Nel maggio 2022, durante la trasmissione “L’eredità” fu chiesto ad una concorrente quale fosse la capitale di Israele, alla risposta Tel Aviv, il conduttore non la ritenne valida, sostenendo che la risposta esatta fosse Gerusalemme.
La cosa non passò inosservata; la comunità palestinese protestò sotto la sede della RAI e partì un ricorso cui fece seguito una sentenza del Tribunale di Roma che condannò la Rai a risarcire con 3000 Euro le spese processuali e a rettificare la falsa informazione diffusa, perché Gerusalemme non è la Capitale riconosciuta internazionalmente dello Stato di Israele.
Nella trasmissione del 5 dicembre 2023 di TG3 Linea Notte, il corrispondente RAI da New York, Claudio Pagliara, e il Direttore di La Repubblica, Maurizio Molinari, hanno più volte usato l’espressione, abbastanza insolita, “Governo di Gerusalemme” anziché quella di “Governo d’Israele”. Nel linguaggio diplomatico e, di conseguenza, in quello giornalistico, si usa spesso il nome della capitale per indicare lo Stato perché il Governo risiede nella capitale. Nel caso d’Israele, la questione è più complicata perché è vero che il Governo e il Parlamento risiedono nella Gerusalemme Ovest, ma Gerusalemme non è la capitale. La sottolineatura vocale con cui è stata pronunciata la parola “Gerusalemme” non fa pensare che ci si volesse riferire alla collocazione geografica del Governo quanto piuttosto a una forzatura comunicativa per l’affermazione di Gerusalemme capitale. Ci si può chiedere con quanta consapevolezza della delicatezza politica di questa “promozione”, anche per il Governo italiano, e delle implicazioni internazionali soprattutto in un momento cruciale come questo.
Al di là delle intenzioni più o meno propagandistiche dei due giornalisti, vale la pena ricordare perché Gerusalemme non è la capitale d’Israele.
Al momento della proclamazione dello Stato d’Israele, Tel Aviv fu dichiarata capitale del Paese. Nel 1980 la Knesset, con una legge di rango costituzionale, dichiarò “unilateralmente” Gerusalemme “unita e indivisibile” Capitale dello Stato.
Occupata da Israele nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, la parte Est è considerata Territorio Occupato che le Nazioni Unite non riconoscono come territorio israeliano. Infatti, la decisione unilaterale di Israele del 1980 suscitò nel mondo reazioni vastissime, a cominciare dai leader cristiani della città. L’Unione Europea, da parte sua, dichiarò che solo un negoziato avrebbe potuto definire lo status di Gerusalemme. Il Papa espresse grande preoccupazione per l’odio e il rancore che quella decisione avrebbe provocato; per non parlare della reazione del mondo arabo e islamico.
Ciò che più conta, le Nazioni Unite reagirono immediatamente. Con la risoluzione 476 del 30 giugno 1980, il Consiglio di Sicurezza dichiarò nulle le rivendicazioni di Israele su Gerusalemme, ribadendo “che tutte le misure e disposizioni legislative e amministrative adottate da Israele, la Potenza occupante, con lo scopo di modificare il carattere e lo status della Città Santa di Gerusalemme, non hanno nessuna validità giuridica e costituiscono una flagrante violazione della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili in tempo di guerra e, oltretutto, ostacolano gravemente l’istaurazione di una pace generale, giusta e duratura, in Medio Oriente”. La risoluzione è importante perché, più in generale, “riafferma che tutte le misure che hanno modificato il carattere geografico, demografico e storico, nonché lo status della Città Santa di Gerusalemme, sono nulle e inesistenti”; stabilisce, quindi, una serie di paletti che Israele non avrebbe mai dovuto superare. Due mesi dopo, dopo aver constatato l’inazione di Israele, il Consiglio di Sicurezza approvò una nuova risoluzione, la 478 del 29 agosto 1980, in cui ribadiva le affermazioni e le prescrizioni della risoluzione precedente. Entrambe le risoluzioni furono approvate con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti.
Da allora, Israele, non solo ha ignorato le decisioni del Consiglio di Sicurezza ONU, ma ha continuato ed intensificato le sue azioni illegali di popolamento di israeliani ed espulsione di palestinesi in Gerusalemme Est, attraverso sgomberi e occupazione di abitazioni nella città vecchia ma anche con importanti insediamenti nella periferia est della città, nonché con la requisizione e distruzione di immobili per la costruzione del famoso muro. Questo nonostante la Corte Internazionale di Giustizia, nel Parere del 2004 sulla costruzione del muro, ne abbia evidenziato diversi profili di illegalità, anche per quanto riguarda Gerusalemme Est, e ne abbia imposto lo smantellamento. È di tutta evidenza la perseveranza di Israele nella violazione del diritto internazionale, ma il Parere della Corte ricorda che “tutti gli Stati parti alla quarta Convenzione di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, del 12 agosto 1949, sono inoltre obbligati, nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, a far rispettare da Israele il diritto internazionale umanitario incorporato in questa convenzione”. Il che vuol dire che anche i nostri Governi sono responsabili di quei “crimini internazionali”.
La questione di Gerusalemme capitale rimase implicita sotto la cenere delle azioni illegali condotte con l’obiettivo di “ripulire” la parte orientale della città dalla presenza palestinese, fino a quando fu Donald Trump a esplicitarla nuovamente. Il 5 giugno 2017, il Senato degli Stati Uniti approva all’unanimità una risoluzione per commemorare il 50º anniversario della “riunificazione” di Gerusalemme. Il 6 dicembre 2017 Trump riconosce Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele. Il 21 dicembre dello stesso anno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta una risoluzione nella quale si ribadisce quanto statuito con le Risoluzioni del 1980 e chiede agli Stati membri di “astenersi dallo stabilire missioni diplomatiche nella Città Santa di Gerusalemme”. Gli Usa, in quell’occasione, esercitarono una pressione, al limite del ricatto, su tutti i Paesi con cui avevano relazioni, eppure solo 9 Paesi votarono contro la risoluzione (a parte gli USA, si trattava di Guatemala, Honduras, Togo, Micronesia, Marau, Palau e Isole Marshall) 128 votarono a favore, 35 si astennero e 21 non parteciparono al voto. Il 14 maggio 2018 è lo stesso Presidente degli Stati Uniti a inaugurare la sede dell’Ambasciata USA a Gerusalemme, trasferita da Tel Aviv.
Poiché solo uno sparuto numero di Paesi ha seguito l’esempio degli Stati Uniti, il Ministero degli Esteri d’Israele ha intrapreso un’intensa azione diplomatica per aumentare il numero degli Stati che riconoscano Gerusalemme capitale. Un editoriale del Jerusalem Post del 19 maggio 2023, riferendo e chiosando affermazioni del Ministro degli Esteri Eli Cohen, sferra un pesante attacco ai diplomatici che “fingono di credere che la capitale d’Israele sia Tel Aviv”, chiamando questa “una grottesca ipocrisia” di chi ancora pensa che Gerusalemme sia divisa tra Est e Ovest, aggiungendo che “molti giornalisti si adeguano ottusamente alla finzione, attribuendo falsamente a ‘Tel Aviv’ le decisioni e le politiche di Gerusalemme”.
Ebbene, l’insistenza plateale con cui i due giornalisti italiani pronunciavano l’espressione “il Governo di Gerusalemme”, sembrava proprio essere la risposta ostentatamente obbediente a quella tirata d’orecchie. Una risposta, peraltro, del tutto coerente con la loro storia giornalistica.
Pasqualina Napoletano