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Le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra

di Anna
Camposampiero

Forse sono finiti i cent’anni di solitudine per una terra che l’autore di questa frase, Gabriel Garcia Marquez, diceva irrigata dal sangue. Il 19 giugno 2022 la Colombia ha visto un risultato storico, non per nulla la formazione politica che ha portato Gustavo Petro ad essere presidente e Francia Marquez prima vice presidente donna afro discendente e femminista, si è data come nome Pacto Historico. Una ricerca di unità che ha portato al voto quasi il 60% dell’elettorato. Una partecipazione altissima. Non solo per gli standard colombiani. Ma il successo non si costruisce solo con le parole o le promesse.

Tra il primo e il secondo turno l’accoppiata Petro&Marquez ha conquistato 2.753.245 voti in più rispetto al primo turno, quando sembrava che l’incredibile risultato non sarebbe stato sufficiente. Questo perché non c’era più nessuno con cui allearsi: il Pacto Historico ha raggruppato tutto, ma davvero tutto ciò che si muove a sinistra in Colombia. Occorreva portare al voto chi si era astenuto, e ci sono riusciti. Non è una vittoria di misura, anche se il distacco dal suo oppositore si aggira attorno a poco più di 700.000 voti (700.601 per l’esattezza) e per questo il neo presidente (che assumerà formalmente la carica il prossimo agosto) si è già mosso per invitare i suoi avversari al dialogo.

Gustavo Petro era arrivato al ballottaggio anche contro Ivan Duque nel 2018, con gli Accordi di Pace de La Habana del 2016 molto lontano dall’essere realizzati e che lo stesso Duque diceva di voler “riformare”.

Oggi ha vinto il “Gobierno de la Vida”, il governo della vita, in un paese dove la morte e la violenza sono quotidiane. Tre le grandi priorità: la pace, la giustizia sociale e la giustizia ambientale.

Le stesse parole d’ordine che hanno attraversato il paese durante il “Paro Nacional” iniziato il 28 aprile 2021 contro la riforma sanitaria proposta dal governo di Ivan Duque Marquez. Se ne è parlato poco, troppo poco, di un paese mobilitato, e represso con violenza, che ha tenuto testa e rilanciato rivendicazioni storiche.

La capacità di portare quella rabbia nelle urne e la consapevolezza che era giunto il momento di mettere da parte le divisioni: questa è stata la chiave di svolta.

La realtà colombiana è impregnata di un’oligarchia locale invischiata con il narcotraffico e il paramilitarismo, che usa un esercito corrotto e agli ordini dei potenti, e che è sostenuta dagli Stati Uniti che riversano quantità impressionanti di denaro nel paese, nel quale hanno ben 7 basi militari, e che dal 2018 è entrato nella Nato come “partner globale”.

Non dimentichiamo anche gli interessi europei, con l’Accordo di libero commercio rinnovato nel 2020, che mette la Colombia nell’ambito di fornitore di beni primari, come olio di palma e banane – con conseguente concentrazione di terre in poche mani, monoculture, sfollamento – e risorse minerarie, con l’aumento del chiamato “estrattivismo”, anch’esso all’origine dello sfruttamento massiccio dei territori, con scarso rispetto per l’ambiente.

Il popolo colombiano le ha provate tutte per reagire a questa situazione, foriera di 7.816.500 sfollati interni (su circa 50 milioni di abitanti), disuguaglianze inverosimili, omicidi selettivi di attiviste e attivisti e non solo: guerriglia, scioperi, mobilitazioni, competizioni elettorali.

Una cara amica del Partito Comunista Colombiano ha postato oggi una foto dei suoi genitori, scrivendo “Yira Castro, Manuel Cepeda: Cumplimos”. Ce l’abbiamo fatta.

Manuel Cepeda Vargas, senatore della Unión Patriótica (UP) fu assassinato in strada a Bogotà nel 1994 da gruppi paramilitari nell’ambito dello sterminio della UP che ha visto uccidere 5.733 appartenenti al partito tra il 1984 e il 2016. Nella frase della figlia di Manuel tutto il senso di questa vittoria.

Lo so che è una strada tutta in salita, che il nuovo presidente non ha la maggioranza al congresso, che i nemici sono potenti e non staranno a guardare, ma lasciamo sognare il popolo colombiano per un po’. Perché ha vinto la speranza, e senza quella non si fa nessuna rivoluzione.

Anna Camposampiero

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