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Le scale e il materialismo dialettico

di Giancarlo
Scotoni

Per circostanze familiari da circa 25 anni frequento una casa a Positano e se non posso vantare una appartenenza a questo luogo la mia consuetudine a esso è piuttosto solida. Ho usato il termine “luogo” perché con inarrestabile forza, anno dopo anno, Positano ha visto scomparire i suoi angoli più significativi che sono stati sostituiti da spacci per turisti. Spacci che vanno dalla botteguccia al lido esclusivo, ma sempre spacci. Mano a mano il paese si è indebolito, ridotto, mutato in immagine vuota di se stesso.

Così –giusto per dare un esempio- anch’io ho visto scomparire il bar da cui si poteva andare per ordinare il cappuccino e la ciambella fritta e poi portarsi la colazione a un tavolino tranquillo affacciato ben in alto sulla spiaggia grande, su Palazzo Murat  e sui Mulini. Dentro,un arredo da bar di paese e alle pareti qualche quadro (non brutto) regalato da amici e clienti. Fuori, gli ombrelloni di una volta – quelli slanciati e con la tela colorata. Se poi qualcuno non avesse trovato posto al tavolino che si trovava proprio per primo, scendendo per la strada, avrebbe potuto sedersi sul muretto accanto e restare lo stesso in compagnia. Al suo posto da qualche anno splende l’ennesimo reparto dell’industra del turismo, tutto bianco, azzurro e oro, con ombrelloni tecno da una tonnellata e mezza l’uno: uno stile che si potrebbe trovare ovunque, da Bankok (immagino) a Ibiza (torno a immaginare). E poi alacri camerieri, posti contingentati e consumazione obbligatoria. In tutta Positano resiste un solo locale in cui ci si può muovere come in un normale bar di paese. Si trova sulla statale, vicino alle fermate delle corriere… pullman… insomma la SITA. Forse è stato salvaguardato grazie al suo essere mezza stazione di posta, mezzo rifugio di positanesi. Forse è merito esclusivo del defunto proprietario e dei suoi figli. Ogni volta che ci entro sorrido e tengo le dita incrociate: lunga vita!

A stilarlo completo, l’elenco di sparizioni di luoghi sarebbe troppo lungo ed è tempo di passare a altro… Parliamo di barche? Del moltiplicarsi e disporsi in file ordinate delle boe di ormeggio? Un tempo i non troppo numerosi gozzi, motoscafi, gommoni, barche e barchette se ne stavano sparse casualmente davanti alla spiaggia di Fornillo; oggi è una modalità parcheggio di supermercato a essersi imposta. Un poco più in là poderosi yacht che fingono le linee dei motoscafi cabinati. Giocattoli pantografati su cui non si vede comparire anima viva: stanno lì, a qualche centinaio di metri dalla costa e la notte hanno file di lampadine sotto la linea di galleggiamento che illuminano il mare di luci bluaste o verdognole.

O vogliamo raccontare dei pizzicagnoli spariti? Oltre ai tre “palatone” (nome familiare di mestiere, immagino derivi dall’infornare pagnotte) si poteva contare su un’ottima latteria, sui due negozi della Chiesa Nuova e su un minuscolo locale che non conosce etichette dei prezzi perché, come mi  disse una volta il proprietario, essi fluttuano continuamente sulla base della quotazione del dollaro… Uno dei palatone chiuse qualche anno fa e nei suoi locali sono riusciti a trovare posto quattro diversi esercizi. Di questi, un piccolo, grazioso bar che ha deciso che fare caffè e aperitivi è volgare o forse semplicemente e inconfessabilmente poco remunerativo: ora promette di stupirvi con non precisate soprese… perdonerete chi scrive se ammette di non aver trovato il coraggio di sperimentare in cosa consistano. Un altro, sulla strada più frequenata di Positano, è ormai una gioielleria scadente che continua a vendere, comunque, alimentari. Per chiudere il cerchio, la latteria da quest’anno si è svegliata sotto le spoglie di scuola di cucina e quel poco che vi si può ancora trovare è materiale didattivo, cribbio!

E poi le spiagge con stabilimenti che offrono (io non riesco a crederci, mi sembra di raccontare fandonie) lettini e ombrellone a cifre che stanno abbondantemente sopra il migliaio di euro al giorno. Deve essere vero perché appaiono sempre quasi deserti. E poi i negozi di ricordini e quelli di abbigliamento che smerciano prodotti che per arrivare attraversano gli oceani. E poi i traghetti e i pullman che sfornano frotte di giornalieri, di visitatori a ore.

Ma soprattutto lo sguardo obliquo del commerciante che offrendovi una bottiglietta di acetone per le unghie o un pettine vi propone un prezzo di cinque o dieci volte superiore a quello corrente in ogni altro negozio oltre i cinque chilometri di distanza. Fuori dall’esercizio, il padre ormai in pensione e dal quale avete comprato il giornale per anni vi spiega con un certo orgoglio che così si deve fare quando si ha a che fare con clienti che dal negozio, anzi dal paese, passeranno una sola volta. Una pensata da master alla Bocconi.

Avrebbe potuto andare diversamente? Forse no. Eppure ha davvero il sapore della furbata l’aver riservato una fetta di spiaggia gratuita ai soli positanesi residenti. Un trucchetto che piacerebbe a un leghista: in pochi vogliono beneficiare dei profitti, ma gli altri possono sempre sentirsi compensati dal biglietto gratuito e –soprattutto- esclusivo. Qui stiamo solo noi e il signor ricco-colto-puzza-al-naso che possiede le case più belle e si frequenta con i suoi simili qui non ci può metter piede. E l’imprenditore nuovo che non è nè signore nè tantomeno colto capisce e conquista. C’è qualcosa di male? Così il passaggio dell’amministrazione comunale alla Lega c’è stato davvero. Forse non avrebbe potuto andar diversamente oppure, diciamocelo: sì, avrebbe potuto e dovuto andare proprio diversamente.

