articoli

Mimmo Lucano: una condanna inaccettabile

di Stefano
Galieni

«Non solo considero la condanna a 13 anni e 2 mesi inaccettabile, ma la reputerei ingiusta anche se fosse ad un solo giorno». Mimmo Lucano, pochi giorni prima che venissero depositate le motivazioni della sentenza (rese note il 17 dicembre) con cui lo si condannava il 30 settembre scorso ad una pena così assurda, commentava così la propria vicenda professionale. La sentenza, come noto, che riguarda non solo l’ex sindaco di Riace ma altri 25 “correi”, è stata motivata con un testo di 906 pagine in cui è difficile cogliere nessi logici e tracce di reati penalmente perseguibili. Le sentenze si commentano eccome, altro che rispetto dovuto, soprattutto quando ci si rende conto che la giustizia perde l’indipendenza di fronte al potere politico. Ed è grottesco notare come molti commentatori di rispettabili testate, garantiste solo con i potenti e pagatori, allineandosi a cronisti ammaliate dalle manette ad ogni costo, abbiano deciso – forse per non affaticarsi la vista – di leggere solo parzialmente il voluminoso tomo giunto in tutte le redazioni in tempo reale. I titoli e gli editoriali di questi “prestigiosi” quotidiani hanno fatto proprie delle affermazioni prive di fondamento di cui ci si dovrebbe augurare che debbano prima o poi rispondere. In pratica il senso è: Lucano si fingeva ingenuo e utopista quando era individuo scaltro che aveva messo in piedi una lucrosa associazione a delinquere. A questo punto, avendo in mente il giro d’affari messo in piedi secondo la logica “si guadagna meglio con gli immigrati che con la droga” (Cfr Carminati e Buzzi, indagine “mafia capitale), viene da pensare che gli investigatori siano riusciti a comprovare come dietro lo sguardo mite e sognatore di Mimmo Lucano si nascondesse un lestofante privo di scrupoli, uno cerca conferma nelle intercettazioni telefoniche fatte a sua insaputa. Beh nelle trascrizioni si legge, in merito ad una ennesima ispezione in corso la seguente frase a pagina 164“Ora io chiedo al Prefetto, ufficialmente chiedo, non voglio una visita a campione, voglio una visita integrale… approfondita… approfondita”. Non sta parlando per telefono con giornalisti o persone utili a depistare gli inquirenti ma con un collaboratore. Certo che per essere uno che intende occultare le prove di misfatti, qualcosa non torna. E rispetto ai moniti ricevuti per aver accolto persone per un tempo molto superiore a quelli stabiliti dai programmi ministeriali, Lucano ammette candidamente che il suo scopo è più alto e che di persone e famiglie per strada lui non intende lasciarne. Un’attenta analisi della sentenza ha provato a farla dal sito Adif, Sergio Bontempelli che da tanti anni opera nel campo dell’accoglienza e conosce concretamente le difficoltà del settore (https://www.a-dif.org/2021/12/20/cosa-non-torna-nella-sentenza-su-mimmo-lucano/) Non si negano e nascondono le difficoltà insite nella gestione di un progetto che si è realizzato negli anni in un borgo poverissimo della costa jonica ma quello che si afferma con forza è l’esistenza di una tesi precostituita nei confronti non solo dell’imputato ma del progetto stesso di Riace.

