Le elezioni statali di Salisburgo (una delle regioni austriache) hanno registrato un sorprendente e inatteso successo del Partito Comunista, la cui lista era denominata “KPOe plus” per indicare l’apertura ad altre forze alternative al di là delle file del partito.
La lista comunista ha raccolto oltre 31.000 voti, pari all’11,7% e 4 seggi. Un balzo in avanti ragguardevole visto che nelle precedenti elezioni aveva ottenuto solo lo 0,4% e non era più rappresentato in questo parlamento regionale dal 1949. Ancora più significativo l’esito del voto nella capitale, Salisburgo, che dà il nome al Landtag, dove i comunisti diventano il secondo partito con il 21,5%, guadagnando, in un balzo solo, 12.000 voti. Si tratta di dati certamente sorprendenti per una realtà come quella austriaca normalmente considerata di mentalità conservatrice, se non reazionaria, e nella cui storia il Partito Comunista non ha mai goduto di una dimensione di massa analoga a quella raggiunta in Francia o in Italia.
Il KPO (Partito Comunista Austriaco) venne fondato nel novembre del 1918 in un momento di particolari tensioni seguito alla sconfitta militare e alla successiva disgregazione dell’Impero austro-ungarico. Si tratta quindi di uno dei più vecchi partiti comunisti, già presente alla fondazione dell’Internazionale Comunista. Alla sua creazione avevano contribuito alcuni gruppi di sinistra fuoriusciti dal Partito Socialdemocratico insieme ad ex prigionieri di guerra convertiti al comunismo in Russia.
“A differenza della maggior parte degli altri partiti comunisti – scrive Josef Ehmer – il KPO non riesce a mettere in pericolo l’egemonia della socialdemocrazia sul movimento operaio austriaco. E’ solo agli inizi degli anni trenta che il partito riuscirà a penetrare in alcuni segmenti dell’elettorato socialdemocratico.” Nel maggio del 1933 viene messo fuori legge dal governo fascista di Dolfuss e resterà clandestino fino al 1945.
In questi anni, in quanto unica forza realmente impegnata nell’azione di resistenza antinazista e antifascista riesce a conquistare una certa influenza. Alla fine della guerra, nell’aprile del 1945, il presidente del Partito Comunista, Koplenig, sottoscrive la dichiarazione d’indipendenza dell’Austria (che era stata annessa dalla Germania hitleriana) assieme ai leader del Partito Socialdemocratico e del Partito Conservatore. Si tratta del documento fondativo della “Seconda Repubblica” austriaca.
I comunisti, come in molti altri paesi europei alla fine della guerra, partecipa ad un governo di coalizione con le altre maggiori formazioni politiche. La rottura avviene nel 1947, sia perché il PC assume un profilo politico più combattivo, sia per l’influenza dell’affermarsi della guerra fredda.
I comunisti dal 1947 al 1950 sono protagonisti di numerosi conflitti sociali che danno voce al malcontento diffuso tra la classe operaia per la difficile situazione economica. I risultati elettorali ottenuti dal partito non sono però molto superiori al 5%, anche se più significativa è la presenza a Vienna, dove raggiunge l’8% e nelle votazioni delle Camere del lavoro dove ottiene circa il 10% dei consensi operai. Nell’industria pesante la presenza comunista è ancora più importante e arriva a rappresentare un terzo dei lavoratori sindacalizzati.
Il 1956, anno della destalinizzazione e soprattutto dell’invasione dell’Ungheria, che ha un forte impatto negativo sull’opinione pubblica austriaca, il partito entra in una fase di progressivo declino. Tra il 1949 e il 1961 passa da 150.000 a 42.000 iscritti. Sul piano elettorale, se nel 1956 raccoglie ancora il 4,4%, nel 1959 scende al 3,3% e nel 1962 al 3,0%, non riuscendo più ad entrare in Parlamento, data la soglia di ingresso del 4%.
