La presenza delle forze di sinistra nella realtà ucraina, nel momento in cui il Paese è sottoposto all’aggressione militare russa, risulta essere di fatto marginale. Esistono alcuni partiti e organizzazioni presenti nel territorio controllato da Kiev o nelle cosiddette repubbliche autoproclamate del Donbas, che si sono andate nettamente differenziando a partire dal movimento di Maidan del 2014 che depose l’allora Presidente Yanukovich, per installare un regime con una forte influenza nazionalista.
Le differenze interne alla sinistra ucraina sono poi in gran parte quelle che vengono riecheggiate anche nella sinistra a livello internazionale. Queste diversità di posizione ruotano attorno al giudizio su quella che, nel linguaggio ufficiale di Kiev è stata ribattezzata la “rivoluzione della dignità”, sulla natura dei territori dissidenti di Luhansk e Donetsk e del movimento che ne ha prodotto la formazione (“anti-Maidan”), sulla collocazione dell’Ucraina sullo scenario globale in rapporto alla Russia e al blocco occidentale (UE e Nato).
E’ utile ricordare che il quadro attuale delle tendenze dell’opinione pubblica e delle correnti politico-ideologiche egemoni è il prodotto di una evoluzione (o involuzione) dello stato politico del paese sulla quale hanno pesato diversi fattori. Negli anni ’90 in Ucraina vi era una sinistra forte, basata soprattutto su partiti che erano in misura diversa eredi del partito comunista dell’era sovietica.
Nel 1991, dopo il fallito colpo di stato a Mosca, i comunisti vengono messi fuori legge, e i quadri del partito che restano attivi politicamente (dato che come in Russia, una parte si ricicla in forze politiche anticomuniste o si dedica all’arricchimento economico) danno vita al Partito Socialista Ucraino, guidato da Oleksander Moroz. Nel 1993 la Corte suprema sopprime la messa al bando e consente la ricostituzione di un Partito Comunista che si muova nel contesto della sovranità del Paese affermatasi dopo il dissolvimento dell’URSS.
Nasce pertanto il PC Ucraino che si muove in continuità storica con quello dell’era sovietica (ad esempio riprendendone la numerazione dei Congressi). Alla sua guida viene insediato Petro Symonenko, nativo di Dontesk e tuttora segretario generale a quasi trent’anni di distanza. Il Partito dispone di un consenso elettorale che ne fa negli anni ’90 il primo partito del paese. Il suo seguito è però fortemente sbilanciato dal punto di vista territoriale dato che, mentre nel Donbas e in Crimea raccoglie percentuali che si avvicinano o superano il 30%, a Lvov (Lviv in ucraino, Leopoli in italiano), non arriva nemmeno all’1%.
Se si considera l‘insieme delle forze politiche che si collocano a sinistra (oltre al PCU vi sono il Partito Socialista, su una linea di tipo socialdemocratico, un partito contadino che rappresenta le realtà collettive di derivazione sovietica e il Partito Socialista Progressista di orientamento populista) raccolgono per alcuni anni tra il 40 e il 45% dei consensi elettorali.
Il Partito Comunista di Simonenko adotta un profilo ideologico abbastanza simile a quello del PCFR di Zyuganov: moderata difesa degli assetti economici e sociali derivati dall’URSS, conservatorismo accentuato sulle questioni di società (con una apertura di credito alla Chiesa ortodossa nella sua versione “moscovita”), ma senza gli elementi di nazionalismo grande-russo che pure nella visione di Zyuganov sono piuttosto importanti. Il PCU non cavalca, per evidenti ragioni, avendo il suo consenso soprattutto nella parte russofona del paese, il nazionalismo ucraino, ma piuttosto una forma di patriottismo che oscilla tra la difesa dell’identità sovietica e quella dell’alleanza dei popoli slavi.
Il passaggio fondamentale nella crisi del PC Ucraino, che non riesce evidentemente a ridefinire il proprio progetto ideologico e politico in un contesto che muta, è dato dalla nascita del Partito delle Regioni. Quest’ultima è una formazione ideologicamente piuttosto eclettica ma che si presenta come il difensore dell’Ucraina dell’est e del sud con una struttura paternalistico-clientelare.
