Le elezioni comunali e regionali che si sono tenute ieri, martedì 16 novembre, in Danimarca hanno segnato un netto arretramento del Partito Socialdemocratico della Primo Ministro Mette Frederiksen e una buona avanzata della Lista Unita (Enhedlisten) che in inglese porta il nome di Alleanza Rosso-Verde, una formazione che aderisce sia al Partito della Sinistra Europea che a “The Left”, il gruppo della sinistra radicale al Parlamento europeo.
Enhedlisten ottiene il 7,6% nelle elezioni regionali, con un incremento dell’1,3%, e il 7,3% in quelle comunali con un identico incremento. Ma il dato politicamente più rilevante si registra nel voto per il comune di Copenhagen, la capitale danese, che vede la Lista Unita diventare il primo partito con il 24,6% grazie ad un incremento di 6,2 punti percentuali, a fronte di un vero crollo dei socialdemocratici che perdono oltre il 10%. E’ la prima volta, in 100 anni, che la socialdemocrazia non è più il primo partito nella capitale danese. Anche l’altro partito che si colloca a sinistra della socialdemocrazia (e aderisce ai Verdi europei), il Partito Socialista Popolare, cresce del 2,7%, ottenendo l’11%.
L’Alleanza Rosso-Verde ha ottenuto un eccezionale risultato anche nel comune di Bornholm, un’isola sul Baltico (circa 40.000 abitanti) diventando il primo partito con il 23,1%, grazie ad un balzo in avanti del 16,8%, mentre si dimezza il Partito Socialdemocratico. Nonostante l’eccezionale risultato, la Lista Unita non potrà ottenere il sindaco di Copenhagen, che resta ai socialdemocratici, sul cui candidato convergono quasi tutte le altre forze politiche. Potrà invece contare su due vicesindaci.
La Lista Unita ha una storia che risale alla fine degli anni ’80, quando è stata formata dalla confluenza di alcuni piccoli partiti della sinistra radicale: il Partito Socialista di Sinistra (scissione influenzata dai movimenti del ’68 del Partito Socialista Popolare), il Partito Comunista Danese (che aveva abbandonato le posizioni rigidamente filosovietiche degli anni precedenti), il Partito Socialista Operaio (locale sezione della Quarta Internazionale di Mandel e Maitan). Ad essi si era poi aggiunta una piccola formazione maoista. Mentre alcuni dei componenti che hanno dato vita alla lista si sono poi sciolti, come i Socialisti di Sinistra, il Partito Comunista Danese resta come partito autonomo. L’Enhedslisten consente la doppia appartenenza politica.
A sinistra della coalizione della sinistra radicale vi sono quattro piccole formazioni comuniste che complessivamente non superano i mille iscritti e non hanno peso elettorale. Oltre al PC Danese che rappresenta la continuità storica del comunismo in Danimarca, vi sono il PC in Danimarca (sorto da una scissione “ortodossa” anti-perestrojka del precedente nei primi anni ’90), il Partito Comunista (ex PC marxista-leninista, di tradizione albanese) che ha abbandonato gli aspetti più dogmatici del proprio profilo ideologico e che conta sul quotidiano Arbejderen e infine un ancora più piccolo PC Operaio, sorto per iniziativa della componente del precedente che continua ad ispirarsi alle idee di Enver Hoxha. I tentativi di unificare tutti o parte di questi partiti non hanno prodotto finora alcun risultato.
L’Alleanza Rosso-Verde conta circa 10.000 iscritti, gran parte dei quali non provengono dai partiti che hanno fondato la coalizione. Dopo un lungo periodo nel quale è rimasto marginale nel sistema politico danese, riuscendo a malapena a superare la soglia elettorale del 2%, ha accresciuto il suo consenso elettorale nel 2011 collocandosi, con qualche oscillazione, attorno al 6-7%. Ha sostenuto i governi di minoranza formati dai socialdemocratici, ma si propone di caratterizzarsi come forza autonoma capace di intessere rapporti e alleanze con altre forze politiche senza accontentarsi di svolgere un semplice ruolo di pressione da sinistra sulla socialdemocrazia.
Quest’ultima è tornata al governo a seguito delle ultime elezioni politiche, non tanto per i consensi ottenuti (che non sono cresciuti) ma in quanto resta la principale formazione politica del fianco sinistro del sistema parlamentare. Negli ultimi anni ha corretto la propria impostazione cercando di superare l’identificazione con le politiche della “terza via” (tagli del welfare, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro, ecc.), proponendosi di recuperare quel voto operaio e popolare che era scivolato a destra, soprattutto verso il Partito Popolare, xenofobo e populista. Con l’obbiettivo di “riprendersi” i propri voti ha corretto a sinistra le politiche più impopolari sul piano sociale ma ha anche assorbito le posizioni anti-immigrati strappandole alla destra. Questa virata xenofoba, contrastata soprattutto dall’Alleanza Rosso-Verde ma anche dalla sinistra liberale, è riuscita solo in parte. Se i socialdemocratici possono avere guadagnato voti che erano andati all’estrema destra, questi guadagni sono stati compensati da perdite in direzione di altri partiti di sinistra e di centro-sinistra.
Di fronte a queste politiche socialdemocratiche, l’Alleanza Rosso-Verde si trova a fronteggiare un dilemma classico per i partiti di sinistra radicale, tra dover sostenere politiche che non si approvano o togliere il sostegno parlamentare a governi di minoranza con il rischio di favorire, involontariamente, l’elezione di governi di destra. A volte la pressione da sinistra funziona, come nel caso recente dello scontro sulle politiche abitative in Svezia, a volte può essere punito da una parte degli elettori. È questo un rischio per le due formazioni della sinistra portoghese (Bloco de Esquerda e PCP) che hanno negato il proprio sostegno al bilancio presentato dal governo socialista, determinandone la caduta e il ricorso a elezioni anticipate che si terranno alla fine di gennaio dell’anno prossimo.