In altre parole è quel modello, a volte caotico, ma carico di utopia realizzabile che per il potere politico e per il suo braccio armato va demolito. In Italia ormai è da trent’anni almeno che i diversi percorsi di accoglienza si incagliano in proposte di carattere emergenziale che fruttano risorse immense a chi lavora su larga scala, a grandi cooperative o onlus, spesso vicine ad ambienti ecclesiastici o a circuiti un tempo “rossi”. Si tratta di soggetti che dietro la facciata “no profit” celano un sistema attraverso cui spremere le sempre più labili risorse destinate all’accoglienza per far rimanere le persone beneficiarie in un contesto di assistenzialismo da interrompere soltanto, nell’avvicinarsi delle scadenze elettorali, con la macchina fallimentare dei rimpatri. Un sistema, gestito soprattutto dalle prefetture e in ultima analisi dal ministero dell’Interno, in cui non esistono ispezioni, controlli, programmi di “integrazione” o di avviamento al lavoro. Tutto è affidato alla discrezionalità degli enti gestori a cui è implicitamente chiesto anche di non impegnarsi troppo su detto fronte. Ha funzionato un po’ meglio quella parte dell’accoglienza gestita dagli enti locali, un tempo Sprar, poi Siproimi, ora Sai. In quei casi l’ente locale che presenta un progetto ha l’obbligo di rendicontare puntualmente ogni voce di spesa, spesso agisce su nuclei di pochi beneficiari e anche a loro i finanziamenti giungono con cospicuo ritardo. Col taglio sistematico ordinato da Salvini – da 35 euro al giorno per ospite si è passati a 19 – il sistema è stato annientato. Le cooperative reali, quelle che hanno cercato di operare per costruire convivenza rivolta al futuro e non assistenza fine a se stessa, sono state sovente costrette a chiudere i battenti. I fondi erogati – perennemente in ritardo- non consentivano semplicemente di poter garantire servizi, pagare operatori e spese vive, dare il misero pocket money di euro 2,5 al giorno che va direttamente nelle tasche dei beneficiari. I bandi scadevano e al loro rinnovo andavano deserte le gare riportando il tutto al periodo dell’Emergenza Nord Africa (2011) quando in tutto il Paese c’erano solo 3000 posti per l’accoglienza Sprar. Poco hanno influito le modifiche portate alla “Legge Salvini”, si è tornati ad un massimo di 27 euro a persona al giorno e questo non ha salvato il già precario sistema di accoglienza.

E mentre diminuiscono le persone che vanno nei SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione) e più in generale quello delle persone in accoglienza, sono oggi meno di 80 mila, la metà rispetto a 4 anni fa nonostante un incremento degli arrivi nel 2021, riesplode la vulnerabilità, soprattutto nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) gestiti dalle prefetture. Abbiamo già parlato dell’increscioso caso di uno dei principali inquisitori di Lucano, l’ex prefetto di Reggio Calabria promosso per “meriti speciali” da Salvini a dirigere il Dipartimento libertà civili e immigrazione e costretto alle dimissioni a causa di un’indagine aperta che colloca la consorte dedita a sfruttare lavoratori migranti tramite caporalato (i soldi si fanno così non costruendo laboratori come ha fatto Lucano). I prefetti – Di Bari compreso – una volta che arrivano nuovi richiedenti asilo o persone comunque da mandare in accoglienza, debbono raffazzonare posti nei comuni di loro competenza e implorano i sindaci di offrire spazi e servizi. Anche Di Bari lo ha fatto e più di una volta Riace si è aperta a questa emergenza offrendo i posti che poteva dare. Questo non solo non ha fatto arricchire certamente Lucano, ma ha salvato la carriera al prefetto e ha permesso a tanti sindaci di voltare il capo dall’altra parte. Questo perché nel massimo del fulgore, degli 8000 comuni italiani esistenti, meno di un quarto si è reso disponibile ad accogliere. Alcuni lo hanno dovuto fare obtorto collo e i sindaci hanno temuto di perdere consenso elettorale.

La ricostruzione accennata finora è finalizzata a fornire alcune chiavi interpretative. La prima, quella che possiamo definire “esperienza Riace” è stata distrutta, annientata, per meri fini politici che hanno visto numerose complicità. Dimostrare che era possibile garantire convivenza, anche in un contesto povero e spesso privo di offerte lavorative, assumerla ad esempio, si sarebbe tradotto nel dover annullare le altre modalità fondate su ragionamenti prettamente speculativi in cui i richiedenti asilo o protezione umanitaria sono considerati numeri e oggetti, non certo persone con proprie specifiche dignità. Ma la ragione non era solo etica. Lucano ha operato con costi infinitamente minori di taluni soggetti rimasti intaccati dalle inchieste e sul cui operato non c’è mai stato controllo alcuno. E a chi insiste sul “disordine contabile” riscontrato nelle ispezioni viene da chiedere: ma c’è mai stata tanta puntuale attenzione verso i ghetti per agricoltori presenti in mezza Italia da Cassibile a Saluzzo, passando per San Ferdinando, Castel Volturno, Rignano eccetera? No in quei ghetti tutto è rimasto come era, se si esclude, ogni tanto qualche vittima dell’inverno. E ancora: quante ispezioni sono state effettuate nei Centri realizzati dalle prefetture in Veneto, Lombardia, Toscana, Lazio? No il problema era Riace. Del resto si sa che la Locride è terra tranquilla in cui non esiste la ‘ndrangheta, la più potente organizzazione criminale del pianeta, quindi la procura aveva tutto il tempo per sgominare la terribile associazione di un uomo che ne ha salvati migliaia e che aveva come sogno quello di trovare riposo con uno stipendio di 1200 euro al mese (intercettazioni). E questo sarebbe il criminale matricolato? Ma tornando al tema in questione, chi gira nei CAS oggi, scopre che, a fronte di giri di denaro realmente sostanziosi, le persone vengono semplicemente lasciate in parcheggio. Quando termina il loro periodo di accoglienza si debbono arrangiare da sole, sovente finiscono in strada se non hanno la fortuna di conoscere connazionali o di entrare in circuiti che garantiscano lavoro al nero in condizioni di ipersfruttamento. Molti tentano di lasciare l’Italia perché sanno che qui non troveranno mai pace o futuro; alcuni, anche a causa delle restrizioni dovute alla pandemia, riescono a non finire soggetti al Regolamento Dublino e a non essere rispediti in Italia, molti provano e riprovano, con ogni mezzo, anche rischiando e a volte perdendo la vita, pur di fuggire dal nostro “Bel Paese”.

