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Lasciare ogni speranza, sognare un’utopia, è possibile costruire un’utopia concreta?

di Roberto
Rosso

Cronache di guerra e crisi climatiche, eventi estremi dai campi di battaglia e dai campi inariditi da una inedita siccità invernale1, queste sono le notizie che i media rilasciano, di questo è fatto il flusso di informazioni che ci investe, mentre le cronache italiane sono punteggiate con drammatica regolarità dalle morti sul lavoro, dai suicidi in carcere e dai femminicidi. Questo esordio cronachistico illumina uno stato di cose che le analisi condotte su questa rivista continua ad approfondire.

L’analisi di un contesto in cui unanimemente si mette all’ordine del giorno la transizione climatica e digitale, o.d.g. regolarmente disatteso in quelle scadenze, in quegli eventi, incontri ai massimi livelli in cui si dovrebbe stabilire una qualche forma di collaborazione a livello globale per ridurre le emissioni di gas climalterante, rallentare quindi il riscaldamento globale, mitigarne le conseguenze, favorire le forme di adattamento.

Lo straordinario sviluppo tecnologico -trainato da quell’ecosistema tecnologico che va sotto il nome di Intelligenza Artificiale- entro una logica di cooperazione e solidarietà globale, diffuso capillarmente in tutte le regioni del globo, tra tutte le popolazioni, con un approccio rispettoso delle culture di ogni comunità, ebbene non sarebbe forse in grado di incidere efficacemente sul processo del riscaldamento globale? 

La risposta a questa domanda, all’utopia da essa evocata è nei fatti, nelle cronache di questi anni, nella storia di questi ultimi decenni. La traiettoria reale della transizione climatica e tecnologico-digitale è intrecciata inestricabilmente con la guerra, le guerre, la militarizzazione crescente della competizione globale, dei conflitti e delle crisi regionali e nazionali. Non esiste ovviamente crisi locale che non sia iscritta in un contesto regionale, a sua volta pienamente inserito in dinamiche globali, la militarizzazione dei conflitti interni ed esterni ai singoli paesi, alle singole regioni, è sintetizzata dalle statistiche sulla produzione e la vendita degli armamenti, dalle quote che gli stati dedicano alle proprie forze armate, agli investimenti dedicati allo sviluppo tecnologico dei sistemi d’arma.

Nella varietà dei regimi politici che caratterizzano i diversi paesi, si confermano le logiche più profonde del sistema capitalistico, globalmente dominante, che riproduce le diseguaglianze economiche e sociali nelle singole regioni e a livello globale. La crisi climatica accentua le condizioni di scarsità delle risorse fondamentali per la riproduzione della vita, delle società umane a partire dal suolo fertile, di cui già si è detto e che va sotto il nome di ‘Land grabbing’; il cambiamento climatico modifica progressivamente e spesso radicalmente le condizioni in cui le società umane e gli ecosistemi si sono riprodotti sino ad una determinata epoca, si realizza una sinergia negativa con il super-sfruttamento e la contaminazione delle matrici ambientali aria, acqua e suolo.

Il ciclo agro-alimentare è totalmente inserito in termini attivi e passivi -producendo effetti sugli ecosistemi ed il sistema climatico di cui è parte e subendone le trasformazioni- i suoi andamenti sono ovviamente cruciali per l’esistenza stessa delle popolazioni e la qualità della loro vita. Il rapporto, il nesso, la contraddizione tra città e campagna si è venuta evolvendo nel progressivo concentrarsi delle popolazioni nelle aree metropolitane, che si trasformano in megalopoli di decine di milioni di abitanti, per la crescita dell’agricoltura e degli allevamenti industriali, delle monoculture, coniugata con gli effetti del cambiamento climatico. Nel continente africano in particolare, le guerre civili per il controllo delle risorse minerarie e le conseguenze ambientali del loro sfruttamento intensivo hanno contribuito alla devastazione delle comunità locali, delle forme di sopravvivenza, legate anche a tradizioni agricole secolari; valga per tutte l’esempio della Repubblica del Congo e della Nigeria.  La composizione sociale dei paesi coinvolti viene stravolta e ne derivano conseguenze inevitabili sui regimi politici possibili, all’incrocio delle influenze delle diverse potenze che esercitano la loro influenza sulle regioni di cui fanno parte, in termini economici e spesso soprattutto militari, laddove il ruolo delle forze è diretto nel loro governo.