“Negli anni sessanta –scrive ancora Ehmer – un’ala riformatrice, che può essere considerata come una sorta di precursione dell’eurocomunismo, mette avanti la democratizzazione del programma e della concezione del socialismo, e questo malgrado la resistenza accanita di una parte del KPO. Questi riformatori cercavano anche una apertura politica in direzione della socialdemocrazia.”
L’invasione della Cecoslovacchia, che viene inizialmente condannata dal partito, apre una fase di scontri interni molto duri, che terminano nel 1971 con la sconfitta dell’ala “eurocomunista”. Una consistente minoranza, sia tra i dirigenti che tra i militanti, abbandona il partito.
Nonostante questa rottura, negli anni ’70 il partito riesce ad attirare le frange più radicali del movimento studentesco e ottiene anche una serie di limitati successi nelle elezioni sindacali, municipali e di Land. Nel gruppo dirigente, oltre al settore più esplicitamente stalinista, si foma una componente che, pur continuando a rifarsi al “marxismo-leninismo”, cerca di interpretare la realtà austriaca secondo lo schema teorico del “capitalismo monopolistico di Stato”.
La disgregazione del blocco socialista investe duramente il KPO, all’interno del quale si formano tre tendenze. La prima sostiene la prospettiva di una radicale rottura con l’identità comunista e la trasformazione in partito di sinistra meno chiaramente connotato sul piano identitario. Una seconda sostiene la tesi del ripiegamento ideologico come unica possibilità di sopravvivenza del partito nel nuovo contesto. Infine una terza tendenza, centrista, difende l’esistenza e la continuità del partito ma con una revisione critica delle posizioni tradizionali del partito che lo avevano visto, dopo la crisi successiva all’invasione della Cecoslovacchia, seguire le posizioni sovietiche e della Germania dell’est.
La tendenza post-comunista prevale inizialmente ma poi si scontra con una forte, anche se eterogenea, opposizione interna. Nel marzo del 1991 tutto questo settore che comprende un terzo del comitato centrale e una settantina di funzionari oltre ad alcune centinaia di iscritti abbandona il partito, senza però riuscire a costituire una nuova formazione politica.
Attraverso i congressi tenuti nel 1994 e nel 1997, il KPO anche se indebolito riesce a ritrovare una certa stabilità attraverso un processo di rinnovamento della propria identità, continuando però a rivendicare la propria natura di partito “marxista” e “rivoluzionario”. Nel trentesimo Congresso del 1997 si propone di battersi per una alternativa al neoliberismo attraverso una riduzione radicale del tempo di lavoro, la ridistribuzione della ricchezza a spesa del capitale, il rafforzamento dello Stato sociale. Conferma una posizione contraria all’euro e anche la richiesta di uscita dell’Austria dell’Unione europea, una posizione che verrà successivamente rivista.
Nelle elezioni nazionali del 1995 il Partito Comunista ottiene solo lo 0,29%. Risultato che migliora leggermente quattro anni dopo quando raccoglie lo 0,48%, ma ancora molto lontano dalla soglia di sbarramento del 4%. “Le ragioni di questo modesto progresso – scrive Ehmer – sono allo stesso tempo ideologiche, una campagna centrata sulla denuncia del razzismo e della ‘fascistizzazione’ rampante dell’Austria, ma anche organizzative. Per la prima volta il KPO ha adottato una tattica seguita dal PCF o dalla PDS tedesca, con liste aperte aventi alla loro testa degli intellettuali e degli artisti conosciuti (Heidi Ambrosch, il professor Alfred HRdlicka, Sigi Maron, Helmut Zenker…). L’immagine del KPO ne è risultata migliorata, senza che si possa ancora parlare di un nuovo decollo politico del comunismo austriaco.”