Insomma a Positano il felice godimento del bello è sotto costante attacco e se le lamentazioni e la memoria e la logica e il buon senso sono impotenti di fronte alla preponderanza dell’investimento e del profitto, rimane sempre l’esercizio della guerriglia.

Colpire dove il nemico è più debole, nei tempi e nei  territori che non controlla! Occorre giocare di anticipo e il bagno lo si va a fare alle sei di mattina; la spesa la si fa settimanale e altrove; e ci si allena a cercare lungo le interminabili scale la grazia degli scorci e delle proporzioni, le relazioni tra forma della roccia e forma delle case. E ancora molto si trova, perchè una bella casa la si può trasformare in una bomboniera assurda, ma le casette attorno sono troppe e poco remunerative.

Positano sono due valli che scolpiscono un contrafforte di monte Faito. Due-trecento metri di dislivello dal mare alle case dietro la Chiesa Nuova, uno dei pochissimi posti in piano dell’abitato. Più su si continua, verso Monte Pertuso e Nocelle fino ai 450 metri. Le scale di Positano hanno pendenze notevoli e sono disperatamente lunghe: i gradini si contano a centinaia e centinaia. La carrozzabile si snoda lungo le linee di livello, e da lì partono i rami di un albero di sentieri trasversali che inevitabilmente hanno preso la forma di scale.

Scalini talvolta altissimi, talvolta meno si susseguono in curve e svolte, si infilano sotto le case, si appianano contornando orti, certe volte si spengono davanti a un portone oppure sfociano sulla strada, per abbandonarla subito al di là della carreggiata e per tornare poi a immergersi di nuovo tra le case.

Scale e porte di case. Scale e giardini. Scale e facciate quasi sempre a sghimbescio. La curva è la figura geometrica che meglio serve a raccordare pendenze diverse. La curva che compare anche nel profilo di muretti, comignoli, tetti, archi di cancelli. Immaginate di costruire con sassi e con la minor quantità possibile di sabbia e malta: sistemate le pietre e il colmo è irregolare. Volete risparmiare materiale e lo suddividete in quote un poco diverse, magari accompagnando i gradini della scala o l’attacco di un altro manufatto ed ecco che con le mani spianerete una superfice convessa che si snoda a onda. La sobrietà della grazia di queste forme è incantevole.

Ma torniamo alla guerriglia. Percorrete queste strade fatte di gradini al mattino presto per andare a fare un magnifico bagno a mare. La spiaggia è deserta, gli stabilimenti sono chiusi. Il mare è più calmo di un lago e l’acqua è limpida e tiepida, riflette i rosa e i viola pallidi dell’alba, vi accarezza come un petalo. E vi trovate in una compagnia di elette: due o tre persone fanno come voi, anzi ve lo hanno insegnato. Ve lo hanno raccontato e voi avete ascoltato. A me non sorprende che siano donne, voi siete liberi e libere di pensare che si tratti di un caso; io penso che abbia a che vedere con la capacità di apprezzare la gioia.

Poi, durante il giorno, vi inventate qualche motivo per tornare per le scale. Un caffè nell’unico bar, ad esempio. Oppure andare a fare la spesa. Scegliete voi, trovate il vostro motivo e se il sole è alto e fa caldo, pazienza.

Dopo qualche giorno la salita è diventata meno faticosa e nella discesa riuscite a accompagnare meglio il vostro peso e le ginocchia protestano meno. Ve la godete di più questa gran tranquillità delle scale e i vostri occhi sono più capaci di cogliere il mutare delle prospettive e degli scorci. Le curve si stagliano meglio e l’interpretazione è più facile.

E’ una retorica del sacrificio? Per aspera ad astra? Ma no! E’ il piacere e la sua libera disciplina, dolce e seduttiva. E in fin dei conti, il contadino muratore che dava forma al parapetto, al colmo, all’arco, esauriva nella fatica e nel sacrificio il suo lavoro? Non credo: il risultato non avrebbe potuto essere così serenamente semplice e bello. E anche questa è una vittoria contro il lavoro, contro la fatica e contro la miseria.

Ma c’è un altro aspetto che credo sia conclusivo. Sulle scale incontrate gente. Positanesi che ancora vivono là (in tanti si vanno trasferendo nei paesi vicini per trasformare le loro abitazioni in case vacanze) e anche turisti. Non molti: le tre giapponesi, la coppia del nord europa, gli spagnoli, la madre con la bambina. Alcuni sono accaldati, alcuni trascinano valige. Alcuni –soprattutto alcune- sono vestite in modo che vuol essere elegante. Tra poco si confonderanno tra le innumerevoli che affollano la strada e diverranno indistinguibili: là avranno quasi solo difetti l’abito un po’ dozzinale, troppo o troppo poco petto, uno sguardo troppo o troppo poco interessato. Qui, nel libero territorio della guerriglia, sono tutte carine e, soprattutto, vi salutano, come tutti gli altri uomini o donne che siano. E voi salutate chiunque incrociate e lo guardate per un attimo in faccia, e questa –di questi tempi- è di per se una gran vittoria. E negli occhi dell’altro trovate spesso un guizzo, qualcosa che ve lo fa sentire compagno o compagna di … guerriglia.

Giancarlo Scotoni

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