La tempesta perfetta, ricordata anche in un film, descrive un impressionante fenomeno meteorologico che si manifesta quando due o più turbolenze atmosferiche convergono una nell’altra, creando un vortice di grande potenza. La nostra tempesta perfetta vede convergere due distinti eventi: un cambiamento congiunturale e un cambiamento strutturale.
Sarebbe corretto affermare che anche la manifestazione straordinaria del 25 novembre scorso a Roma indetta da Non Una di Meno sia stata una tempesta perfetta? Se sì quali sono state, e sono, le “turbolenze” che l’hanno determinata? Qual è la dimensione congiunturale e quale quella strutturale?
Tento di rispondere a queste domande in virtù della straordinaria partecipazione: 500 mila persone hanno attraversato il corteo della manifestazione sabato scorso. Un numero impressionante, un fatto inedito per chi segue la partecipazione politica dell’ultimo decennio. Questo è il dato da cui partire.
Negli anni passati la partecipazione al corteo del 25 novembre è sempre stata importante, “Noi siamo marea” è una delle parole d’ordine della manifestazione da anni. Ma mai come quest’anno si è vista una marea così vera, potente, palpabile, inconfutabile, impossibile da marginalizzare o ridurre.
“Claustrofobico”, dice Marta sorridendo quando gli chiedo un aggettivo per descrivere la manifestazione, “era impossibile girarsi, prendere una cosa nello zaino, era veramente come essere trascinate da una marea che ti sospinge”. L’appuntamento per l’inizio del corteo è slittato di circa un paio d’ore perché la gente continuava ad arrivare, non si riusciva a partire. Si sono formati cortei paralleli spontanei da ogni dove attorno al Circo Massimo. Nonostante il freddo, il vento, le linee dei mezzi pubblici deviate e le fermate della metro chiuse. Niente ha arrestato la volontà di esserci. Anche di chi negli anni precedenti non aveva mai partecipato, non solo a questa manifestazione ma anche ad altre, di chi da anni “non scendeva in piazza”, di chi come Anna ha deciso di andare “perché la morte di Giulia mi ha dato uno schiaffo in faccia”.
Il 25 ha manifestato una marea composita, nuova, non un corpo unico. “Bellissimo il colpo d’occhio da qualunque lato del Circo Massimo. Tantissime persone di età, generi, appartenenza politica diversa, famiglie con bambini”, dice Raffaella, “mi è sembrato che quest’anno ci fosse una maggiore partecipazione soprattutto delle giovanissime”. “Transgenerazionale” continua Silvia. Il colpo d’occhio, la differenza rispetto agli anni passati, la diversità di quest’anno era immediata, soprattutto per chi come me, come molte di noi, partecipa al corteo sin dal suo primo evento del 2007. Questo era già intuibile dai giorni antecedenti il 25 novembre. Mai come quest’anno ho ricevuto messaggi del tipo “Che fai vai?”, “Andiamo assieme?”, i più ingenui scrivevano “Ci vediamo lì?” tradendo il fatto che non erano molto pratici. Trovarsi alla manifestazione contro la violenza di genere è sempre stato complicato, ma quest’anno era impossibile.
Una folla che ha scelto di non essere neutrale, di non cedere alla tentazione dell’inutilità del dissenso e della partecipazione, che ha sentito importante far parte di quel momento. “La partecipazione credo abbia creato in molte una nuova consapevolezza” continuano Silvia e Raffaella. “Nonostante fossimo tante persone ad attendere l’inizio della manifestazione non c’era rumore. Un Circo Massimo così silente non l’avevo mai visto. E questo mi ha fatto capire tante cose, soprattutto quanta rabbia e senso di impotenza e di ingiustizia ci possa essere dentro questo silenzio” ci dice Sonia.
Allora per tornare alle domande potremmo dire che di strutturale c’è la violenza, in tutte le sue forme, c’è una politica che non sa spezzare la spirale di questa violenza e c’è un governo di destra che per la prima volta non vuole invertire la rotta. C’è una cultura che non sa codificare i cambiamenti che sono già vivi nella società, e che narra ancora schemi passati e che rinforzano le dinamiche della violenza e della diseguaglianza. C’è un sistema economico e produttivo che ha bisogno di mantenere discriminazioni, disuguaglianze, che sono generativi della violenza. Ma di strutturale c’è anche l’impegno quotidiano dei movimenti, dei gruppi, dei collettivi, dei centri anti violenza, che non solo lavorano per costruire un contro potere, una diversa egemonia culturale e politica, ma che quotidianamente lavorano per arginare e contrastare la violenza e i suoi effetti, le sue cause.
La marea che abbiamo visto lo scorso 25 novembre è di fatto un allargamento della marea che da decenni prende la parola e agisce pubblicamente.
Di congiunturale c’è “ il vento che sta cambiando”.
C’è l’ennesimo femminicidio che ha visto Giulia Cecchettin, giovanissima ragazza di Padova, uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta che ha gettato il corpo nel lago di Barcis per occultarlo e fuggire in Germania dove è stato arrestato dopo molti giorni.
L’ennesimo perché secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, dall’inizio del 2023 al 13 novembre in Italia sono state uccise 102 donne, 82 delle quali in ambito familiare e affettivo. 53 sono state uccise dal partner o dall’ex partner.
Ci sono le parole pubbliche pronunciate in TV della sorella di Giulio Cecchettin, Elena, che ha definito l’assassino femminicida della sorella “figlio sano della società patriarcale, che è pregna della cultura dello stupro’ e non un mostro. Definendo il femminicidio non un delitto passionale ma un delitto di potere. Contro di lei i media vicini al governo e non solo, esponenti della maggioranza e la schiera dei loro ‘intellettuali” di riferimento ha scatenato contro di lei la macchina del fango , ‘colpevole’ di avere preferito la guerriglia al silenzio, le parole scomode alle lacrime, il look dark e le borchie all’abito del lutto.
C’è la repressione e marginalizzazione da parte di questo governo di ultradestra e conservatore dei diritti delle donne e di tutte le libere soggettività, la consapevolezza dell’impossibilità di farcela da sole, la guerra, intendendo tutte le guerre sul Pianeta, che rappresenta il paradigma più alto della violenza patriarcale e capitalista, un film che in modo semplice punta allo stomaco e al cuore soprattutto dei non “politicizzati” che racconta di come ci possa essere ancora un domani carico di protagonismo e consapevolezza, figlio di una storia ma al tempo stesso generatore di una storia.
È stata una tempesta perfetta la enorme manifestazione dello scorso 25 novembre a Roma? Sì, per molti aspetti lo è stata. Ma la vera domanda è come raccogliere e come mettere sul piatto di una contrattazione sociale e politica questa impressionante richiesta di cambiamento, in un’ottica di genere, di classe, di background migratorio e non.
Alla manifestazione ci hanno contato, ci siamo contate. Da domani dovranno continuare a farci i conti, perché la marea non si ferma, non torna indietro e vuole contare.
E l’Italia, l’Europa, il resto del mondo dovrà tenerne conto.
Barbara Piccininni