E forse prima che Mimmo Lucano venga dichiarato definitivamente innocente, anzi, prima che venga risarcito di tutte le contumelie e le accuse che gli sono state sollevate contro, andrebbe posto all’ordine del giorno un altro punto di riflessione. Riace, ma tante altre esperienze meno note come la sua, hanno dimostrato che è possibile letteralmente ribaltare le pratiche di sostegno a chi è appena giunto in Italia, in gran parte non certo per scelta. Uscire fuori da una logica tanto emergenziale quanto governata dal sistema poliziesco del Viminale per entrare appieno nelle politiche sociali del Paese e essere gestito come un elemento di propulsione e di sviluppo. Come è accaduto in tante esperienze nel Nord Europa – di certo analizzandone anche gli elementi critici presenti anche lì – è ora di pensare ad un sistema fondato non sull’allarme e l’emergenza, non sulla commistione pubblico privato carica di elementi di opacità ad ogni livello. Come farlo? Le esperienze pilota ci sono, linee guida possono essere tracciate a condizione che si definiscano strumenti di controllo e di gestione del denaro pubblico in maniera trasparente, non solo per quel 22% dei casi in cui tutto è affidato agli enti locali. Le persone che sono giunte da anni, quelle che giungono ora, possono, potrebbero essere messe in condizione di camminare sulle proprie gambe senza bisogno di assistenza e paternalismo caritatevole, divenire fulcro portante di un paese che avrebbe solo da guadagnarne in termini di crescita economica, sociale e culturale. Sarebbe un percorso complesso certo, non privo di incidenti e di problemi, ma manifesterebbe quella visione di futuro che Mimmo Lucano e tante altri e altre come lui sono capaci di scorgere tutti i giorni. Rimetterebbe in moto un paese stanco e anziano, incapace di guardare avanti con prospettive. Le persone messe in condizione di costruirsi un futuro potrebbero inserirsi nel mercato del lavoro rivendicando contratti e non venendo ricattati da permessi perennemente in scadenza, rimuovere gli ostacoli che impediscono l’esigibilità dei diritti fondamentali. Svolgerebbero insomma la stessa funzione propulsiva realizzata negli anni del boom che si è tradotta non solo in profitti padronali ma anche in conquiste di diritti, in emancipazione, in potere ottenuto attraverso il conflitto. Si ha paura di questo? Meglio avere persone che si crede di poter mantenere sottomesse e subalterne? In fondo i piccoli progetti di ricostruzione di vita in comune messi in campo da Mimmo ed altre/i, permetterebbero, se lasciati semplicemente vivere, di fluidificare i percorsi di inserimento nel Paese. Ostacolarli, siamo certi che abbia anche senso?

Non è a caso che Mimmo Lucano si richiami in continuazione, immerso in una utopia che è da miopi definire nostalgica e che va sotto il nome di “sinistra libertaria”. Che bestemmia in un paese in cui il liberismo, anche quando redistribuisce le briciole, anche quando deve effettuare politiche espansive, resta predatorio per natura

 

Stefano Galieni

 

Articolo precedente
L’ambientalismo senza giustizia sociale è giardinaggio
Articolo successivo
Contro il governo delle delocalizzazioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.