L’Alleanza Rosso-Verde si caratterizza per una forte presenza femminile nella leadership. Non esiste la carica di Presidente o Segretario generale, contando invece su un organo collettivo, ma di fatto il ruolo di rappresentanza politica del partito sulla scena pubblica è affidato a chi guida il gruppo parlamentare. In questa funzione si sono rapidamente avvicendate tre diverse leader. La prima, particolarmente popolare e che ha contributo in misura significativa al successo del partito, è stata Johanne Schmidt-Nelsen, assunta alla guida del partito ancora ventenne (quando si presentò al primo dibattito preelettorale in tv, il leader dei Conservatori le chiese di portargli il caffè, dando per scontato che essendo giovane e donna non potesse avere altro ruolo che quello di segretaria). Al suo ritiro è subentrata Pernille Skipper dal 2016 al 2021. Attualmente alla guida del partito è Mai Villadsen, non ancora trentenne.
Una politica di classe per il 21° secolo
All’interno dell’Enhedslisten , a partire dai risultati raggiunti, ci si pone il tema, ambizioso, di come diventare un partito di massa dei lavoratori e lavoratrici adatto alle condizioni del 21° secolo. In un suo recente contributo, Esben Bogh Sorensen, giovane storico e segretario regionale dell’Alleanza, ha sottolineato la necessità di focalizzare la discussione nella sinistra danese sulla “creazione di un progetto politico in grado di migliorare le condizioni di vita della maggioranza lavoratrice e di sfidare la posizione dominante della Socialdemocrazia. Per questo si richiede di presentare un programma realistico e attraente incentrato su come risolvere i principali problemi vissuti oggi dalla classe lavoratrice” (Sorensen, Class Politics for the 21st Century).
Per questo vengono proposti sei passi al fine di poter costruire una sinistra più forte:
- riorientarsi verso una politica per le classi lavoratrici. La sinistra ha incorporato la critica al “supposto riduzionismo ecomicistico del movimento operaio e socialista” ma è stata di fatto incapace di mobilitare il voto dei lavoratori nel momento in cui la socialdemocrazia perdeva il rapporto con questi settori sociali. La sinistra dovrebbe riorientarsi da partito di attivisti che si rivolgono prevalentemente ai già convinti, in forza che dà la priorità alle comunità di lavoratori/lavoratrici e alle organizzazioni sindacali;
- sviluppare una strategia di mobilitazione e organizzazione di massa. La sinistra deve avere l’ambizione di costruire un “mass-based workers’ party”.
- costruire una controcultura e una sfera alternativa pubblica. Questo richiede l’insediamento di istituzioni sociali e culturali che permettano una più ampia presenza nella vita quotidiana delle persone e di creare legami di solidarietà. Questa strategia non deve essere confusa con il genere di “sottoculture” minoritarie che hanno a lungo caratterizzato l’ambiente attivista e di sinistra.
- uscire dalle grandi città (un problema particolarmente evidente per l’Alleanza Rosso-Verde che è molto forte a Copenhagen, ma debole nei medi e piccoli centri);
- sviluppare un programma realistico. La sinistra è stata capace di generare lunghi cataloghi di richieste su ogni argomento concepibile. Tuttavia queste piattaforme politiche chiedono troppo e allo stesso tempo risultano irrealistiche. Occorrerebbe focalizzarsi su richieste concrete collegandole a riforme strutturali per incrementare il potere e migliorare la vita della grande maggioranza. La differenza con la socialdemocrazia è che questa non ha mai messo in campo riforme strutturali, concentrandosi su politiche distributive, ma lasciando il potere nelle mani dei possessori di capitale.
- focalizzarsi meno sulla protesta e più sul raggiungimento di risultati concreti. La sinistra militante si è concentrata sulla protesta contro l’austerità, i tagli nella spesa pubblica, il razzismo, il sessismo e la crisi ambientale. I partiti di sinistra si sono posizionati, a volte con successo, come la voce della protesta in opposizione ad ogni governo esistente. Anche se la sinistra non deve rinunciare alla connessione con i movimenti di protesta deve riconoscere che la grande maggioranza della classe lavoratrice non vede in essa la principale forza politica capace di difendere i propri interessi. La sinistra non può pensare di conquistare la maggioranza solo grazie ad un sostegno ideologico o perché è la voce dei movimenti di protesta e dell’ambiente militante. La sinistra deve dimostrare la sua capacità di raggiungere miglioramenti concreti e materiali per la grande maggioranza della classe lavoratrice.
Per Sorensen questa strategia, che deve cercare di adattare al 21° secolo una strategia di contropotere dei lavoratori/lavoratrici, analoga a quella costruita dalle grandi istituzioni operaie di massa del secolo scorso, è alternativa a quella del “populismo di sinistra” che ha avuto un certo successo negli anni scorsi ma ha dimostrato anche i suoi limiti.
Si può ritenere che i confini, nella pratica, tra le varie prospettive strategiche (populismo di sinistra, “mass workers’ party”, partito che connette i movimenti di protesta e l’ambiente militante) non siano necessariamente così netti, ma è indubbio che un confronto sulle varie ipotesi e sui rispettivi fondamenti di analisi e di teoria, possa aiutare anche una sinistra, come quella italiana, che è quasi tutta attorcigliata attorno al problema del rapporto col PD, senza riuscire a fare grandi passi in avanti e ad uscire dalla propria condizione di marginalità e frammentazione.
Franco Ferrari