Nulla di nuovo, si potrebbe dire, tuttavia la rottura degli equilibri prima della guerra fredda, poi della globalizzazione governata dagli Usa, la crisi del cosiddetto Washington Consensus, l’affermarsi quindi di una condizione di instabilità a livello globale, hanno effetti drammatici sugli equilibri regionali, sulla condizione dei paesi. Siamo di fronte ad una complessità che nessuno governa dove chi può compete, che non può subisce. Ci possiamo limitare a sottolineare il ruolo dei flussi finanziari, dell’andamento dei mercati finanziari, con gli effetti del livello dei tassi determinato dalle principali banche centrali, sugli equilibri di paesi che regolarmente vanno in default, non potendo ripagare qualche rata di restituzione di un prestito; i flussi di armi e di denaro innervano le crisi che ad ondate successive investono i paesi più fragili.

Si diceva del Land Grabbing, ma si deve evidenziare anche la pratica del Water Grabbing2 che è cresciuto negli anni a partire dalla appropriazione privata delle risorse idriche da parte delle multinazionali del settore, con la competizione tra paesi per il controllo dei principali fiumi, con la costruzione di dighe e mega-bacini3, mentre il regime delle precipitazioni sconvolto dal cambiamento climatico rende più conflittuale il controllo sulla risorsa idrica. La siccità che sta colpendo la foresta fluviale amazzonica4, testimonia della gravità dei fenomeni di siccità sempre più acuti, estesi e frequenti che possono colpire interi continenti, in particolare intere regioni, come le foreste pluviali, cruciali per gli equilibri climatici

Il livello di crisi climatica e sociale, di cui chiunque può rendersi conto seguendo le cronache quotidiane e qualche approfondimento, in assenza di forme di cooperazione globale, in presenza di una competizione sempre più acuta e militarizzata tra le principali potenze, in assenza di istituzioni in grado di agire forme di mediazione minimamente efficaci, ridicolizza le ipotesi di intervento tipo il cosiddetto Piano Mattei del governo italiano, sono agli sproloqui del ‘facciamo come a Caivano’ con i ministri del suddetto governo in visita a Libia e Tunisia. I flussi migratori che il continente africano sta producendo e produrrà in modo crescente nei prossimi anni, in conseguenza delle diverse crisi in corso, sono destinati a travolgere ogni barriera, in un crescendo di tragici episodi nelle acque del mar mediterraneo, travolgendo -come già sta succedendo- gli equilibri politici, sociali e culturali dei paesi europei, destinazione di quei flussi.

È sempre più difficile, nei paesi europei ed in Italia in particolare, produrre orientamenti, progettualità, forme di conflitto e cooperazione che siano inclusivi, solidali e assieme portatori di un orizzonte di trasformazione radicale, contro logiche di difesa di presunti privilegi, peraltro sempre più precari. Movimenti come quello delle rivolte contadine che attraversano l’Europa, sono una risposta ad una condizione di subordinazione, alla prospettiva di estinzione di una parte di quel mondo, al fatto di pagare tutti i costi della transizione energetica ed ecologica5, senza una strategia che li supporti in quella trasformazione radicale, in quel passaggio critico nel quale, date le diseguaglianze, solo i più forti sono destinati a sopravvivere.