Il conflitto interno fra le diverse componenti non si è mai del tutto risolto. Leo Furtlehner, dirigente del partito e sostenitore della componente rinnovatrice lo descrive così: “Il risultante conflitto tra le forze del rinnovamento e quelle che, nonostante i cambiamenti avvenuti nel mondo, continuavano a insistere su un approccio ‘marxista-leninista’ dogmatico alla politica e resistevano con tutte le loro forze ad una analisi auto-critica delle loro politiche e del loro passato, è durato per diversi anni. Ha avuto un’escalation al congresso del 2003 ed è finalmente terminato nel 2004 con la fuoriuscita dell’ala dogmatica. Una conseguenza non voluta, bisogna ammetterlo, è che l’organizzazione di partito della Stiria, che per anni era stata in contatto con questi elementi, cessava di riconoscere l’autorità dell’Esecutivo nazionale e si trasformava in un partito regionale. Ha tuttavia sempre mantenuto la decisione di rimanere parte del KPO.”
Il partito, secondo l’analisi di Furtlehner, si propone di assumere una visione moderna e rivolta al futuro del marxismo che non è possibile senza un esame critico delle ragioni del fallimento dei paesi governati dai comunisti. Una forza politica che si propone di unire femminismo, internazionalismo, inclusività e radicalismo nella stessa misura.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, il KPO aveva sostenuto la posizione contraria all’adesione nel referendum del 1994 vinto però largamente dai favorevoli. Attualmente il partito continua a criticare la costituzione neoliberista dell’UE ma respinge l’idea dell’uscita del’Austria. “Il KPO – scrive Barbara Steiner – chiede un cambiamento radicale dell’integrazione europea. Questo orientamento strategico si manifesta nella partecipazione come membro a pieno titolo nel Partito della Sinistra Europea, di cui il KPO è stato fondatore.” E’ questo uno dei punti di dissenso con il partito della Stiria che chiede di portare la partecipazione del partito da membro a pieno titolo ad osservatore.
Sul piano elettorale i comunisti avevano finora ottenuto i loro migliori risultati nella città di Graz, capitale della Stiria dove, nel 2003, avevano ottenuto oltre il 20% dei voti nelle elezioni municipali. Dal 2012 i comunisti di Graz erano diventati stabilmente la seconda forza della città, la più grande per abitanti dopo Vienna, dietro ai conservatori del Partito Popolare. Dato che a Graz non esiste soglia di sbarramento, il KPO non aveva perso la rappresentanza nel consiglio comunale. La sua crescita è stata favorita dalla popolarità del consigliere che si era occupato della questione delle abitazioni, Ernst Kaltenegger. Nel 2003, quando Graz era la Capitale europea della cultura, riuscì a conquistare l’attenzione grazie allo slogan: “Anche questo è cultura – un bagno per ogni casa popolare”. Infatti molte abitazioni appartenenti al patrimonio pubblico erano ancora prive di servizi igienici. Il KPO della Stiria – sottolinea Barbara Steiner – “si vede come un partito basato regionalmente e localmente, con un approccio terra terra alla politica che è sintetizzato nel motto: ‘aiutare invece di parlare’. I rappresentanti eletti del partito trattengono per sé stessi solo un salario mensile equivalente a quello di un lavoratore specializzato– come nel Partito Socialista olandese – e devono trasferire il resto del loro reddito in un fondo sociale dal quale gli abitanti della Stiria in caso di bisogno possono trarre un sostegno.”
Risultati meno clamorosi (fino al voto di Salisburgo) ma comunque positivi i comunisti li hanno ottenuti anche in altre città, tra cui Linz, in Austria superiore, dove sono riusciti a rieleggere nel 2009 dopo 18 anni di assenza. Nel 2018, una lista alternativa sostenuta dal KPO è riuscita ad entrare nel consiglio comunale di Innsbruck, capitale del Tirolo. Nel 2020 la lista KPO Plus formata tramite l’alleanza con l’organizzazione giovanile Junge Linke ha conquistato un seggio nel consiglio comunale di Salisburgo, prodromo del recente successo alle elezioni statali.
A Vienna i comunisti alleati ad un’altra formazione, Links, hanno ottenuto buoni risultati in alcune circoscrizioni, eleggendo 23 consiglieri, di cui 8 comunisti, mentre restano esclusi dal consiglio comunale. Nella capitale si è assistito ad un incremento del sostegno alla sinistra nei distretti con una prevalenza di lavoratori, ma anche un buon seguito tra i giovani dove i voti alla sinistra hanno raggiunto il 5%.