Il consenso elettorale dei comunisti è crollato bruscamente tra il 2002 e il 2006, passando dal 20,8% al 3,7%. Dopo una ripresa nel 2012, col 13,2%, ha nuovamente perso terreno nelle elezioni del 2014, le ultime alle quali ha potuto partecipare, scivolando sotto il 4% e restando fuori dal Parlamento. La crisi del partito è stata il frutto di diversi fattori. Dal punto di vista politico il suo sostegno, per quanto parziale, a Yanukovich, in particolare l’avere votato a favore di un pacchetto di leggi repressive con le quali il governo aveva cercato di rispondere alle manifestazioni di Maidan, ha pesato molto negativamente sulla sua credibilità. La fuga di Yanukovich e l’installazione di un governo fortemente sostenuto dagli Stati Uniti e con una consistente presenza dell’estrema destra, ha avuto come contraccolpo l’annessione della Crimea da parte della Russia e la separazione di parte del Donbas, con l’inizio di una guerra civile che ha lasciato strascichi sanguinosi. Il Partito ha così perso le sue zone di maggior radicamento.
A questi elementi si è aggiunta la repressione. Benché il partito non avesse avuto un ruolo significativo nello scontro tra il governo di Yanukovich e l’opposizione, ha pagato per una forte ondata anticomunista che è andata di pari passo con il rafforzarsi dell’estrema destra e del nazionalismo ucraino, violentemente antisovietico e russofobo. Prima ancora dell’introduzione della legge sulla “decomunistizzazione” del paese, con la quale sono state messi al bando i simboli e ogni forma di richiamo al comunismo equiparato al nazismo (equiparazione teorica, perché in realtà i riferimenti alle organizzazioni ucraine collaborazioniste del nazismo sono stati pienamente legittimati), nelle regioni occidentali il partito era costretto di fatto all’illegalità, dato che le organizzazioni paramilitari dell’estrema destra avevano preso il controllo del territorio.
La situazione legale del Partito Comunista e di tutte le formazioni politiche minori che al comunismo si richiamano è rimasta in una situazione di sospensione. Infatti il tentativo di mettere del tutto fuori legge il partito, collegandolo alle vicende seguite alle proteste anti-Maidan, non ha trovato un tribunale capace di dimostrare le responsabilità dirette del partito in ciò che era accaduto. Gli è stata però negata la possibilità di partecipare alle elezioni, e in diverse occasioni i suoi dirigenti e militanti sono stati oggetto di azioni repressive che hanno visto operare insieme le milizie di estrema destra e le forze di polizia. Anche nelle settimane scorse due dirigenti dell’organizzazioni giovanile sono stati arrestati dalle forze di sicurezza.
Il PCU ha valutato la mobilitazione anti-Yanukovich come uno scontro tra due settori dell’oligarchia economica. Ha criticato l’avvicinamento dell’Ucraina al blocco occidentale con due argomentazioni: una derivata dall’idea (conservatrice-reazionaria) dello scontro di civiltà, sulla base della quale la natura dei popoli slavi sarebbe sostanzialmente diversa da quella del modo di vita occidentale, la seconda di tipo economico, dato che l’ingresso nell’Unione Europea avrebbe inevitabilmente distrutto l’apparato industriale ancora esistente all’est del paese e i cui sbocchi commerciali sono prevalentemente legati alla Russia. Il partito non ha sostenuto la separazione delle due repubbliche auto-proclamate, il che ha portato al distacco delle organizzazioni locali e alla nascita di nuovi partiti comunisti separati.
Sull’identità nazionale, il partito rivendica positivamente quella che per Putin risulta essere una colpa, la volontà di Lenin di riconoscere la specifica statualità ucraina. “Senza Lenin e il Partito Bolscevico – è scritto in un recente documento – non ci sarebbe uno stato ucraino. Fu sulla base della proposta di Lenin che il programma del partito riconobbe il diritto delle nazioni all’autodeterminazione che, dopo gli eventi del 1991, pose le basi per l’indipendenza dell’Ucraina.”
