Due appuntamenti recenti, svolti rigorosamente sul web a causa della pandemia, consentono di provare a fare una rapida rassegna delle varie strategie e delle difficoltà con le quali si scontrano i vari settori della sinistra di governo. Intendendo per tale tutti le correnti, gruppi e partiti che attualmente sostengono, partecipandovi con propri esponenti, il Governo Conte.
La prima iniziativa è stata organizzata dalla Fondazione ItalianiEuropei di cui è Presidente Massimo D’Alema, a suo tempo promotore della scissione dal PD che ha dato vita ad Articolo 1-MDP, ma collocato in un ruolo politico non operativo e dedito prevalentemente ad alimentare il dibattito politico. Al confronto hnno partecipato un ampio schieramento di forze politiche, rappresentate al massimo livello, andando dalla posizione più di destra (Renzi) a quella più di sinistra (Schlein) all’interno del campo del centro-sinistra.
Tornare ad un PCI socialdemocratico, all’Ulivo o alla Terza via?
Dal confronto sono emerse diverse linee strategiche come era prevedibile, dato che molte posizioni sono note da tempo. Sul lato destro, Renzi, con la caratteristica brillante superficialità, ripropone la cosiddetta “Terza via”, a suo tempo incarnata da Blair, Schroeder e Bill Clinton. Quella di una socialdemocrazia che ha largamente introiettato il paradigma liberista, adepta acritica dei processi di globalizzazione e che cerca una base di consenso nel cosiddetto centro che, socialmente, coincide con un cento medio sostanzialmente soddisfatto dello stato di cose esistenti e soprattutto delle promesse di miglioramento della propria condizione materiale affidata alle dinamiche del capitalismo. Integrato da una certa espansione di alcuni diritti di libertà individuale, purché queste non entrino in contrasto con gli assetti economici consolidati.
Renzi si presenta come interprete di una “sinistra” moderata che guarda al centro e porta come esempio attuale di riferimento il Presidente francese Macron. A livello europeo si colloca nel gruppo subentrato ai liberali e quindi più sul centro-destra che sul centro-sinistra del sistema. Lo stesso Macron, partito dalla destra socialista per superare la tradizionale divisione destra-sinistra, si trova sempre più schierato a destra anche con forti venature autoritarie che rimandano al primo gollismo, ma senza la stessa base di massa. Gli è stato fatto notare da D’Alema, con un certo fondamento, che le dinamiche sociali recenti, caratterizzate da una crisi del ceto medio che si è polarizzato fra “vincenti” e “perdenti” della globalizzazione, hanno fatto mancare la base sociale necessaria alla prospettiva renziana.
Dall’interno del PD, a fronte di uno Zingaretti dalle formulazioni sempre piuttosto vaghe, una linea più chiara è emersa dell’intervento di Franceschini, il quale propone di consolidare l’alleanza con il Movimento 5 Stelle, trasformandola in un asse strategico. Anche perché, stanti i rapporti elettorali, è l’unica condizione per vincere le elezioni e restare al governo. Franceschini vede negli effetti della pandemia la possibilità di rilanciare posizioni di sinistra (moderata) mettendo in difficoltà la destra.
Il ruolo della sinistra è visto più che altro in una difesa di un certo assistenzialismo verso i ceti popolari che eviti forti contrapposizioni sociali, secondo linee abbastanza tradizionali della vecchia sinistra democristiana. Una prospettiva che non si discosta molto dal vecchio Ulivo prodiano, con tutti i limiti e le contraddizioni che esso aveva evidenziato, ma con una nuova configurazione delle alleanze politiche. Essa tende, come sempre ha fatto la DC, ad assorbire le spinte esterne, integrandole nel proprio quadro di riferimenti politici e di classe, e operando una forma di permanente trasformismo che impedisce un cambiamento reale della politica e della società. Questa prospettiva per altro entra in aperto contrasto con quella renziana che invece continua a vedere nel “populismo” (vagamento definito) il nemico principale, verificando poi la contraddizione di partecipare ad un governo che si fonda sul rapporto con un partito populista. In questo sta una delle ragioni meno occasionali di guerriglia interna quotidianamente alimentata da Italia Viva.
Una terza prospettiva è quella di D’Alema, il quale si basa (come in parte anche Bettini, ideologo un po’ fumoso della direzione zingarettiana del PD) su una certa riconsiderazione autocritica proprio della prospettiva della “Terza via”, di cui fu a suo tempo un interprete. Ricordiamo l’attacco al sindacato per la difesa, considerata ormai arcaica, del “posto fisso”, la partecipazione alla guerra yugoslava, le privatizzazioni affidate ai capitani coraggiosi, ecc.
