Nel corso della sua prima legislatura 1979-1984 come assemblea eletta a suffragio universale e diretto e dunque agendo a nome delle cittadine e dei cittadini europei, il Parlamento europeo ha usato un potere costituente implicito che lo ha portato ad adottare il 14 febbraio 1984 il “progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea” e due poteri espliciti che lo hanno portato a respingere il 13 dicembre 1979 il progetto di bilancio per l’esercizio 1980 adottato dal Consiglio e a presentare il 22 settembre 1982 un ricorso in carenza contro il Consiglio CEE per la mancata attuazione della politica dei trasporti, come parte essenziale per la realizzazione del mercato interno, su cui il Trattato CEE prevedeva una scadenza vincolante alla fine del periodo transitorio.
In questo secondo caso, la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha emesso nel 1985 una sentenza di condanna del Consiglio CEE (13/1983) chiarendo che il compito di controllo politico del Parlamento europeo sulla Commissione e sul Consiglio non può subire limiti che lederebbero la sua posizione istituzionale.
Dal 1982 ad oggi il Parlamento europeo ha fatto sul piano formale dei passi in avanti dal punto di vista dei suoi poteri espliciti perché ha il diritto di proporre modifiche ai trattati, ha conquistato un posto sostanziale come autorità legislativa e condivide con il Consiglio dell’Unione il ruolo di autorità di bilancio con l’eccezione rilevante delle decisioni sulla politica fiscale anche se non ha mostrato la sua determinazione a usare fino in fondo i suoi nuovi poteri.
Come sappiamo, il Trattato di Lisbona ha ampiamente innovato il sistema europeo in materia di asilo e di immigrazione con l’obiettivo di stabilire una politica comune di asilo conformemente alle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, ha esteso all’immigrazione legale la procedura legislativa ordinaria che pone su un piano di uguaglianza il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione e ha reso costituzionalmente vincolante il principio di solidarietà e di equa condivisione delle responsabilità fra gli Stati membri.
In questo quadro le istituzioni europee sono obbligate ad agire nel pieno rispetto, oltre che del Trattato, della Carta dei Diritti fondamentali – che, a nostro avviso prevale, sul Trattato –e delle convenzioni internazionali delle Nazioni Unite come quella di Ginevra sui rifugiati del 28 luglio 1951, del Protocollo del 31 gennaio 1967 e della Convenzione di Amburgo del 27 aprile 1979 sulla ricerca ed il salvataggio in mare.
Dal 4 maggio 2016 è stata avviata dalla Commissione Juncker una procedura di revisione del Regolamento di Dublino III su cui il Parlamento europeo ha adottato delle sue proposte di emendamento nel quadro della procedura legislativa ordinaria prevista dal Trattato di Lisbona mentre il Consiglio europeo ha concluso nel giugno 2018 (con l’accordo dell’allora capo del governo Giuseppe Conte) ultra vires e dunque in violazione del Trattato che la revisione del regolamento di Dublino III avrebbe dovuto essere approvata dal Consiglio dell’Unione all’unanimità.
Terminata la legislatura 2014-2019 e nel pieno della pandemia la Commissione Von der Leyen ha presentato il 22 settembre 2020 una nuova proposta di “Patto sulla migrazione e l’asilo” che tiene solo in parte conto degli emendamenti adottati dal Parlamento europeo al testo del maggio 2016 e fa addirittura un passo indietro sulla obbligatorietà della ricollocazione dei richiedenti asilo che rappresenta la chiave di volta nell’art. 13 dello stesso regolamento di Dublino III.
Ciononostante, è stata introdotta nei regolamenti sulla politica di coesione economica, sociale e territoriale non solo la condizionalità sul rispetto dello Stato di diritto ma anche quella della conformità dell’uso dei fondi europei ai diritti fondamentali di cui fanno certamente parte quello di asilo e il principio di solidarietà e di equa condivisione della responsabilità fra gli Stati membri.
Il Consiglio europeo straordinario del 24-25 maggio 2021 – ignorando la richiesta di Mario Draghi – ha chiuso nuovamente la porta al negoziato sulla definizione di una politica comune dell’asilo e dell’immigrazione legale con un formale rinvio al Consiglio europeo del 25-26 giugno violando ancora una volta il Trattato di Lisbona.
Innovando rispetto all’articolo 175 del Trattato CEE del 1957 – che, come sanno i giuristi, si ispira al diritto francese e a quello tedesco che pongono sullo stesso piano l’astensione dal decidere al rifiuto di decidere – l’art. 265 del Trattato di Lisbona assoggetta al controllo giurisprudenziale della Corte di Giustizia non solo il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio dell’Unione ma anche il Consiglio europeo e la Banca Centrale Europea.
Noi riteniamo che, trascorsi ormai più di cinque anni dall’avvio del negoziato per la revisione del regolamento di Dublino III, sia venuto ora il momento per il Parlamento europeo di ricorrere alla Corte di Giustizia contro il Consiglio europeo per violazione dell’art. 15 TUE che gli vieta di esercitare funzioni legislative e perché ha deciso di impedire al Consiglio dell’Unione di decidere a maggioranza qualificata.
Poiché il Consiglio dell’Unione si rifiuta di decidere sulla revisione del regolamento di Dublino III e poiché il Trattato, contrariamente alla politica dei trasporti, non prevede un termine di tempo per la realizzazione di una politica comune di asilo pur definendone gli elementi fondamentali ma lasciando aperta la questione dei “criteri e dei meccanismi di determinazione dello Stato membro responsabile dell’esame della domanda di asilo” e salvaguardando il dritto di ogni Stato di “fissare il volume di entrata dei cittadini di paesi terzi sul proprio territorio”, in attesa della necessaria revisione del Trattato la strada da percorrere è quella del rigoroso rispetto della condizionalità dei diritti fondamentali e del principio vincolante di solidarietà su cui si è già espressa la Corte di Giustizia nei confronti della Polonia e dell’Ungheria.
Come autorità di bilancio, il Parlamento europeo deve esigere che la Commissione europea faccia valere senza ritardi nell’attribuzione dei fondi europei (di tutti i fondi europei) questa condizionalità e, nel caso in cui si astenesse dal farlo, di usare nei suoi confronti l’articolo 265 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea per un ricorso in carenza davanti alla Corte di Giustizia.
Nello stesso tempo, e come è stato evidenziato nell’audizione di Alberto Maritati davanti alla Commissione delle petizioni del Parlamento europeo il 27 maggio in occasione della presentazione della petizione del Movimento europeo, occorre esigere l’applicazione rigorosa della stessa condizionalità sul rispetto dei diritti fondamentali da parte della Agenzia Frontex.
Articolo già pubblicato da movimentoeuropeo.it