienti sulla presenza nello scarico finale di altri isotopi radioattivi (come ad esempio il rutenio, il cobalto, lo stronzio o il plutonio).
Va quindi sottolineato che, considerando la presenza anche minima degli isotopi pesanti con un periodo di dimezzamento lunghissimo, si avrebbero comunque tutti quei fenomeni di accumulo nei fondali marini, e soprattutto si avrebbero quei fenomeni di “magnificazione” lungo la catena trofica. Cioè quella progressiva concentrazione dell’inquinante a partire dagli organismi vegetali sino ad arrivare ai predatori più grandi. E siccome nei mari tutto e connesso, dal Pacifico fino al Mediterraneo, prima o dopo ci troveremmo a mangiare merluzzo o tonno radioattivo in qualunque parte del mondo in cui ci troveremo a vivere!
In questi dieci anni dall’incidente potevano essere trovate soluzioni migliori, magari cercando di ridurne i volumi attraverso una evaporazione forzata, lasciando le acque rimanti in depositi confinati a terra. Forse sarebbe più costoso per lo spazio occupato e per la necessità di una lunga e continua gestione e manutenzione, ma comunque più sicuro.
Per ora hanno fatto sentire le loro forti proteste solo Cina e Corea. Che dice l’Unione Europea? Ancora nulla! Forse perché ancora in Europa sono presenti gruppi economici che puntano sul nucleare? Forse, perché coloro che, anche in Italia, agitando il miraggio della “fusione nucleare” come soluzione alla crisi climatica, lavorano per accreditare la “fissione nucleare sicura” come necessario passaggio in attesa della mitica “fissione”, cercando così di inserirsi nel banchetto per la spartizione delle risorse del PNRR?
Per questo serve una forte mobilitazione livello internazionale, sia per fermare questo disastro, sia per far uscire tutti i paesi del mondo dal nucleare.