Per  i ragionamenti sin qui fatti è del tutto evidente come l’agricoltura in tutte le parti del mondo stia a sua volta attraversando una trasformazione radicale; avere una quadro della distribuzione in termini di dimensione forme di conduzione, tipi di produzione, composizione della forza lavoro e livelli di meccanizzazione non è affatto  semplice, a causa della disomogeneità delle fonti dei dati 6, di fatto però i piccoli agricoltori producono circa un terzo dei generi alimentari mondiali, si tratta di capire quanto precarie siano le condizioni di questa frazione così rilevante del mondo agricolo globale. Il merito indubbio delle rivolte contadine è quello di aver acceso i riflettori sul loro mondo, così necessario per la sopravvivenza di ogni società e così ignorato nel nostro paese e continente, per l’esiguità della quota di popolazione che vi si dedica. Se l’acqua ed il suolo fertile diventano risorse vieppiù scarse, in presenza di un ciclo agroalimentare, governato a monte e a valle da un sistema di multinazionali, che penalizza gran parte di produttori e consumatori finali, entro un contesto di diseguaglianze sociali crescenti, ci possiamo attendere un crescendo di conflitti e turbolenze sociali nel mondo dei produttori agricoli, tenendo anche conto del fatto la produzione industriale, ma non solo, si avvale sempre di più della forza lavoro migrante, in condizioni di estremo sfruttamento. In condizioni di straordinarie difficoltà l’obiettivo della sovranità alimentare, la creazione di un movimento globale dei produttori del cibo, sfruttati a vario tiolo e vari livelli, costituisce una condizione essenziale, non solo per un movimento globale di liberazione, ma da subito una condizione per combattere efficacemente il cambiamento climatico.

Nei prossimi anni assisteremo ad una ulteriore e crescente iniezione di nuove tecnologie nelle produzioni agricole, in forma differenziata ovviamente, destinata ad accrescere ulteriormente le diseguaglianze nel ciclo a seconda delle possibilità di adottare quelle tecnologie. Ciò non potrà che attirare nuovi capitali finanziari, forme di integrazione delle filiere e di concentrazione del controllo. La precarietà delle condizioni di mantenimento delle coltivazioni favoriranno l’uso dell’Intelligenza artificiale, integrata nel sistema di osservazione globale, satellitare e a terra, per prevedere le condizioni metereologiche e pianificare di conseguenza le azioni, oltre a valutare l’andamento dei mercati di consumo, di trasformazione e delle reti logistiche; entro un contesto sempre più instabile e complesso: questa è l’alternativa all’autorganizzazione dei produttori, dei consumatori e dei senza terra.

L’ultima nota di questa serie è relativa alla guerra, che abbiamo visto è elemento sempre più presente attuale e potenziale, nel contesto globale. Particolarmente rilevante -va da sé- è il suo ruolo nel nostro continente. Non sembra ci siano elementi per prevedere una sua riduzione.

L’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa è l’esito, il salto di qualità, scelto dalla classe dirigente russa, delle trasformazioni successive al crollo dell’Unione Sovietica, all’espansione dell’Alleanza Atlantica, alla mancata integrazione in qualche modo della Russia in un contesto europeo dotato di una qualche autonomia nei confronti degli Stati Uniti. Mentre progrediva l’integrazione dei paesi ex-socialisti nell’Unione Europea e nella NATO, la Russia vi è rimasta del tutto estranea, salvo l’integrazione come fonte di energia a basso costo soprattutto per la nazione egemone in Europa la Germania. Contestuale questa integrazione subordinato, a questa emarginazione politica e militare è stato lo sviluppo di un regime autocratico impersonato da Vladimir Putin. Dello sviluppo dei rapporti economici e politici, strategici, militari e finanziari successivi allo scoppio del conflitto molto si è detto e analizzato e si continuerà in un quadro in costante mutamento. Ciò che interessa sottolineare è il carattere dominante che il confronto bellico, lo sviluppo degli apparati militari ha assunto nelle vicende europee, ruolo che peraltro si intreccia con la stagnazione economica dell’Unione, in particolare della Germania, nell’incapacità di adottare strategie vincenti nella transizione energetico-climatico e tecnologico-digitale. L’Unione nel suo complesso e la Germania in particolare si trovano in quella che viene definita una trappola dello sviluppo, che affronteremo prossimamente, l’investimento nell’industria bellica se non sarà sufficiente a indirizzare tutta l’economia indubbiamente giocherà un ruolo rilevante nei suoi andamenti e nella sua trasformazione, indirizzando una quota crescente di risorse.  Che sia in gioco il destino dell’Europa come continente e dell’Unione come soggetto politico, aggregato politico economico regionale non v’è dubbio.  Una gestione più integrata e coordinata dell’industria bellica, della produzione e dell’organizzazione militare anche a  livello politico, è la conseguenza necessaria e inevitabile di questo stato di cose; al di là degli esiti delle elezioni presidenziali USA, che piaccia  o meno, il relativo grado di autonomia dell’Unione nei confronti degli USA sarà un fattore decisivo in una prospettiva di anni, ma certamente in termini di decisioni politiche e di pianificazione industriale e organizzativa dei prossimi mesi.