Il successo elettorale comunista nella citta di Graz, che attualmente vede come sindaca Elke Kahr, eletta nelle file del KPO, ha suscitato un certo interesse fra i ricercatori oltre che nei media. In particolare Manés Weisskircher ha dedicato un lungo saggio a ricostruire l’evoluzione del successo e poi del radicamento del partito nella città austriaca. Un successo considerato anomalo data la scarsa influenza elettorale comunista a livello nazionale.
Weisskircher ha analizzato sia la “struttura di opportunità politica” esistente (tra cui la mancanza di una soglia di sbarramento ma anche la formazione per legge di un esecutivo municipale basato sul criterio proporzionale e non necessariamente su accordi fra partiti con programmi contrastanti) che le decisioni strategiche assunte dalla leadership del partito.
“In modo particolarmente originale – scrive Weisskircher – i comunisti sono riusciti a fare ‘propria’ la questione delle abitazioni, focalizzandosi su di essa dagli anni ’80, e connettendola ad una più ampia critica al capitalismo.” L’autore rilevava (nel 2017) che fino a quel momento, il partito fuori dalla Stiria non era riuscito a sviluppare strategie che ottenessero risultati analoghi a quelli conquistati a Graz. Questo fatto sollevava l’interrogativo del possibile rapporto tra il successo ottenuto in Stiria e le specifiche posizione dell’organizzazione regionale del KPO, in particolare sull’Unione Europea.
Il voto di Salisburgo, dove il partito ha tradizioni ideologiche diverse e nel quale il principale candidato della lista comunista aperta, Kay-Michael Dankl, proviene dai Verdi, sembra smentire una diretta connessione tra i due elementi.
Sicuramente anche a Salisburgo hanno giocato favorevolmente elementi caratteristici del successo di Graz. La presenza di un capolista carismatico e diventato popolare per l’azione svolta nel consiglio comunale della città; l’attenzione ai problemi concreti (in particolare quello della casa che è particolarmente sentito in tutte le maggiori città austriache); una comunicazione poco ideologica e molto concreta; la rinuncia ad una parte consistente del rimborso ricevuto per le cariche politiche. Inoltre a Salisburgo ha sicuramente influito sull’exploit inatteso una significativa presenza di candidati giovani.
Il KPO Plus di Salisburgo si propone come forza di opposizione e ha puntato sulla necessità di avere in Consiglio regionale una voce critica considerato che gli altri partiti tendono a combinarsi ed allearsi tra loro ai vari livelli istituzionali, rappresentando però sempre gli interessi dei settori economici e imprenditoriali e lasciando irrisolti i problemi dei ceti popolari. Il capolista Kay-Michael Dankl che, come ha rilevato un giornale austriaco, nel tempo libero si diletta di tiro con l’arco, è stato percepito come una sorta di Robin Hood in un contesto politico in cui abbondano gli Sceriffi di Nottingham.
Franco Ferrari
Riferimenti bibliografici
Ehmer, J., (1999), Le Parti communiste d’Autriche (KPO): une survie assurée par la puissance de l’appareil, in Moreau, P. (ed.), Les partis communistes e postcommunistes en Europe occidentale, La documentation française, n 830-831, pp. 31-37.
Furtlehner, L. (2009), The situation of the Left in Austria, in Hildebrandt, C. Daiber, B. (ed.) The Left in Europe. Political Parties and Party Alliances between Noerway and Turkey, Rosa Luxemburg Foundation, Brussels Office, pp. 106-114.
Steiner, B. (2021), The Left in Austria: Out of the Impasse with a Fresh Breeze, in Bouma, A., Hildebrandt, C., Koltsida, D. Rdical in Diversity. Europe’s Left 2010-2020, Merlin Press.
Weisskircher, M. (2017) The Electoral Success of the Radical Left: Explaining the Least Likely Case of the Communist Party in Graz, Government and Opposition, vol 54, no 1, pp. 145-166.