D’Alema rilancia l’idea che la sinistra debba essere critica del capitalismo, anche se ponendosi nell’ottica di “riformarlo”, non di superarlo. Quale strumento politico è necessario per perseguire questo ruolo?. D’Alema riafferma che il PD è stato un “fallimento” ma aggiunge che fallimentari sono stati anche i tentativi di costruire forze politiche al di fuori del PD. Si tratterebbe quindi di andare oltre al PD così come è oggi, per formare un partito che punti almeno al 30% con una struttura organizzata solida e non affidata alla logica informale, ad esempio delle primarie, che poi produce solo aggregazioni di notabili e di comitati elettorali.
Se consideriamo che il punto di partenza di tutte le successive evoluzioni a cui ha partecipato lo stesso D’Alema era quello di un partito (il PCI) strutturato con una base di massa che ancora alla fine degli anni ’80 raccoglieva circa il 27% dei voti, quindi molti più di quelli ottenuti dal PD nelle ultime elezioni politiche, ci si può chiedere se la moderata autocritica di D’Alema sia davvero sufficiente per raggiungere l’obbiettivo che si propone. Dal punto di vista tattico sembra evidente che si tratti di trovare una modalità di rientro dei fuoriusciti a sinistra dal PD renziano che non sembri un semplice ritorno a Canossa. Risulta evidente che il percorso della componente di LEU che fa capo ad art.1-MDP guardi in quella direzione.
Alla ricerca del partito o della rete ma comunque a fianco del PD
Dove si volge invece il resto di LEU, quella costituita da altri raggruppamenti politici: Sinistra Italiana di Fratoianni e Grassi, il Movimento Politico E’ Viva di Laforgia e Pastorino e Green Europa di Rossella Muroni?
Per rispondere a questa domanda, quest’area che, oltre ai movimenti politici richiamati, comprende personalità con ruoli in amministrazioni locali a vario livello, rappresentanti di organizzazioni non governative o strutture di movimento espressione di settori della “società civile”, intellettuali ecc. si è riunita nelle assemblee virtuali di “Equologica”. Questo neologismo dovrebbe servire a condensare i due elementi di fondo che si vogliono tenere insieme: la giustizia sociale e la giustizia ambientale. La ricerca di formule astruse ma considerate necessarie per introiettare quel tocco di modernità che permetterebbe di non essere considerati passatisti, è uno degli elementi caratterizzanti di quest’area (pensiamo all’altra formula di “cosmopolitica”). Forse non il modo migliore per presentarsi in quelle tanto invocate periferie, da cui la sinistra si è allontanata.
Le componenti fondamentali che costituiscono Equologica hanno una doppia derivazione. La prima è quella che una decina di anni fa, a seguito del congresso di Chianciano di Rifondazione Comunista, aveva rotto con il partito originario e dato vita a Sinistra Ecologia e Libertà. Per rendere breve una storia assai più complessa si può tracciare le ragioni della scissione a partire dal movimento per la “giustizia globale” (impropriamente detto no global) dell’inizio del nuovo millennio. Rifondazione fece la scelta di inserirsi in quel movimento. Nel momento in cui esso stava cominciando a perdere forza ritenne necessario dargli uno sbocco politico tornando ad un’alleanza di centro-sinistra. La scommessa consisteva nel ritenere che la spinta del movimento avrebbe consentito di cambiare i rapporti di forza all’interno del centro-sinistra a favore della sinistra radicale. Una ipotesi che non si realizzò e che portò alla sconfitta della Sinistra Arcobaleno e alla crisi delle sue diverse componenti. Rifondazione si divise sulla base di due opposte strategie proposte per reagire alla crisi. Da un lato si diceva “il movimento è tutto”, dall’altro “il governo è tutto. Naturalmente questa è una schematizzazione un po’ rozza ma non così lontana dal vero.
SEL nacque puntando sul superamento dell’identità comunista, su una forma partito più leggera, sul ritorno all’alleanza nel centro-sinistra. Stavolta il confronto di egemonie tra sinistra moderata e radicale era affidata, più che alla spinta dal basso, al ruolo del leader carismatico, ovvero alla figura di Nichi Vendola. Anche questa scommessa fu persa per varie ragioni ma intanto perché il centro-sinistra di Bersani non vinse le elezioni. E molti elettori di sinistra che chiedevano un cambiamento radicale, quindi teoricamente base elettorale del progetto vendoliano, trovarono risposta alle proprie richieste nel nascente Movimento 5 Stelle. Da allora SEL ha subito un processo di disgregazione da un lato (fughe verso il PD ma anche verso Italia Viva) e contemporaneamente la possibilità di tentare di riaggregarsi nuovamente con l’afflusso di esponenti in uscita dal PD renziano per dar vita a Sinistra Italiana. In un permanente turbine di va e vieni di figure politiche, se c’era chi usciva dal PD per cercare dar vita a nuovi progetti di sinistra, o chi usciva da Rifondazione per aggregarsi a SI (come l’ex corrente grassiana), vi era chi a sua volta transitava da SI ad art. 1-MDP.