Abbandonata la dimensione sovietica, il bilancio del restaurazione del capitalismo ha prodotto, per i comunisti ucraini, tra i tanti effetti negativi, “il predominio dell’ideologia borghese-nazionalista, la tendenza verso la fascistizzazione del regime dominante, l’esplosione della psicosi anti-comunista, la russofobia, la violazione dei diritti dei cittadini che parlano russo, la falsificazione della storia dell’Ucraina, la perdita dell’integrità territoriale, la crudele guerra fratricida nel Donbas, il governo del paese dall’esterno e la sua trasformazione in una colonia degli Stati Uniti e dell’Unione Europea.” Il partito difende l’integrità territoriale del paese e chiede “alla luce delle nuove condizioni, l’Unione dei popoli fratelli che facevano parte dell’Unione Sovietica, criminalmente distrutta”.
La chiusura dei siti web appartenenti al partito rende più difficile conoscere le valutazioni del PCU sugli sviluppi più recenti della situazione in Ucraina. Una dichiarazione del marzo del 2021 denunciava la decisione del governo Zelensky di chiudere tre canali televisivi vicini all’opposizione. Un atto di censura che seguiva alla soppressione della “Rabochaya Gazeta” e alla persecuzione dell’agenzia di notizie “Golos.ua” per aver pubblicato una lettera di Simonenko nella quale si congratulava con i veterani della seconda guerra mondiale per la vittoria del popolo sovietico sulla Germania nazista.
Tra i gruppi minori della sinistra alcuni esprimono valutazioni non molto differenti da quelle del Partito Comunista pur avendo un background ideologico diverso (per un’accurata analisi delle varie forzi di sinistra durante e dopo Maidan si rimanda ad uno studio di Volodymyr Ishchenko) . E’ il caso del gruppo Borotba, anch’esso fatto oggetto di azioni repressive. Secondo quanto dichiarato in un’intervista a Dmitry Kovalevich pubblicata da un sito trotskista greco e realizzata prima dell’inizio dell’invasione russa, per Borotba “il fascismo e il nazionalismo di estrema destra ucraino sono politiche imposte dai circoli occidentali per rendere gli ucraini nemici dei russi. Perciò quasi ogni politico ucraino si adatta ad essi e inizia a promuovere l’ideologia banderista e i miti sui nostri ‘antenati ariani’.” Kovalevich afferma che “le bande di estrema destra sono state ampiamente incorporate nella Guardia Nazionale e nell’esercito regolare ma godono ancora di una certa indipendenza (come l’Azov). Essi sono utilizzati per aggressioni ai media di opposizione e verso persone che osano parlare contro l’attuale politica. Come nel caso di una ragazza blogger che ha espresso dei commenti contro il nazionalismo. Queste bande l’hanno perseguitata, assalita, picchiata e alla fine costretta ad emigrare. Essi assaltano regolarmente le sedi dei partiti dell’opposizione o le sedi delle tv che osano dare spazio ai critici della politica ufficiale.”
Secondo l’esponente di Borotba, il partito “Piattaforma di opposizione – Per la vita”, presente in Parlamento, cerca di operare “come un partito socialdemocratico, critica la NATO, il neofascismo e le riforme neoliberiste.” Ma gli Stati Uniti hanno sanzionato i suoi leader e alcuni sono sotto processo in Ucraina, accusati di alto tradimento, tutti i suoi strumenti di informazione sono stati messi al bando. Questo significa che “anche una socialdemocrazia populista e senza grinta non può sopravvivere legalmente in Ucraina”, secondo Kovalevich.
L’esponente di Borotba è molto critico verso quelli che definisce “gruppi marginali della sinistra liberale pro-UE”, come “Movimento Sociale” che raccoglierebbe solo una “dozzina di persone”, valutazione difficile da verificare. Per altro anche la stessa Borotba ha un seguito molto limitato.
Nella sinistra ucraina si sono espresse alcune tendenze che hanno formulato un giudizio molto diverso sul movimento di Maidan del 2014 ritenendolo realmente un movimento popolare di opposizione alla corruzione del governo Yanukovich e non così condizionato dalla presenza delle organizzazioni di estrema destra. Alcuni gruppi hanno cercato di essere presenti nel movimento con le proprie tende nell’accampamento e con volantinaggi e altri interventi, anche se in diverse occasioni hanno dovuto subire le aggressioni delle bande neofasciste e estremiste molto più organizzate e militarizzate.
Il “Movimento Sociale” (Sotsialny Rukh) da parte sua si richiama alla nuova sinistra radicale europea e sostiene che i problemi dell’Ucraina si possono risolvere solo con una “genuina rivoluzione sociale, in sostanza sostituendo l’attuale sistema di capitalismo oligarchico con il socialismo democratico.”