La trappola dello sviluppo si traduce in una torsione del modello di sviluppo, delle forme di governo e delle strategie politiche, un maggior coordinamento e direzione politica sul piano militare non può non avere effetti sulle forme istituzionali e gli equilibri politici. L’appello alla pace non può che apparire insopportabilmente retorico in un contesto che ne è nemico, in assenza di una qualche strategia e pratica che cominci ad affrontare concretamente tutti i nodi del processo di militarizzazione in corso del nostro continente. Non esiste una via diritta verso la pace, in effetti non compare neppure un orizzonte, facile smarrirsi o restare immobili a declamare. Sentire vicini i drammi e le tragedie dei campi di battaglia, che siano in Ucraina o in Palestina, richiede una qualche mediazione in assenza di una immediata e dolorosa empatia, forse è possibile realizzarla.

Roberto Rosso

  1. https://bari.repubblica.it/cronaca/2024/02/18/news/siccita_in_puglia_coldiretti_lancia_lallarme_invasi_-140_milioni_di_metri_cubi_dacqua_e_i_mandorli_sono_gia_in_fiore-422157528/;   https://greenreport.it/news/acqua/la-catalogna-ha-dichiarato-lemergenza-idrica-la-peggiore-siccita-degli-ultimi-100-anni/; https://www.ilmeteo.net/notizie/scienza/scarsissime-riserve-invernali-di-neve-allarme-estate-italia-crisi-idrica.htmlhttps://www.unionesarda.it/news-sardegna/siccita-allerta-rossa-nel-cagliaritano-e-sulla-costa-orientale-dellisola-jte9dx6f; https://www.targatocn.it/2024/02/19/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/siccita-la-regione-piemonte-chiede-lo-stato-di-calamita-naturale-in-difficolta-le-aziende-viti.html; https://resoilfoundation.org/news/mediterraneo-aumento-livello-mare/?utm_source=facebook&utm_medium=tofu2&utm_campaign=mediterraneo&fbclid=IwAR2Ki16LlFVIB9uuQgIb89qi5qnRCR-shz8NOKaNBnpAlZt6QYoLHUXOmJo_aem_AfLIE3llbfjruMV94FEXwL2xJQUia-b0shJay0_LrhB1eDaRtQSedtcAQ1gt7fbu-JaYeLKGtg5BGs1Y9v_sn5FZ; https://www.ilmeteo.net/notizie/attualita/le-acque-dell-atlantico-sono-calde-come-nel-mese-di-luglio-stupore-fra-gli-scienziati.html;     https://www.ilsole24ore.com/art/acqua-sprecata-infrastrutture-idriche-italiane-le-piu-vecchie-d-europa-25percento-ha-piu-50-anni-AFNkcCiC;     https://www.greenme.it/ambiente/alberi-faticano-respirare/ https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2306736120.[]
  2. https://www.watergrabbing.com/ https://greenreport.it/news/acqua/avanza-il-water-grabbing-laccaparramento-dellacqua-mina-la-stabilita-sociale-del-mondo/ https://www.cospe.org/speciali/cospe-climate-change/watergrabbing/.[]
  3.   https://www.watergrabbing.com/etiopia/  []
  4. https://www.worldweatherattribution.org/climate-change-not-el-nino-main-driver-of-exceptional-drought-in-highly-vulnerable-amazon-river-basin/https://it.euronews.com/green/2024/02/15/amazzonia-quasi-la-meta-della-foresta-pluviale-minacciata-dai-cambiamenti-climatici-e-dall.[]
  5. https://www.fanpage.it/attualita/siccita-lesperto-fao-verso-litalia-avanza-il-deserto-servono-soluzioni-a-lungo-termine/. []
  6. https://unric.org/it/fao-i-piccoli-agricoltori-producono-circa-un-terzo-dei-generi-alimentari-mondiali/.[]
Crisi Climatica, guerra, transizione digitale
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