In un quadro tutt’altro che brillante per tutta la “sinistra radicale”, nemmeno Sinistra Italiana sembra sfuggire alla crisi. In una nota del coordinamento regionale veneto del partito si afferma, commentando l’esito delle recenti elezioni regionali: “Non c’è da meravigliarsi di questa debacle, perché – accentuata dal Covid19 – la nostra presenza organizzata, sia livello nazionale che sul territorio, si è ridotta al lumicino, nella sostanza non funzioniamo più. Siamo irriconoscibili per la mutevolezza dei segnali in materia di alleanze elettorali, per il cambio continuo e compulsivo dei nomi e dei simboli (…). Il Partito Democratico, anch’esso in salute precaria, nonostante l’apparente successo elettorale, è così diventato per i nostri pochi eletti nelle istituzioni e negli Enti locali una sorta di calamità (ndr, suppongo intendessero “calamita”, ma sembra un lapsus fruediano da correttore automatico) e di ancora di salvataggio, configurando anche percorsi politici contraddittori e persino pietosi, come quelli che hanno portato taluni compagni dalla militanza di SEL all’adesione a Italia Viva.”
Ora Sinistra Italiana ha deciso di investire sulla formazione della rete di sinistra, ecologica e civica di “Equologica”. Un progetto avviato da qualche mese, in particolare a partire dal (relativo) successo della lista “Coraggiosa” in Emilia-Romagna che diventava punto di riferimento per un’analoga proiezione a livello nazionale. L’assemblea nazionale dei giorni scorsi ha confermato l’avvio della Rete con alcuni punti fermi e altri invece in discussione. Sicuramente solida è la volontà di inserirsi nel centro-sinistra, in alleanza con il PD. All’incontro finale della giornata era presente il sindaco di Milano, Beppe Sala, che aveva appena annunciato l’autocandidatura, e a cui Equologica ha già promesso il proprio sostegno. L’obbiettivo è di sostenere anche gli altri candidati sindaco del centro-sinistra, in attesa di conoscerne i nomi.
In questo quadro si vuole evitare che, come avvenuto in alcune elezioni regionali, quest’area si presenti frammentata, cercando così di accrescerne il proprio peso istituzionale in un contesto largamente dominato dal PD e dalla rete di interessi che esso rappresenta.
Ancora in discussione l’esito finale del percorso avviato tra chi rivendica la necessità del partito (Castellina) e chi vuole mantenere la struttura informale di rete. In questa seconda posizione confluiscono l’elemento di critica alla forma partito emerso con forza in questi ultimi anni, con la necessità di alcune figure politiche di mantenersi le mani libere nella collocazione istituzionale, tra il fuori e il dentro, ma comunque in stretto collegamento col PD e la direzione di Zingaretti.
Le contraddizioni aperte di fronte a quest’area sono piuttosto evidenti. Da un lato a fronte di una abbondanza di figure pubbliche (che hanno animato i 44 tavoli), quella “vasta platea” che suscita l’immutato entusiasmo di Daniela Preziosi (prima sul Manifesto, ora sul Domani), fa da contrappunto una base sociale molto fragile, fatta di settori che oscillano tra movimenti e istituzioni. La debolezza degli uni richiede il conforto e il supporto delle seconde, garanzia che oggi – si ritiene – può fornire solo l’alleanza col PD.
L’altra contraddizione evidente è fra un discorso radicale (ma spesso vago) e la possibilità di tradurre in risultati politici quei discorsi all’interno di un’alleanza la cui base sociale è oggi prevalentemente nella classe media e ancorata ad una logica di rapporto preferenziale con l’establishment economico. Non poteva sfuggire, ascoltando Elly Schlein che nel dibattito della Fondazione ItalianiEuropei contestava a D’Alema della parola “cantiere” (della sinistra) perché poco ambientalista, una certa ironia per chi fa la vicepresidente di una Giunta che dell’apertura di qualsivoglia tipo di “cantiere” (reale e non metaforico) ha fatto la propria religione. Il rischio del “tartufismo” è sempre dietro l’angolo.
1 Commento. Nuovo commento
Mi pare evidente che la parola “socialismo” (e non socialdemocrazia) appaia elettoralmente improponibile. Eppure qualcuno ci aveva ricordato che le minoranze non sono sempre condannate alla sconfitta. Altri hanno avuto il coraggio di pronunciare quella parola.