Partendo dall’esperienza di coloro che all’interno delle proteste di Maidan hanno presentato “Dieci punti” contenenti richieste anti-capitaliste e a favore del lavoro, ci si è proposti di unire le varie “correnti socialiste e comuniste anti-staliniste”. Pur avendo preso parte ad elezioni locali, il suo principale obbiettivo è lo sviluppo di una politica di sinistra extraparlamentare. Il congresso di fondazione di Movimento Sociale (che è affiancata da una ONG di analoga denominazione) è avvenuto nel novembre 2016 e all’inizio del 2019 era in corso la raccolta delle 10.000 firme necessarie ad essere registrato.
Gli attivisti del movimento “hanno dovuto far fronte ripetutamente alla violenza dei mercenari padronali e dell’estrema destra nazionalista. Per esempio, la destra ha attaccato ripetutamente o cercato di disturbare le assemblee anti-fasciste in memoria di Stanislav Markelov e Anastasia Baburova, attivisti di sinistra che sono caduti vittime dei neonazisti russi, o la presentazione della collezione delle opere di Trotsky in ucraino.”
Il sito del Movimento segnalava inoltre che “dobbiamo fronteggiare una atmosfera di sistematica violenza dell’estrema destra che opera impunita alimentata dalla guerra, dall’egemonia nazionalconservatrice sul piano ideologico, dall’isteria nazionalista e anticomunista, e le regolari violazioni dei diritti umani e della libertà da parte dello Stato.”
Un esponente di Movimento Sociale, Taras Bilous, ha trovato ampia udienza per una sua lettera nella quale criticava una parte della sinistra occidentale per le posizioni assunte sull’Ucraina e sul conflitto con la Russia. In particolare Bilous si esprimeva contro quello che definiva “l’antimperialismo degli idioti” (definizione già utilizzata da Leila Al-Shami in riferimento alla Siria) e che rintracciava in particolare nelle posizioni dei “Democratic Socialists of America” (DSA) di New Orleans e in una dichiarazione definita “vergognosa” del Comitato Internazionale degli stessi DSA. Questa lettera da Kiev ha anche dato il via ad una serie di attacchi all’organizzazione della sinistra statunitense.
Le stesse valutazioni critiche della situazione ucraina contenute nei documenti del Movimento a cui appartiene Bilous, tendono a scomparire nei suoi ultimi interventi, nei quali afferma che l’unica possibile conclusione della guerra è la vittoria dell’Ucraina. Le contraddizioni tra ciò che sostiene il governo russo e ciò che vuole la società ucraina sono “irriconciliabili”. La vittoria dell’Ucraina e la sconfitta della Russia sarebbero importanti “da una prospettiva globale” perché questo sarebbe l’unico modo per prevenire che l’invasione costituisca un precedente per il futuro. Bilous invita anche la sinistra occidentale a rivedere la sua valutazione dell’espansione a est della NATO, considerandola piuttosto frutto del desiderio delle popolazioni di questi paesi anziché della volontà dell’Occidente.
In una sua recentissima intervista Bilous informa di essersi unito ad un “gruppo di volontari” dell’area anarchica che si occupa di sostegno umanitario e di sostegno alle unità di difesa. Il movimento anarchico ha acquisito un certo seguito nella realtà ucraina pur restando anch’esso una forza del tutto minoritaria.
Alcuni gruppi, come l’organizzazione Rev Dia (Azione Rivoluzionaria) si sono costituiti in milizia paramilitare nell’ambito delle Forze di Difesa Territoriale che operano sotto il comando del governo. Scelta analoga hanno compiuto altre formazioni come il Quartier generale Nero o Bandiera Nera, benché gli stessi anarchici siano stati oggetto in tempi recenti della repressione governativa. Ma l’argomentazione principale portata a sostegno di questa scelta è la politica autoritaria e repressiva condotta dal regime di Putin sui movimenti libertari che peggiorerebbe ulteriormente la situazione.
In questa sintetica rassegna abbiamo lasciato da parte la realtà delle forze di sinistra che operano all’interno delle repubbliche autoproclamate del Donbas dove non sono mancati anche lì episodi di repressione da parte dei poteri instauratisi anche grazie al sostegno della Russia.
Franco Ferrari