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La storia romana della Commedia di Dante

di Maria
Pellegrini

Pubblichiamo, per cortesia dell’autrice Maria Pellegrini, la premessa al suo più recente libro –

La Commedia è il racconto in prima persona di un viaggio nell’aldilà compiuto da Dante e iniziato a trentacinque anni nella notte del venerdì santo del 1300. Il poeta si assume il compito di indicare la via del bene mostrando le conseguenze terrene e ultraterrene del male. Il viaggio attraverso i tre regni dei morti, Inferno, Purgatorio, Paradiso, può considerarsi metafora di quegli abissi di male nei quali ciascuno di noi s’imbatte nel corso della sua vita senza però disperare in una futura salvezza. Indica tuttavia anche tutta l’umanità in cammino verso la verità e la redenzione.

Dante è un uomo del Medioevo ma parla agli uomini di ogni età storica. Rappresenta persone, luoghi, paesaggi concreti, tratti dalla realtà; dolori, gioie, sentimenti profondamente umani e veri. In un luogo senza tempo e senza immanenza, grazie all’eccezionale realismo dantesco, le ombre della Commedia mantengono tutta la loro individualità storica di esseri umani in carne e ossa. Pur avendo descritto un mondo dei morti, Dante si può definire poeta del mondo terreno; le anime del suo aldilà, attraverso il ricordo delle loro azioni, sono ancora molto legate alla vita che condussero quando erano in vita

Le poche informazioni sicure che possediamo ci attestano che già nel 1313 le prime due parti della Commedia erano divulgate e note; inoltre sappiamo che l’ultima parte del poema, il Paradiso, fu composto fra il 1316 e il 1321 negli ultimi anni della vita di Dante, che aveva appena terminato di comporre la terza cantica quando fra il 13 e il 14 settembre di quell’anno moriva a Ravenna. Queste poche notizie sono sufficienti a significare che la stesura della Commedia occupò pressappoco tutta la seconda fase della vita di Dante, quella che ebbe inizio con l’esilio; non si tratta dunque di un’opera composta rapidamente, ma in un lungo arco temporale.

La Commedia è espressione della civiltà e della cultura del Medioevo, l’opera di un uomo che accetta ancora intero il pensiero, la mentalità, l’ordine, le strutture, le istituzioni del suo tempo che anzi ad esse tanto più tenacemente si aggrappa quanto più le vede dissiparsi intorno a sé. La sua formazione umana e politica avviene dapprima nel clima della Firenze comunale; a partire dal 1302, fondamentale è l’esperienza dell’esilio; durante quegli anni amplia l’esperienza politica superando l’orizzonte delle vicende municipali. Senza l’esilio, è stato detto tante volte, la Commedia forse non sarebbe mai nata.

In tutto il Medioevo riecheggiavano gli scrittori e i poeti antichi della romanità. Dante individua in loro dei maestri di sapienza e di stile, artefici di una tradizione illustre in cui egli desidera inserirsi ponendosi come erede e continuatore della loro grandezza. Perciò il richiamo costante agli autori antichi. Per Dante un solo impero universale era esistito e continuava a esistere: quello di Roma, il cui passato glorioso costituiva per lui un’evidente giustificazione e un modello imprescindibile per il presente. Per questo voleva essere in sintonia con gli autori antichi alla ricerca di quegli aspetti dell’impero romano che intendevano rispondere a esigenze e aspirazioni profondamente umane e quindi sempre attuali: una vita civile e virtuosa nella quale l’autorità politica, tramite l’esercizio del diritto, garantisse la pace, la libertà e la giustizia.

La Roma imperiale e la Roma cristiana sono perfettamente integrate in un unico disegno provvidenziale. Non la violenza e il sopruso hanno generato il potere romano, ma la ragione divina: Roma dalla mano stessa di Dio è stata condotta a dominare e quindi ordinare il mondo affinché venisse la pace propizia alla nascita del Cristo. Tutta la storia antica viene quindi recuperata alla luce di questa preparazione, di questa prefigurazione. Ecco perché Dante sceglie Virgilio, il cantore delle origini di Roma e il profeta della nascita di Cristo (secondo l’interpretazione tardoantica e medievale della sua IV Egloga) come guida per il viaggio ultraterreno.

La costatazione della corruzione dilagante a Firenze dove è presente una classe dirigente cupida e litigiosa, lo porta a deplorare le lotte fratricide che pongono gli uomini gli uni contro gli altri.

La corruzione e la decadenza di Firenze riflettono tuttavia una rovina morale e politica che oltrepassa i confini municipali e pervade l’intera penisola italiana che Dante vede abbandonata dalla casa imperiale tedesca nelle mani dei francesi Angioini (la mala pianta / che la terra cristiana tutta aduggia, Purg. XX, 43-44) e in quelle del Papato abbrutito dal potere temporale (Di’ oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti / cade nel fango e sé brutta e la soma», Purg. XVI, 127-129). Di qui l’indignata, e celebre, invettiva: Ahi serva Italia! di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello. (Purg. VI, 76-78).

Nasce allora nel Poeta il sogno di una Monarchia universale con l’autorità di un monarca che assicuri le condizioni necessarie affinché gli uomini possano raggiungere in terra quella felicità a cui hanno diritto.

La sua visione universale fondata sulla romanità e sull’unificazione dell’Italia è espressa nei tre canti sesti delle tre cantiche. Nell’Inferno è Ciacco che ricorda la corruzione politica, nel Purgatorio è Sordello che lamenta la servitù d’Italia e nel Paradiso è Giustiniano a celebrare l’impero che governa il mondo. La scelta di Virgilio come sua guida nell’oltretomba è motivata non solo dal suo essere altissimo poeta ma dall’aver cantato la missione romana e imperiale da Enea ad Augusto.

Dalla morte di Federico II (1250) l’Impero era considerato dal poeta praticamente vacante dal momento che gli imperatori che si succedevano in Germania si disinteressavano delle vicende italiane. Si capisce quindi il suo entusiasmo quando l’imperatore Enrico VII (Arrigo) di Lussemburgo, eletto nel 1308, due anni dopo scese in Italia con l’intenzione di restaurare il potere imperiale e di pacificare le città italiane. Il Poeta concepì grandi speranze, lo vide come colui ch’a drizzare l’Italia verrà, ma Enrico VII morì improvvisamente nel 313.

Dante non solo proclama la libertà politica e morale dell’uomo nel quadro dei valori tramandati dalla cultura classica, ma sottolinea la necessità di una pacifica e ordinata convivenza fra gli uomini esaltando la dignità stessa della persona umana. L’uomo, in quanto tale, è nettamente diverso dagli animali e dagli angeli, è un essere libero, dotato di ragione e di linguaggio, chiamato a seguire virtude e canoscenza. È una creatura privilegiata, unica nella generale armonia del creato di cui è parte integrante e nella quale deve mantenersi ed esaltarsi attraverso uno sforzo permanente della volontà illuminata dalla ragione e sorretta dalla grazia divina.

 

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