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La lunga notte del Sud

di Natale
Cuccurese

Preoccupati per la tempistica richiesta, per i meccanismi che regoleranno i bandi, per la carenza di personale specializzato, per l’inevitabile allungamento dei tempi in contrasto con le 527 prescrizioni e per le scadenze stringenti imposte dal Pnrr, oltre 500 sindaci del Mezzogiorno, riuniti nella rete RecoverySud, da tempo fanno presente che nelle piante organiche municipali del Sud il personale continua ad arrivare con il contagocce e non si possono riparare così facilmente i danni decennali di politiche federaliste e di austerity che hanno svuotato proprio gli apparati burocratici meridionali più in difficoltà. Chiarendo che: «Non chiediamo sussidi, non chiediamo assistenzialismo, chiediamo tecnici e altre figure professionali che lavorino per creare valore aggiunto nei nostri territori, per consentire alle nostre imprese di insediarsi, per rigenerare città e natura in modo da creare posti di lavoro».

Quale sarà la capacità di progettazione, esecuzione e controllo di investimenti pubblici negli enti locali, dopo oltre 10 anni di tagli al personale e agli investimenti, in modo principale nei Comuni del Mezzogiorno?! Fra l’altro Draghi sta accelerando in vista di fine anno, data ultima in cui l’Italia deve presentare le riforme richieste dalla Commissione europea, pena la perdita dei fondi del Recovery, richiedendo ai ministri target settimanali e non più mensili. Mancano ancora 23 obiettivi. Ora per gli enti locali le cose sono due per non perdere i fondi del Pnrr: o per fare bene, faranno poco, oppure per fare tutto, faranno male. Se mai arriveranno i fondi bisognerà poi spenderli velocemente per rientrare nei parametri richiesti dalla Commissione UE, ma così facendo è già pronta l’accusa di aver favorito “le mafie italiane”. Se si faranno opportuni controlli invece ci accuseranno di essere lenti o corrotti. Non a caso nel maggio scorso è arrivato il monito del vicepresidente esecutivo Valdis Dombrovskis contro frodi e mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati che bloccherebbero immediatamente i pagamenti. In poche parole, comunque si muoverà l’Italia nell’utilizzo dei fondi del Recovery per l’Europa ci sarà motivo di rimbrotto, se va bene, se va male invece sarà motivo per sospendere l’erogazione dei fondi dopo la prima rata. Risulta ora forse più chiaro perché i primi fondi arrivati nel settembre scorso e quindi “sicuri”, 700 milioni di euro destinati ad aumentare il numero di scuole materne e asili nido nelle aree «svantaggiate» del Paese, non sono finiti al Sud, ma grazie alla presenza leghista nel Governo a Milano, a Torino o anche a Belluno.

Non bisogna infatti dimenticare che la finalità prioritaria del Piano è ridurre le diseguaglianze tra territori. Tra le 527 prescrizioni indicate da Bruxelles la più importante è proprio quella di ridurre le differenze territoriali calando gli investimenti nelle aree più svantaggiate, ma l’Italia che proprio per questo scopo ha ottenuto la quota di fondi più alta d’Europa, essendo le differenze fra il Nord e il Sud del Paese le maggiori del Continente, assiste al taglio dei fondi del Pnrr da destinare al Sud: dal 65% come indicato dall’Europa, al 40%, ad essere ottimisti, senza fornire nessuna giustificazione da parte del Governo. Se poi consideriamo anche la recente riproposizione nella Nadef del collegato alla Legge di Bilancio del progetto Autonomia differenziata, è facile capire come l’attacco al Sud, già prostrato da una povertà che non ha eguali in Europa, pongono il Governo Draghi in cima alla classifica, non solo fra quelli più classisti, ma anche fra i più antimeridionali della storia della Repubblica.

La situazione è questa anche per i “fondi anti-Covid”, dove per il Sud al danno si somma la beffa se pensiamo che anche su questo fronte al Sud è destinato solo il 33,41% del fondo globale per abbattere le liste d’attesa Covid.

Ma la situazione diventa ancora più fosca in prospettiva, visto che sul QN del 14 novembre viene ventilato come “per le terze dosi dei vaccini non ci sono i soldi”, visto che l’insieme delle Regioni in Italia hanno speso fino ad ora 8 miliardi per gestire il Covid nel 2021, ricevendo in cambio dal Governo nazionale poco più di 3 miliardi. Ora, avendo esaurito quasi tutte le Regioni le risorse a disposizione il rischio è una disparità di trattamento per i cittadini a seconda dei territori. È chiaro che quelle Regioni che hanno una sanità territoriale più forte, oppure dispongono di Case della salute e centro vaccinali di prossimità, e hanno rapporti con medici di medicina generale e farmacie, come quelle del Nord che da decenni ricevono più fondi, saranno meno svantaggiate. E così si potrebbe aprire un nuovo e pericolosissimo capitolo per le drammatiche conseguenze che questo insieme di situazioni potrebbe comportare per un Paese che sta vivendo una notte che sembra non volere passare mai.

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