La cronaca spicciola parla di una uscita da Sinistra Italiana di esponenti provenienti dalla parte verde. Direzione? Costruzione, naturalmente più ampia, della gamba verde della alleanza progressista intorno al PD.
Il contesto grande e complesso è quello della questione ambientale come grande e vitale contraddizione della nostra epoca, “sospesa” tra governance ecocapitalista e la nuova conflittualità di Greta e dei Friday for future. In realtà due ipotesi opposte e confliggenti.
Lo scenario, in Europa, sta tra l’accompagno verde alla governance che ha il suo punto centrale nel governo del semaforo in Germania, il rosso verde antagonista in crescita nei Paesi nordici, le sinistre che incorporano il verde in Spagna, Grecia, Portogallo, Irlanda.
Poi c’è l’Italia. La sua Storia, antica, prossima e recente. Il rischio concreto che continuino a non esserci né rossi né verdi degni di questo nome e capaci di qualche incidenza. La persistenza di Draghi va in questa direzione. Il sindaco Sala è l’emblema di questa situazione. Una governance che ha sterilizzato il rosso e il verde.
Si può dedicare qualche attenzione alle tante sfumature di verde; molte di accompagno alla governance che si vanno delineando nel campo del compatibilismo verde e di sinistra. Oltre agli scissionisti di SI, ci sono Frassoni e Schlein che hanno partecipato da garanti alle Agorà di Letta. Ci sono il partito verde italiano e quello europeo. Il ritorno di vecchi leader. Poi ci sono i civici ecologisti di sinistra che hanno sostenuto i sindaci PD con alterni e per lo più modesti risultati. Se devo fare una previsione dico che il prevalente è l’accompagno verde alla governance europea. Cioè una imitazione probabilmente molto in brutta copia del modello tedesco. Molto dipenderà dal futuro di Draghi. Se resterà presidente del Consiglio il quadro politico si modellerà sulle sue esigenze. In più c’è la variante Cinquestelle ormai in rapido declino e del tutta omologata. Tra le sue possibilità una forza liberal populista con un po’ di ecologismo di economia di mercato. Tra gruppo socialista europeo e Draghi.
A fronte di queste dinamiche ci sta la concretezza dei provvedimenti della governance europea e italiana. La tassonomia verde con nucleare e metano. La privatizzazione di beni comuni e servizi. L’acqua in borsa. Le grandi opere e le cementificazioni. Certo ormai in Italia tutto è possibile ma forse c’è un limite.
Come dicevo, in tutti i Paesi nordici, Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, le forze rosso verdi alternative sono in crescita. E lo sono su piattaforme radicali che sfidano apertamente le socialdemocrazia in Paesi non consegnati per intero a dimensioni sociali liberiste.
Cosa si può fare in Italia? Ripensare alla nostra Storia può aiutare. Io lo faccio dal punto di vista di quello che ho vissuto. L’ambientalismo alternativo e anticapitalista della nuova sinistra e in particolare del Manifesto. Ricordo le “critiche” di Lotta Continua all’ambientalismo di Lucio Magri, che riprendeva per altro tesi come quelle che poi saranno di James O’Connor. “Come era verde la mia valle” scriveva ironico il giornale di LC su Magri. Ricordo questo passaggio non per sminuire il carattere ambientalista della “sinistra rivoluzionaria” ma per segnalare che nel campo grande della cultura comunista italiana, da cui discendeva il Manifesto, c’erano elementi aperti a soluzioni progressive. La mia esperienza nella sezione ambiente del PCI, che arrivai a dirigere dopo l’entrata del Pdup nel 1984, mi porta a dirlo. Le battaglie che ingaggiammo su temi cardine, dalla eutrofizzazione dell’Adriatico a, soprattutto, il nucleare, non furono né minoritarie né represse. Incrociavano correnti che nel PCI c’erano. Dall’urbanistica alla medicina democratica passando per tutti i temi dello sviluppo e della scienza. Movimenti e persone in carne ed ossa. Pezzi di dibattito fondamentali fatti sulla natura dello sviluppo come all’undicesimo congresso, grazie a Ingrao. Ma anche prima sulle questioni agricola e meridionale. E c’è un seminario fatto nel 1971 dall’istituto Gramsci dal titolo “Uomo, natura, società” in cui almeno alcuni contributi sono pienamente rosso verdi e penso a quello filosofico di Giuseppe Prestipino, a quelli “scientifici” di Laura Conti e Giorgio Nebbia e alla stessa introduzione di Giovanni Berlinguer.
Sta di fatto che l’emendamento antinucleare che presentammo prese la maggioranza nei congressi provinciali per perdere al nazionale di soli 17 voti. Che svanirono presto visto l’esplodere di Chernobyl. Tranne lasciare il tempo di nascere alle liste verdi. Ma lo scavo ambientalista nel PCI era stato profondo. Non abbastanza da imporre una rifondazione del PCI in chiave rosso verde ma abbastanza da contrastare il nuovismo governista occhettiano contro cui si schierano tutti gli ambientalisti principali del PCI o legati ad esso.
Rifondazione comunista eredita questo patrimonio e cerca di metterlo in campo. Purtroppo la pressione della governance si fa sempre più forte e per l’alternativa rosso verde la vita è dura. È dura per Rifondazione e per i no TAV. Chi scrive ha già riconosciuto l’errore di affidare ad una scissione la ricerca di una nuova dimensione identitaria che, per quanto mi riguarda stava nell’esperienza tanto (anche giustamente) criticata dell’Arcobaleno che, ricordo, voleva collocare all’opposizione dello stesso PD le forze componenti. Mi è però servito a fare in tempo a fare la battaglia per mettere la parola ecologista tra Sinistra e Libertà. E per accorgermi che questa identità deprivata dell’antagonismo comunista e delegata al terreno del governo non sarebbe andata dove a me interessava. Ho trovato un inevitabile arretramento passare alla dizione Sinistra Italiana togliendo l’ecologia e immettendo un connotato nazionale. Ora la separazione e la diaspora tra subalternità di sinistra e subalternità ecologista mi paiono logica conseguenza.
Ma non è che questo risolve il fatto che in Italia non c’è una forza Rosso Verde adeguata. Né movimenti sul lavoro e sull’ambiente all’altezza. La cooptazione del PD nella governance è stata devastante. Ma lo sciopero generale come la resistenza di movimenti come i no TAV dicono che c’è ancora una possibilità. Senza perdere altro tempo.
di Roberto Musacchio